24 novembre 2012

Il corteo di Casapound

Il giornalista di SkyTg24 Max Giannantoni annuisce mentre Gianluca Iannone fa l'apologia di Mussolini e pontifica sulla forza tranquilla di Casapound. In fondo la loro vittoria dei fascisti del terzo millennio è tutta qui.

15 ottobre 2012

Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti

di Italo Calvino* C'era un paese che si reggeva sull'illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia. Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita. Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta. Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere. Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri. Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche (e tante altre attività più modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita. In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla. Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti. Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile. Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è. * da Repubblica, 15 marzo 1980 e in “Romanzi e racconti, volume terzo, Racconti e apologhi sparsi”, Meridiani, Mondadori

01 ottobre 2012

Ci pisciano in testa e dicono che piove

Un dialogo illuminante mandato in onda d quei faziosi di Report dello stato di minorità dei cittadini di fronte alle malversazioni politiche. L'unica cosa rimasta è l'indignazione, da scaricare sui tasti, nell'osservare il collasso, dissolvenza del sistema democratico. BERNARDO IOVENE Però il fatto che lei poi debba applicare le leggi che voi fate in Parlamento dentro ai tribunali, non le crea imbarazzo? PIERO LONGO – SENATORE PDL Questo tipo di discorso che mi viene fatto da lei, oggi come mi venne fatto qualche altra volta in altre occasioni, presuppone che lei abbia nei miei confronti, lei che mi sta interrogando adesso, una presunzione di mala fede nei miei confronti; e cioè: lei pensa veramente che in Parlamento io voti una legge che ritengo ingiusta solo per favorire qualcuno?! BERNARDO IOVENE Berlusconi in questo caso. PIERO LONGO – SENATORE PDL Berlusconi in questo caso; allora è fuori strada. BERNARDO IOVENE Beh, all’inizio di questa legislatura tra il Lodo Alfano, il legittimo impedimento, il processo breve… lei dice: “io ci credo e perciò le ho proposte” PIERO LONGO – SENATORE PDL Ma no, ma sono talmente… tra l’altro sostenevo che le soluzioni erano modeste… le soluzioni erano modeste: dovevano essere più radicali. BERNARDO IOVENE Però quelle servivano direttamente a Berlusconi, quelle leggi lì… PIERO LONGO – SENATORE PDL No: indirettamente a Berlusconi. Non esistono … l’unica legge che serviva direttamente Berlusconi è il Lodo. BERNARDO IOVENE Cioè secondo lei non c'è un conflitto tra la sua carica parlamentare e il suo lavoro? PIERO LONGO – SENATORE PDL Senta, lei mi sta chiedendo se sono disonesto? BERNARDO IOVENE No, no: un conflitto… PIERO LONGO – SENATORE PDL No,no, ma io lo dico con estrema tranquillità. BERNARDO IOVENE Per cui per lei l'indagato può stare in Parlamento, anche un condannato in primo grado, immagino? PIERO LONGO – SENATORE PDL No guardi, non esiste un condannato in primo grado: la condanna è soltanto quando la sentenza passa in giudicato. Ma per me, le dirò ancora di più, può stare in Parlamento anche un condannato a pena definitiva. BERNARDO IOVENE Cioè chi ha una carica pubblica..? PIERO LONGO – SENATORE PDL Ma perché scusi il popolo non potrebbe essere libero di votare chi vuole? BERNARDO IOVENE Ma il parlamentare decide le leggi che regolano la nostra vita, non dovrebbero avere ombre. PIERO LONGO – SENATORE PDL Perché? Il Parlamento deve essere la rappresentazione mediana del popolo che rappresenta. Perché dovrebbe essere migliore? MILENA GABANELLI IN STUDIO Se abbiamo capito bene. Siccome il parlamentare rappresenta tutti i cittadini, anche i criminali, i farabutti, i mafiosi e i corrotti, è giusto che in Parlamento qualcuno li rappresenti e tuteli i loro interessi. E’ un ampietà di vedute che sicuramente molti cittadini disonesti di paesi rigorosi ci invidiano. Ora, è vero che ognuno è libero di votare chi vuole, ma i candidati li hanno scelti noi, ma i partiti, che hanno il dovere di presentare, di candidare soltanto persone competenti, senza conflitti e senza pendenze, perché quando siedono su quegli scranni non sono più dei cittadini qualunque altri: in cambio di un lauto stipendio, di un grande potere e grande onore, hai anche l’onere di sacrificarsi, se è il caso, per proteggere l’istituzione che rappresentano.

Apriti Sesamo, il nuovo disco di Franco Battiato

28 settembre 2012

Voltare pagina e liberare la Sicilia

Malgrado pasticci, cavilli e interferenze golpiste, il progetto LiberaSicilia va avanti, Giovanna Marano è la candidata alla presidenza della Regione Siciliana, sostenuta da Idv-Sel e Federzione della sinistra.

26 settembre 2012

Le ultime parole a piede libero del Dreyfus del Pdl

I giudici della quinta sezione penale della Cassazione hanno confermato la condanna a 14 mesi per Alessandro Sallusti, attuale direttore de Il Giornale, per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del magistrato Giuseppe Cocilovo. Qui l'articolo incriminato.

22 agosto 2012

Altro che Cosa Bianca. Facciamo la Cosa Seria

Altro che Cosa Bianca. Facciamo la Cosa Seria. Un movimento aperto a quel 99 per cento di cittadini che non vive di rendite e di finanza: che siano giovani o anziani, deboli o forti – perché anche i forti possono prendere con onore la responsabilità di essere garanzia degli altri. Un movimento laico di quella laicità che è la più intelligente garanzia della solidarietà senza esegesi politica. Nella Cosa Seria le porte sono aperte a tutti coloro che si riconoscono nelle priorità di programma che sono poche e chiare. Nella Cosa Seria ci si impegna ad essere includenti nel senso più pieno: quello che combatte le oligarchie, le iniquità, le rendite di posizione e le corporazioni. Nella Cosa Seria la memoria è un punto di programma: la memoria della Storia di questo Paese (la migliore come stimolo e la peggiore come vaccino) e la memoria delle scelte politiche delle persone che vogliono starci. I liberisti smodati sono liberisti smodati, perché ne abbiamo memoria. I sostenitori prostituiti ai berlusconismi in tutte le sue salse sono incompatibili con noi, perché ne abbiamo memoria. I fiancheggiatori politici di persone condannate per mafia sono avversari politici senza mediazioni, perché ne abbiamo memoria. Chi ha votato in Parlamento la sistematica distruzione della scuola, della magistratura, dei diritti dei lavoratori, delle emergenze per sfamare gli appalti, del suolo trasformato in appetitoso margine di monetizzazione, delle infrastrutture utili dimenticate, della sicurezza idrogeologica in nome del profitto, della sanità pubblica e di tutto ciò che è stato confiscato ai diritti, nella Cosa Seria non ha posto perché la memoria è il primo ingrediente della democrazia e i ravveduti dell’ultimo minuto sono alchimisti che ormai sappiamo riconoscere. Nella Cosa Seria anche la verità è un punto di programma: la verità giudiziaria, la verità storica e la verità politica. Non si parteggia per questo o quel potere: si pretende l’emersione totale dei fatti e si difende chi lavora per questo. Senza calcoli elettorali e posizionamenti da patetico risiko politico. Nella Cosa Seria si dialoga con il cuore dei partiti: i militanti, gli amministratori, le tante persone serie e per bene che fanno politica con impegno e passione in giro per l’Italia. Perché il sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, era un politico, Pio La Torre era un politico, Peppino Impastato era un attivista politico: la politica in Italia per molti è stata ed è una Cosa terribilmente e meravigliosamente Seria. Nella Cosa Seria l’equità non è un spot europeista di macroeconomia ma passa attraverso un ridistribuzione dei diritti e dei doveri, dei costi e dei benefici e soprattutto delle opportunità. Opportunità garantite a tutti: la meritocrazia passa per forza da qui. Nella Cosa Seria vincere le elezioni è un mezzo e non un fine. E anche governare dopo averle vinte è un mezzo e non un fine. Nella Cosa Seria i diritti civili non sono più negoziabili con nessuno, né rinviabili, né assoggettabili a compromessi al ribasso o a diktat provenienti da chi fa della propria fede un elemento di divisione e non di fratellanza. E per questo, anche per questo, non sono alternativi ma al contrario strettamente connessi con i diritti sociali. Nella Cosa Seria si pensa che i cinque miliardi di euro spesi finora per bombardare l’Afghanistan siano stati rubati al welfare, agli ospedali, agli asili nido, alla scuola pubblica. E che le spese in aerei da guerra o in supercannoni tecnologici siano solo un furto ignobile ai danni dei pensionati come dei precari. Nella Cosa Seria si sta insieme, perché un’alleanza politica non è un matrimonio e quindi non divorzi se il tuo alleato urla troppo quando parla o è maleducato. Nella cosa seria conta la politica vera, il programma da realizzare, non le simpatie. Nella Cosa Seria quando dici «ce lo chiede l’Europa» pensi alla legge anticorruzione mai fatta, al salario minimo garantito in Francia, al congedo parentale obbligatorio per i papà della Svezia, al reddito minimo di cittadinanza garantito da tutti gli stati europei tranne che da noi, in Spagna, Portogallo e in Grecia. Pensi a un modello di previdenza sociale che tuteli anche i lavoratori precari e le donne che devono lasciare il posto di lavoro in gravidanza, pensi a una legge sulla procreazione assistita che non ti costringa ad andare all’estero per fare un figlio, pensi al pluralismo dell’informazione e alla diffusione della rete. Nella Cosa Seria siamo europeisti convinti, per questo pensiamo che l’Europa unita non sia quella delle banche ma quella dei cittadini, e che i mercati finanziari debbano essere controllati e le speculazioni scoraggiate con misure come la Tobin Tax per privilegiare gli investimenti sul lavoro e l’impresa. Nella Cosa Seria ci si batte per un’Europa matura e solidale con un indirizzo comune, un esercito comune, liste comuni al parlamento europeo e una banca centrale in grado di mettere al riparo i singoli stati dall’attacco della speculazione finanziaria. Nella Cosa Seria pensiamo che ciascuno sia cittadino del Paese in cui nasce, che l’immigrazione sia una risorsa e non una minaccia. Nella Cosa Seria vogliamo che il carcere serva a rieducare e non a umiliare e che la detenzione sia l’ultima opzione dopo il ricorso a pene alternative. Nella Cosa Seria siamo convinti che la lotta all’evasione si combatta abbassando la soglia del pagamento in contanti e tracciando i pagamenti. E che sia ingiusto aumentare il prelievo fiscale ricorrendo all’aumento dell’Iva e non alla patrimoniale. Nella Cosa Seria immaginiamo città liberate dal traffico e dall’inquinamento grazie alle piste ciclabili, al car sharing, con un trasporto pubblico più efficiente e meno macchine. Nella Cosa Seria crediamo che l’Italia meriti una politica industriale che punta a un modello di sviluppo sostenibile; nella Cosa Seria pensiamo che si cresca riconvertendo e non cementificando, puntando sulle energie alternative e non sulle grandi opere. Nella Cosa Seria si fanno le primarie, si scelgono i parlamentari, non si decide mai soli, né in due o in tre. Nella Cosa Seria sappiamo che la parola “sinistra” nel Paese ha ancora un senso diffuso che non appartiene a ceti politici né a gruppi dirigenti. È un sentimento, un modo di stare al mondo, un’appartenenza ideale e concreta che richiede coerenza e che non può ridursi in piccoli e particolari interessi di bottega, antiche inimicizie e gelosie d’appartenenza. Per questo chiediamo che Sinistra Ecologia e Libertà e una parte consistente del Partito Democratico siano il motore di una coalizione che sia una Cosa Seria. Che guardi a Italia dei Valori, Federazione della Sinistra, ALBA, Verdi e tutti coloro che si riconoscono in un manifesto di posizioni chiare e realmente governabili, oltre che di governo. Perché non ci piace la strategia dell’inerzia per capitalizzare il consenso trascinandosi alle prossime elezioni, ma preferiamo la semplicità e la chiarezza delle idee da valorizzare insieme. Soluzioni collettive per risolvere i problemi, insieme: politica presa come una Cosa Seria. Questo documento è stato scritto a molte mani (da Giulio Cavalli, Francesca Fornario, Alessandro Gilioli, Matteo Pucciarelli, Luca Sappino e Pasquale Videtta) ma non ci interessano i padri o i primi firmatari; ci interessa farsene carico e condividerlo. Sul serio.

22 luglio 2012

Gli struzzi in Calabria

Imma Vitelli, giornalista di Vanity Fair ha scritto due pezzi in cui denunciava una realtà piuttosto degradata a livello socio-politico e paragonava la realtà di Monasterace e della Locride in generale all'Afghanistan. Sollevazioni di popolo e urla sguaite contro la solita inaffidabilità degli inviati si sono levate contro la povera cronista. Ma davvero i calabresi - si tralasci la pseudo classe dirigente, da sempre interessata a diatribe d'immagine - non sono responsabili di quello che avviene nella loro Regione? Oppure fanno gli struzzi, come argomentava giusto ieri Pierpaolo Pasolini?

15 luglio 2012

Stelle (cadenti) a destra

C'era un tempo in cui il modello Minetti furoreggiava. L'ex igienista dentale godeva dei favori dell'ex Premier, con cui condivideva anche grane giudiziarie, ora la sua defenestrazione è la panacea di tutti i mali, un modo per rifare la verginità politica a un partito che veleggia in brutte acque, mentre si preannuncia di nuovo la ridiscesa salvifica. Potenza della politica da avanspettacolo.

11 luglio 2012

Claudio Fava, l'antidoto alla politica privatizzata

Claudio Fava, figlio di Beppe Fava, giornalista ucciso dalla mafia, è uno degli ultimi intellettuali meridiani. Sceneggiatore del film I Cento passi, scrittore di libri, già eurodeputato e dirigente politico, ha deciso di candidarsi alla presidenza della regione Siclia, senza investiture partitiche, né paracadute laddove il diritto si confonde con il favore e il sottobosco governativo porta il governatore Raffaele Lombardo, "profeta di teorie politiche avanzate", ad affidare la nomina di dirigente a un detenuto in carcere. La sua sfida va ad iscriversi nei tentativi utopici di toccare la corda pazza dell'Isola che vuole un riscatto e non è ammaliata dalle suggestioni golpiste dei Forconi o dal trasformismo inciucista del Pd, che riscuote il placet del Governatore. Già solo per questa ribellione alla rassegnazione meriterebbe di essere votato. Senonché il candidato si sta cimentando nell'elaborazione di un programma, che preveda una spesa più incisiva dei fondi comunitari, sta risvegliando un certo movimentismo dal basso, sta inventando una nuova narrazione in terra di Trinacria. Forse sta nascendo la consapevolezza nuova che un'altra Sicilia è possibile.

27 giugno 2012

L'idolatria del mercato dei professori

Il ddl di riforma del mercato del lavoro, è legge. I sì sono stati 393, 74 i contrari, 46 gli astenuti. Numeri bolscevichi per un provvedimento ultraliberale per l'Italia. "Il lavoro non è un diritto - ha tuonato, poi ritrattato il ministro Elsa Fornero, ispiratrice della (contro)riforma - va guadagnato, anche con il sacrificio". La talebania cieca del riformismo tecnico vuole che ci sia anche il disprezzo e una volontà deliberata da maestrina dalla penna rossa nell'infierire sulla carne viva di operai, precari, dipendenti, pensionati, corpi sociali già stremati dall'operato parasalvifico del governo dei professori, espressione delle élites lluminate di questo paese. Tant'è che il Partito democratico ha appoggiato la revisione dell'articolo 18, un provvedimento che mina alle basi uno dei dettami principali della Costituzione italiana.

04 giugno 2012

Ode a Zeman

Zdenek Zeman ritorna sulla panchina della Roma. L'utopia eretica del boemo si riverbera di nuovo a Trigoria.

31 maggio 2012

Buffon e l'ombra del calcioscommesse

Il caso è riassunto qui. Puntate vietate ai calciatori. Buffon critica la spettacolarizzazione della giustizia ed esce ad orologeria un'informativa di un anno fa trasmessa dalla Procura di Torino, che sa di Stato di polizia. Il Gianluigi nazionale non è uno stinco di Santo. Tra l'altro il portiere è stato sei anni fa oggetto di attenzioni sulla materia calcioscommesse e porta al petto lo sponsor di un'agenzia di scommesse sportive online nella maglia della sua squadra di club. Due anni fa fondò perfino insieme a Stefano Mauri e Cristiano Doni l'Anc, sindacato autonomo dei calciatori, sganciandosi dall'Aic, di cui oggi è vicepresidente. C'è materia per un libro di Dan Brown. Mai scandalo fu così ben accetto con un'economia alla malora e uno spread che impazzisce nuovamente.

23 maggio 2012

Per Giovanni Falcone

Per Giovanni Falcone La mafia sbanda, la mafia scolora la mafia scommette, la mafia giura che l'esistenza non esiste, che la cultura non c'è, che l'uomo non è amico dell'uomo. La mafia è il cavallo nero dell'apocalisse che porta in sella un relitto mortale, la mafia accusa i suoi morti. La mafia li commemora con ciclopici funerali: così è stato per te, Giovanni, trsportato a braccia da quelli che ti avevano ucciso. "Per Giovanni Falcone" in Ipotenusa d'amore, La Vita Felice, Milano 1994, (2°edizione), p. 33

16 aprile 2012

Addio a Carlo Petrini

Se ne va un grande accusatore del sistema calcio, Carlo Petrini, denunciò il doping, Moggi e raccontò la storia del calciatore suicidato, Donato Bergamini.

11 aprile 2012

Farmacisti e crisi greca

Un farmacista in pensione si è suicidato in Grecia, stremato dalla crisi e frustrato dall'idea di doversi procacciare il cibo rovistando tra i rifiuti. La lettera di addio è un vero monito alla Rivoluzione.

«Il governo di occupazione Tsolakoglu (con riferimento al governo greco collabrazionista durante l'occupazione nazifascista*) ha annientato la mia capacità di sopravvivere, basata sulla mia pensione dignitosa che da solo, senza l'aiuto dello Stato, per 35 anni, mi sono pagato. Tenuto conto che la mia età non mi dà la possibilità di reagire con forza (ma se un altro greco avesse preso il Kalashnikov io l'avrei seguito) non ho altra soluzione che porre fine in modo dignitoso alla mia vita, prima di essere obbligato a rovistare tra i rifiuti per nutrirmi. Credo che i giovani senza futuro, un giorno, prenderanno le armi e, in Piazza Syntagma, appenderanno i traditori della nazione, come fecero nel 1945 gli italiani con Mussolini»
.

08 aprile 2012

Grass che cola

A causa di questo poema, Guenter Grass, premio Nobel per la Letteratura, è stato dichiarato persona non gradita dallo Stato di Israele. Possibile che ogni critica debba essere fatta risalire all'antisemitismo, anche se c'è della recidiva nello scrittore tedesco?

Perché taccio, passo sotto silenzio troppo a lungo

quanto è palese e si è praticato

in giochi di guerra alla fine dei quali, da sopravvissuti,

noi siamo tutt´al più le note a margine.

E´ l´affermato diritto al decisivo attacco preventivo

che potrebbe cancellare il popolo iraniano

soggiogato da un fanfarone e spinto al giubilo organizzato,

perché nella sfera di sua competenza si presume

la costruzione di un´atomica.

E allora perché mi proibisco

di chiamare per nome l´altro paese,

in cui da anni - anche se coperto da segreto -

si dispone di un crescente potenziale nucleare,

però fuori controllo, perché inaccessibile

a qualsiasi ispezione?

Il silenzio di tutti su questo stato di cose,

a cui si è assoggettato il mio silenzio,

lo sento come opprimente menzogna

e inibizione che prospetta punizioni

appena non se ne tenga conto;

il verdetto «antisemitismo» è d´uso corrente.

Ora però, poiché dal mio paese,

di volta in volta toccato da crimini esclusivi

che non hanno paragone e costretto a giustificarsi,

di nuovo e per puri scopi commerciali, anche se

con lingua svelta la si dichiara «riparazione»,

dovrebbe essere consegnato a Israele

un altro sommergibile, la cui specialità

consiste nel poter dirigere annientanti testate là dove

l´esistenza di un´unica bomba atomica non è provata

ma vuol essere di forza probatoria come spauracchio,

dico quello che deve essere detto.

Perché ho taciuto finora?

Perché pensavo che la mia origine,

gravata da una macchia incancellabile,

impedisse di aspettarsi questo dato di fatto

come verità dichiarata dallo Stato d´Israele

al quale sono e voglio restare legato

Perché dico solo adesso,

da vecchio e con l´ultimo inchiostro:

La potenza nucleare di Israele minaccia

la così fragile pace mondiale?

Perché deve essere detto

quello che già domani potrebbe essere troppo tardi;

anche perché noi - come tedeschi con sufficienti colpe a carico -

potremmo diventare fornitori di un crimine

prevedibile, e nessuna delle solite scuse

cancellerebbe la nostra complicità.

E lo ammetto: non taccio più

perché dell´ipocrisia dell´Occidente

ne ho fin sopra i capelli; perché è auspicabile

che molti vogliano affrancarsi dal silenzio,

esortino alla rinuncia il promotore

del pericolo riconoscibile e

altrettanto insistano perché

un controllo libero e permanente

del potenziale atomico israeliano

e delle installazioni nucleari iraniane

sia consentito dai governi di entrambi i paesi

tramite un´istanza internazionale.

Solo così per tutti, israeliani e palestinesi,

e più ancora, per tutti gli uomini che vivono

ostilmente fianco a fianco in quella

regione occupata dalla follia ci sarà una via d´uscita,

e in fin dei conti anche per noi.

06 aprile 2012

Quello che Diaz non dice

Diaz di Daniele Vicari è un film da far vedere anche alle scolaresche: mostra la brutale efferatezza della polizia italiana il 21 luglio del 2001. Indaga sulla macelleria messicana messa in atto nella scuola genovese durante il G8, con il seguito "cileno" attuato nella caserma Bolzaneto. Lo fa in maniera cruda, cruenta. con qualche sconto. Una cosa però emerge chiara tra i vari livelli narrativi: il film sembra sposare la tesi della polizia, secondo cui nell'istituto erano accampati dei pericolosi black bloc. In secondo luogo sembra esserci una banalizzazione degli echi e delle elaborazioni del Genoa Social Forum e alla fine una citazione poteva essere anche fatta sui responsabili della carneficina, impuniti e promossi a livello professionale, visto che ci sono già stati due gradi di giudizio sulla vicenda. Al di là di tutto una pagina che ricorda "la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale"

22 marzo 2012

Vichi di Casapound


Sabina Guzzanti Un due tre stella - Casa Pound... di bulsa_virgilio

Si può dire tutto il peggio del programma della Guzzanti. Ma l'imitazione delle ragazze di Casapound da parte di Caterina Guzzanti coglie nel segno: i fsacisti del terzo millennio sono questa melassa indistinta.

13 marzo 2012

Nanni e Fausto

Il pensiero di Nanni Moretti sulla sciagurata scelta di Fausto Bertinotti di far cadere il Governo Prodi era già abbastanza noto prima dell'intervista rilasciata a Repubblica, in cui accusa il Subcomandante Fausto di "aver fatto perdere 10 anni all'Italia, sfiduciando Prodi".

Il regista di Ecce Bombo, in questo senso non dice cose innovative. Bertinotti gli dà del "saccente", i dietrologi si stanno esercitando a questionare circa il riformismo da parte dei detrattori della sinistra alternativa, esercizio molto caro al partito di Repubblica, molti ironizzano su Twitter (hastag #Nanni Moretti) sull'aria delle battute del filmaker guru della sinistra. Piovono accuse di disfattismo, élitarismo, tendenze radical chic mali antichi della gauche italiana al cachemire.

Scrive Massimiliano Gallo su Linkiesta: "Nei miei ricordi, invece, il buon Fausto “svendette” il partito nella composizione del secondo governo Prodi pur di conquistare l’ambita presidenza della Camera. E da lì, tra un’ospitata e un’inaugurazione - con al fianco l’inossidabile signora Lella - pose le basi per il naufragio della sinistra alle elezioni del 2008. Insomma, Bertinotti avrebbe fatto meglio ad abbozzare. La sua risposta, stizzita, denota che il regista ha colpito nel segno".

A chi scrive invece piace ricordare un aneddoto: all'epoca dei fatti all'Università si discuteva sull'eventualità di far cadere il governo per cercare equilibri più avanzati (una delle formule più amate dal parolaio rosso). Chi scrive aveva intuito che il Governo Prodi, con tutti i suoi limiti costituiva un'importante ancoraggio politico per un'esperienza di governo popolare che avesse espressioni progressiste all'interno. Un collega era di parere barricadero, oltranzista, amante della doppiezza di piazza e di governo, aderì convintamente alla linea di Rifondazione Comunista, fautrice della spaccatura mortifera, dando del conservatore a chi scrive. Oggi è parte integrante del Partito democratico, mentre chi scrive continua a dare ragione nel suo anonimato a Nanni, pur militando solo idealmente più a sinistra. La coerenza anche tra gli antiberlusconiani paga fino a un certo punto. Ci sono sempre esigenze di riposizionamento. Certo il fatto che si discuta di un fatto politicamente del secolo scorso (nell'epoca tecnocratica), dovrebbe fare riflettere sui ritardi storici della sinistra.

08 marzo 2012

Giustizia, questa sconosciuta

Colpo di spugna al maxiprocesso alla 'ndrangheta, denominato Il Crimine: assolti 34 imputati e 92 condannati a pene lievi. Delinquere conviene per gli boss, specie in tempi di saldi per la giustizia. Lontano dagli echi del colpevolismo manettaro, tra sconti di pena, benefici, carcere preventivo e patteggiamento allargato in Appello saranno pochi gli anni, se non addirittura i mesi trascorsi nelle galere patrie da parte dei malavitosi.

07 marzo 2012

Corsi e ricorsi

Ricorre il ventennale di Tangentopoli. Il modo migliore per onorare la vicenda di Mani Pulite sta tutto in una foto. Il resoconto lo trovate qui.

Ora c'è da chiedere a quelli che hanno sempre inneggiato a Milano capitale morale, o alla Padania come fucina di buona politica e laboratorio di attivismo, imbarbarendo il dibattito culturale e politico, e conducendolo a un degrado socio-civile senza precedenti.



Ma la corruzione non era solo un affare di Roma ladrona o delle amministrazioni imbelli della Terronia?

Con questa inchiesta la Lombardia supera la Calabria come numero d indagati. A quando lo scoglimento del Consiglio Regionale della Lombardia?

25 febbraio 2012

Prescrizione non è assoluzion



Prosciolto grazie alla legge Cirielli, per intervenuta prescrizione. Dopo cinque anni di dibattimento si chiude, per ora, il processo Mills, in cui Silvio Berlusconi era imputato per corruzione in atti giudiziari.

A parte l'abnormità di un uomo che ha piegato l'intera normativa ai suoi voleri ed interessi (le famigerate leggi ad personam), è stato stabilito il non luogo a procedere dunque. L'art.129 di procedura penale dice che un giudice deve assolvere non colpevole, anche se reato prescritto. Se prescrive, non è non colpevole. Il fatto che l'avvocato David Mills sia stato condannato, quindi paga il corrotto non il corruttore, è un semplice dettaglio dell'incubo in cui l'Italia è piombata per un ventennio.

23 febbraio 2012

Gotica e certa stucchevole retorica nei dibattiti antimafia

Nei dibattiti e nelle presentazioni antimafia in AltItalia - per farsi un'idea di quanto sia percepito da un uditorio il tema in esame - una buona cartina di tornasole sono le domande poste dagli astanti: un pubblico sovente colto e impegnato, mosso da uno spirito civico sopra la norma.

Non è raro in questi casi cogliere una sottovalutazione del tema (del resto fino al 2010 il Prefetto di Milano sosteneva che la mafia non esisteva sotto le guglie del Duomo), atteggiamento che ha lasciato il passo a una crescente volontà di alfabetizzazione, di conoscenza. Certe domande, al limite del grottesco, lasciano sempre di stucco.

A quella tipica: "Come si fa a riconoscere uno 'ndranghetista?", se ne può aggiungere un'altra ancora più sconcertante: "Ma se a San Luca proliferano i malavitosi, non si può togliere la patria potestà alle famiglie in odore di mafia?".

Ora, senza entrare nello specifico, questi quesiti, ancorché ingenui, perché, come tutti i luoghi comuni, prefigurano un pregiudizio antropologico manicheistico-lombrosiano sui malviventi del terzo millennio, riflettono una certa superficialità nella percezione dell'argomento mafie, figlio dell'indottrinamento da mafia folk coppola e lupara, amplificata dal veicolo fiction/narrazione mitologica.

Ovviamente interrogano anche chi fa antimafia su certa autoreferenzialità sterile e su come possa essere percepito il fenomeno delle organizzazioni criminali nel momento in cui aumenta a dismisura il filone, la pubblicistica in materia.

Detto questo un libro come "Gotica" di Giovanni Tizian è uno squarcio nella coltre perbenista di un Nord Italia che si ritiene immune dalla penetrazione mafiosa e invece è un incubatore di attività illecite, che si mischiano nei gangli dell'economia legale con le compiacenze della zona grigia. Non è un testo che fa copia e incolla delle ordinanze dei giudici, ma permette di capire come si articola la holding leader del crimine globale, che ha trasformato il suo business nella terziarizzazione del suo agire criminale, nella fornitura di servizi, nel porsi come un canale parallelo con meno diseconomie di scala. E' ancor più utile leggerlo adesso che Giovanni, figlio di un funzionario di banca integerrimo, ucciso a Bovalino nel 1989, vive sotto scorta per via delle sue rigorosissime inchieste giornalistiche. Sulla sua testa pende una taglia messa dai clan. Fa piacere sentire dal vivo la sua forza tranquilla, la volontà di non arrendersi alla protervia mafiosa, la sua normalità grondante di mancanza di autocmpiacimento meridionalista. Leggerlo e aderire alla seconda fase della campagna dell'associazione daSud, servirà a sgombrare il campo dal cielo padano plumbeo, denso, incantato e incredulo, costruendo buone pratiche. Un universo dominato dalle mafie, né più e né meno del Mezzogiorno, com'è stato fatto credere ad arte.

22 febbraio 2012

Cocacolla.it deve vivere

CocaColla.it è un blog che dal 2010 si occupa di arte, design, advertising, lifestyle e trend della rete, dedicato a chi ama l’arte contemporanea in ogni sua espressione.
Il nostro blog in questi due anni ha avuto talmente successo che è diventato uno dei punti di riferimento per il design e per la street-art. Grazie al quotidiano impegno e alla costante dedizione del nostro team, CocaColla è entrato nelle chart italiane di settore, toccando gli 1,5 MILIONI di visitatori unici nel primo anno di vita. Contiamo più di 7000 liker su Facebook e 1000 follower su Twitter. I nostri articoli sono stati letti in 202 paesi sparsi per il mondo.
CocaColla è diventato talmente famoso che anche la Coca-Cola Company si è accorta di noi e un paio di settimane fa, per mano del loro ufficio legale, ci ha fatto recapitare due lettere di diffida, chiedendoci di ritirare le pratiche avviate per la registrazione del marchio e la cessione nei loro confronti del “nome a dominio” www.cocacolla.it. Non sono da ritenersi esenti i nostri profili social. Pena citazione a giudizio. La motivazione è la seguente: … che la registrazione e l’utilizzo da parte sua del nome a dominio www.cocacolla.it determina l’insorgere di un grave rischio di confusione per i consumatori che possono essere indotti a ritenere che il segno COCACOLLA ed il nome a dominio www.cocacolla.it siano volti a contraddistinguere prodotti/servizi distribuiti, organizzati o sponsorizzati dalla nostra cliente o che comunque l’uso del segno COCACOLLA da parte sua sia stato autorizzato dalla nostra assistita in base ad accordi o altri legami contrattuali o societari, il che non corrisponde al vero. L’uso del segno COCACOLLA e del nome a dominio www.cocacolla.it da parte sua costituisce inoltre contraffazione dei celebri marchi costituiti dalla dicitura Coca-Cola della nostra assistita. In poche parole ci chiedono di chiudere, cedere il dominio e di sospendere la pratica di registrazione del marchio. Ed in soli 15 giorni. L’idea di chiamare il blog CocaColla nasce da uno dei nostri primissimi brainstorming, quando pensammo di mettere insieme la colla, elemento fondamentale dell’artistica di base e della street-art, con la Coca-Cola, simbolo della cultura pop, dell’industrializzazione e della pubblicità.
Per noi in questo nome c’era tutto quello che volevamo comunicare: tutte le nostre passioni, tutti gli argomenti che di lì a poco sarebbero diventati i temi del nostro lavoro quotidiano di ricerca e produzione di contenuti. Un nome facile da ricordare e irriverente che fa il verso proprio al soft drink più famoso al mondo.

Immaginavamo che prima o poi qualcosa sarebbe potuto accadere, quindi non appena abbiamo
ricevuto le lettere abbiamo contattato uno specialista in diritto industriale e in proprietà intellettuale.
Analizzato il caso ci ha convinto che fosse meglio mollare tutto, perché andare avanti in un'azione legale sarebbe stato un massacro, soprattutto per le nostre tasche.
Il nostro è infatti un progetto editoriale e non avremmo mai potuto permetterci una battaglia legale contro una multinazionale del genere.
Ormai con certezza, dobbiamo comunicarvi che il 5 Marzo 2012 chiuderemo il dominio
www.cocacolla.it e tutti i profili social ad esso collegati.
Inutile sottolineare la nostra amarezza, figlia dall'ennesima situazione nella quale Davide soccombe inevitabilmente contro Golia.
Con questo comunicato vogliamo attenzionare a tutti voi quanto è accaduto e comunicarvi che stiamo già lavorando ad una nuova identità.
Per evitare di perdere quanto costruito in questi due anni con CocaColla vi chiediamo di sostenerci comunicando la news sui vostri blog, sulle vostre pagine, sui vostri canali e su Twitter usando l’hashtag #supportcocacolla. Potete registrarvi alla nostra newsletter rimanendo aggiornarti sugli sviluppi futuri del nostro blog. Di questa storia ve ne saremo grati.

Il Fu Drink Teaam

14 febbraio 2012

Binario 21 chiama Italia: Vinicio Capossela in concerto



La solidarietà in musica regala emozioni calde e momenti di grande umanità. Il cantautore Vinicio Capossela ha dedicato un concerto a Oliviero e Stanislao, i due lavoratori di Servirail, ex Wagon Lits, licenziati dopo i tagli sui treni notte. Da mesi gli operai vivono sulla torre prospiciente al binario 21 della stazione Garibaldi per difendere il loro posto di lavoro e rivendicare il diritto ad avere un'occupazione (più vicini al trascendente che agli umani). Un tema su cui si dovrebbe riflettere. Siamo tutti sulla Torre!.

06 febbraio 2012

I sobri tecnici: forti coi più deboli, zerbini coi potenti

I professori al governo stanno sferrando una vera e propria offensiva verbale contro il mondo dei precari. Dal loro punto di vista tecnocratico il male assoluto sono l'articolo 18 e il malcostume italico grazie al quale ci si può poggiare dietro un welfare traballante.

Prima le dichiarazioni di Michel Martone ("chi finisce l'università a 28 anni è uno sfigato"), poi lo scivolone di Monti ("il posto fisso è monotono"), quindi l'ennesima reprimenda del ministro dell'interno Anna Maria Cancellieri ("Noi italiani siamo fermi al posto fisso, vicino a mamma e papà").

Ora, non tutti i cattedratici abusivamente al governo possono permettersi lezioni di moralità così volgari e spocchiose parlando di dogmi, totem e tabù. Martone deve ringraziare i buoni uffici del padre, amico di Previti, Monti ha nominato un sottosegretario che aveva una casa pagata a sua insaputa, la figlia del Ministro del Welfare Elsa Fornero ha un contratto all'Università, per via del ruolo del marito, l'economista Mario Deaglio che avrà vergato tanti editoriali contro il familismo italico su La Stampa. Ora questi non sono pettegolezzi da Dagospia, sono fatti.

Da quale pulpito viene la predica insomma. Non è questo il tema. Ecco in che mani siamo, tanto per intenderci: "Emergenza mafia? Non ci risulta. Non abbiamo nessuna denuncia né dati che ci spingano a ipotizzare l’ esistenza di infiltrazioni mafiose serie a Genova, come invece accade in altre zone della Liguria, specie nel ponente".

Dichiarazioni rilasciate nel 2009 dall'allora prefetto, oggi al Viminale. E' dell'altro ieri la notizia di un secondo comune sciolto per mafia in Liguria Se si pensa che la manovra Salva-Italia l'avrebbe potuta fare anche lo zio di Bonanni, non è che ci volesse il governo delle elite per fare transitare l'Italia sull'orlo del baratro, con saccenza inusitata e sprezzo delle categorie deboli. Attendiamo ancora il beauty contest e le leggi anti-corruzione, su cui le chiacchiere stanno a zero.

17 gennaio 2012

Il Movimento dei Forconi: Sicilia 2012-Reggio 70


Ci sono i Fascisti e gli uomini dell'Mpa di Lombardo dietro l'nsurrezione di popolo che sta paralizzando la Sicilia da giorni e si sta estendendo a macchia d'olio in tutta Italia? Ci sono analogie con i moti di Reggio Calabria capoluogo del '70. Per ora ci sono molti punti di convergenza. Il tempo sarà galantuomo.

11 gennaio 2012

L'eredità (persa) di Rosarno

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C'è stato un tempo e c'è ancora in cui i migranti erano calabresi, poi magari non se lo ricorda nessuno e si favoleggia sulla straordinaria capacità di accoglienza di un popolo. Puro folclore, la rivolta dei migranti di Rosarno non è avvenuta nella Padania, è giusto ricordarlo a chi parla di cultura millenaria, Magna Graecia e ed è nostalgico dei Borboni.

Fa le inchieste sulle mafie al Nord: costretto a vivere sotto scorta

Succede in Emilia Romagna al giornalista Giovanni Tizian. Una campagna per difendere il cronista e militante dell’associazione daSud

Giovanni è figlio di Peppe Tizian vittima innocente della ‘ndrangheta
Ha appena pubblicato il libro-inchiesta:

“Gotica. ’Ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea”

La politica ha cancellato la parola mafia dal vocabolario pubblico, l’informazione ha finto di non vedere, le associazioni e i movimenti hanno sottovalutato. E invece la mafia al nord c’è, fa affari, è pericolosa, sta dentro i processi economici e sociali. E non vuole essere disturbata.
Così nella civilissima Emilia Romagna può accadere che a Giovanni Tizian, un giornalista precario di 29 anni, impegnato sul fronte antimafia con l’associazione daSud, venga assegnata una scorta. Per il suo lavoro di inchiesta sulle mafie al Nord. Un lavoro coraggioso, vero, che pochi giornalisti fanno. E che tutti dobbiamo difendere.
In questi anni Giovanni ha scritto inchieste raccontando il volto reale delle mafie al nord svelando - sulla Gazzetta di Modena, su Linkiesta.it, su Lettera 43, Narcomafie - ciò che accade in Lombardia, Piemonte, Liguria e Emilia Romagna.
L’ha fatto spesso in solitudine, una solitudine doppia, inaccettabile: quella di chi racconta una verità che nessuno ha la voglia o l’onestà intellettuale di sentire. E la solitudine di chi fa il giornalista con passione, rigore, professionalità. Ma lo fa da precario, senza le tutele di cui godono i giornalisti e gli scrittori famosi, quelli che pubblicano con le grandi case editrici, quelli che scrivono sui giornali nazionali.
In questi anni al giornalismo, ha voluto affiancare il suo impegno antimafia con l’associazione daSud: Giovanni infatti ha vissuto sulla propria pelle la violenza della ‘ndrangheta. È figlio di Peppe Tizian, ucciso il 23 ottobre del 1989. Era nato a Bovalino, in provincia di Reggio Calabria. Era un funzionario di banca «integerrimo», dicono gli investigatori. Aveva solo 36 quando l’hanno ammazzato. Il suo omicidio è rimasto senza colpevoli. Giovanni era ancora un bambino. Ha tenuto per sé questa storia per quasi venti anni. Nel 2008, durante la Lunga Marcia della Memoria di daSud, la decisione di condividere la sua storia e di iniziare l’impegno antimafia. Da allora ogni anno daSud dedica una parte delle proprie attività al ricordo di Peppe Tizian: sul luogo dell’omicidio, a Locri, lungo la statale 106 due anni fa è stato realizzato un murales.

Proprio a partire dalla sua esperienza personale Giovanni Tizian ha scritto un libro sulle mafie al nord. Si intitola “Gotica. ’Ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea”, lo ha pubblicato la casa editrice Round Robin, la casa editrice con cui daSud ha deciso di costruire il suo racconto delle mafie e dell’antimafia con inchieste, romanzi e fumetti. È un lavoro straordinario, Gotica, documentatissimo, che offre anche ottime chiavi di interpretazione delle attività dei clan. Racconta gli intrecci con la politica, con l’economia, con le professioni. E i traffici di droga, il pizzo, l’usura, il gioco d’azzardo. Racconta il giro dei soldi. I soldi dei clan.
«Sono sicuro di riuscire a trovare il modo di continuare a fare il mio lavoro. Non penso che un giornalista possa cambiare il mondo, ma credo nell'utilità sociale del mestiere di giornalista», dice Giovanni.
Continuerà a fare il suo lavoro. Lo farà meglio di prima. E avrà sempre al suo fianco daSud, la sua associazione. Insieme non indietreggeremo di un solo passo, insieme continueremo a raccontare le storie nascoste o dimenticate di mafia e antimafia di questo Paese.
Ma la sfida che i clan hanno lanciato a Giovanni è una sfida lanciata all’Italia che resiste e che vuole cambiare: a tutti il compito di organizzare un grande movimento di scorta popolare e civile. Associazioni, gruppi, comitati, partiti, singoli, giornalisti, organizzazioni, personaggi, artisti, trasmissioni radio e tv, giornali, amministratori, scrittori: tutti quanti possiamo fare molto per non fare sentire soli Giovanni e la sua famiglia. E per garantire che possa fare tranquillamente il suo lavoro.
Parte da oggi la campagna “Io mi chiamo Giovanni Tizian”: incontri, iniziative, presentazioni, dibattiti, campagne web e di comunicazione.
Per aderire inviare una mail a iogiovannitizian@dasud.it

02 gennaio 2012

Il prete-tycoon senza tonaca

A volte gli anagrammi contengono porzioni consistenti di verità. Quello di don Luigi Verze, costruiti dal geniaccio di Stefano Bartezzaghi è "zelo divin, e gru". Per il prete imprenditore, fondatore dell'Ospedale San Raffaele, culture dell'elisir di lunga vita per il suo main sponsor Silvio Berlusconi, sembra studiato su misura. Senza entrare nel merito delle cause e dei possibili effetti che ne hanno determinato la morte.