08 settembre 2009

Videocracy e la realtà anestetica. A colloquio con Erik Gandini



Videocracy è un film- documentario di Erik Gandini sull’Italia del Presidente, un paese che ha subito in un arco temporale molto lungo l’influenza culturale di Mediaset è un’Italia incapace di vedere se stessa in virtù dell'assuefazione.

L'Italia che descrive è un’Italia dell’ipervisibilità, della logica dell’apparenza, dell’estetismo edonista, della sovraesposizione. La realtà in atto, comunque, scavalca il girato.

Il regista, che vive a Stoccolma, spiega la genesi dell'operazione: "Il film è stato concepito per il pubblico svedese ed è partito da una domanda ricorrente che molti si fanno. Perché mai in Italia ci sono queste due donne seminude a fianco a un conduttore anziano? La Tv di Berlusconi è lo specchio della sua personalità. Lo scenario che è venuto fuori, per certi versi, è da film di fantascienza. Si trattava di tramutare un concetto in un’esperienza cinematografica personale. Il film è un ritratto sul potere, senza nessun approccio giornalistico, senza martellamento investigativo".

Cionondimeno è l'immagine sfocata di un’Italia incapace di guardare se stessa. Ancor prima di uscire nelle sale è stato sottoposto a una censura obliqua, ma non per questo meno odiosa da parte dell’emittente televisiva a cui pagano il canone, anche coloro che non votano Berlusconi.
"La canzone di Berlusconi Meno Male che Silvio c'è, cantata solo da donne mi ricordava Ceausescu. Il materiale mi è stato dato dagli uffici stampa di Forza Italia con grande piacere e tanto di liberatoria per fare vedere le mirabilie di Berlusconi all’estero". Non c’è nulla di completamente innovativo, di inedito nel scene che scorrono. Le figure cardine sono Lele Mora, l’agente televisivo più potente d’Italia, Fabrizio Corona e il premier Silvio Berlusconi. "Fare vedere con una prospettiva diversa – era lo scopo di Gandini - devi avere il diritto di raccontare la televisione con gli strumenti propri della televisione. In questi giorni in cui c’è una guerra contro la libertà di stampa è arrivato il momento di raccontare la televisione attraverso questo strumento". Gandini intervista anche i registi, i tecnici del Grande Fratello, le persone che hanno contribuito al successo delle tv commerciali, che fanno una prodotto a immagine e somiglianza del suo Creatore, una tv fatta di colori accesi, donne discinte, un flusso continuo di immagini, un mondo gaudente e sorridente, un’euforia inarrestabile. Gandini inquadra i personaggi e tiene la macchina ferma, perfora la superficie dell’apparire, indugia sui volti, lavora di dilatazione del tempo dell’immagine con commenti sonori enfatici. "Il film" - dice l'autore - "non vuole attenersi alla realtà così com’è, dice Gandini, ma fotografa la realtà come l’ho vista io, dal mio punto di vista. Sicuramente ci sono molti aspetti dal punto di vista giornalistico che non sono proprio. Percepisco una tensione tra le celebrità, i privilegiati e quelli che non ci stanno e sono destinati a fare da spettatori. Anche la Storia di Corona (il Robin Hood moderno come si definisce in una scena n.d.r.) un ribelle reazionario che scatta le foto ai vip e li va a ricattare si pone come una sorta di eroe sovversivo agli occhi degli spettatori, in quanto crea impressione che... Volevo giocare sui sentimenti, usando le stesse armi. Parlando alla pancia. Se un film, sovvertendo le regole di un mondo perfetto facesse vedere anziché un contesto di perfetta felicità, allegria, di edonismo, ma un retro di tristezza, desolazione, miseria esistenziale. Perché è solo attraverso i sentimenti che puoi trovare nuove verità". La domanda che si pone è se tutto questo substrato che è stato seminato in trent’anni non ha poi provocato il consenso che si vede oggi. In realtà, stando a Gandini "Chi vede molta televisione senz’altro vota Berlusconi. La cultura della banalità è inquietante di per sé. L’idea della banalità del male si pone come qualcosa di innocua, di superficiale, l’ho trasformata, nella malvagità del bene. Divertirsi è diventata una religione di massa. Dentro la banalità c’è qualcosa che non si può ricondurre a una persona che l’ha creata.

"Il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre". Sono parole di Pier Paolo Pasolini. E ancora: "Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza". Si richiamerà a questo concetto Gandini quando un inebetito Lele Mora fa ascoltare Faccetta Nera, la sua suoneria del cellulare? O forse è un accostamento casuale? Anche Nanni Moretti nel Caimano era stato esplicito sulle dinamiche totalizzanti del berlusconismo. Alla fine Gandini è convinto di avere usato i suoi personaggi come emblema di berlusconismo. Il risultato a volte appare quantomeno contraddittorio.

Nessun commento:

Posta un commento