29 gennaio 2011

Perché in Italia non scoppia mai la rivoluzione?

Il cinico incanaglimento e l'immobilismo italiano stridono al cospetto dei sommovimenti in Tunisia, Albania, Egitto. Un articolo di Giorgio Bocca illustra le motivazioni storiche

del comportamento passivo degli italiani.

ANALISI STORICA DEL DNA DELL'ITALIANO MEDIO E NUOVA RIVOLUZIONE
Gli Italiani sono un popolo di pecore. Con questo non si vuole generalizzare, ma analizzando appunto la media, fatti storici dimostrano l'incapacità di questi esseri umani ad evolversi (tradotto in maniera più esplicita in "ribellarsi per migliorarsi"). Nell'epoca dell'Impero Romano gli Italiani non erano altro che un gregge ben guidato ed organizzato, fino a che i Barbari (animali selvatici con nessuna voglia di essere addomesticati) li hanno sopraffatti. A riprova dell'ovinità italiana sta il fatto che durante tutto il Medioevo la penisola è stata dominio di popoli che nel frattempo si erano evoluti in maniera migliore, col risultato che poi quando si è pensato all'unità d'Italia, questa era composta per lo più da gente analfabeta, con diverse culture spesso contrapposte, quindi difficile da tenere assieme perché assolutamente disomogenee. Perfino il Duce se ne accorse preferendo "vivere un giorno da leone che cento da pecora", avendo forse captato quello che era il maggior difetto del suo "popolo". Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l'avvento della televisione, si cercò di insegnare agli Italiani a parlare tutti la stessa lingua, ma si era comunque ben lontani dal farli divenire un popolo compatto, fiero della sua identità ed orgoglioso delle proprie radici, visto che ognuno aveva le proprie. L'identità dell'italiano medio è stata resa e messa efficacemente alla berlina da un grande artista quale Alberto Sordi, che per tutta la sua vita ha cercato di raccontare vizi e difetti sperando che poi venissero limati, cosa che purtroppo non avvenne visto che alla sua morte il senatore leghista Francesco Speroni lo definì spicciolosamente, maldestramente, faziosamente, stupidamente come "un artista locale che non meritava tanti elogi". Si è fermi ancora qui, all'Italia meschina, ruffiana, falsa e clientelare descritta negli innumerevoli, veritieri e famosi films del nostro Albertone NAZIONALE che in cuor suo, come non era stato mai tirchio come si diceva avendo fatto tanta beneficienza signorilmente senza renderla nota, non voleva altro che scuotere gli Italiani da questo torpore che li attanaglia da secoli.
Con l'avvento poi della televisione commerciale, del possesso dei media radiofonici e della carta stampata è stato gioco facile assoggettare gli Italiani ad un nuovo padrone: questo controlla le menti, l'opinione pubblica attraverso sondaggi, indici di gradimento rilevati dopo decenni di bombardamento mediatico perpetrato indefessamente in ogni momento e in ogni sua forma. Minuti importanti scelti in base ai dati di ascolto, ore e ore di trasmissione proposte quotidianamente da emittenti di parte riescono tuttora a far credere agli Italiani che non esista carenza di lavoro, che le risorse saranno inesaubili e che la precarietà non crea un futuro incerto, mentre al contrario fornire delle certezze benché minime è tipico di un qualsiasi Stato sociale. Mai come ora gli Italiani sperano di migliorare il proprio tenore di vita egoisticamente, anche a scapito di altri; si è rafforzato e purtroppo accettato il concetto di "popolo di furbi" che porterà sicuramente ad uno sconquasso nazionale, visto l'aumento vertiginoso del divario tra le classi sociali e il clima di odio che conseguentemente si insinua tra queste. Ciò molto "spicciolosamente, maldestramente, faziosamente, stupidamente" non era stato previsto. Le "grandi" menti capitaliste hanno creduto che il popolo abboccasse all'esca tenendosela in bocca, senza ingurgitarla, per anni, decenni, rimanendo zitto con la bocca piena e lo stomaco vuoto. L'errore, come sarà storicamente tramandato, è stato quello di non aver previsto e fatto i conti con un nuovo media: Internet. Un modo nuovo e veloce di comunicare, allo stesso tempo democratico ed anarchico, un fenomeno sottovalutato e peggio ignorato volutamente con la falsa speranza di sminuirne così l'importanza. Molto presto si dovrà fare i conti con il malcontento espresso rabbiosamente sulla tastiera di un computer. Gli internauti sono controllati ed identificati facilmente, ma sulla rete ci sarà sempre qualcuno pronto a rimpiazzare una perdita, pensare a una guerra contro questo sistema è come averla già persa. Perché? Perché qualora si cercherà di censurare Internet gli scambi di opinione riavverranno com'era una volta: la gente tornerà a salutarsi di nuovo, socializzando nei bar, sui luoghi di lavoro, in qualsiasi punto di aggregazione (case, famiglie, condomini, paesi, città, regioni) e a quel punto il potere sarà rovesciato. Molto probabilmente chi nel frattempo si è arricchito dovrà fuggire all'estero perché tutti cercheranno di riappropiarsi di quello che in precedenza gli è stato indebitamente sottratto e forse l'Umanità in generale riuscirà a capire che non si può basare la propria effimera esistenza esclusivamente sul possesso.
O meglio, spero che avvenga questo.

26 gennaio 2011

Contestare Berlusconi e il sentimento del tempo


Silvio è un uomo che polarizza, dando adito alle pulsioni di pancia, agli animal spirits, lo si è detto un'infinità di volte. Il giovane di 20 anni che apostrofa il premier intento a salmoidiare con una scolaresca è l'incarnazione di un sentiment sempre più condiviso in Banana Republic. Protagonismo giovanile, il fatto che questa contestazione-vetrina mediatica sia moralmente condivisa da quasi metà della popolazione deve fare riflettere sulla lacerazione delle istituzioni e su quanto sarà difficile ricomporre questa frattuara, in un tempo lontano, quando Berlusconi non ci sarà più.

24 gennaio 2011

Qualunquemente Calabria


Sul boom al box office, la grottesca deformità del personaggio in un frangente in cui la realtà supera la fantasia, il traino del caso Ruby, la polemica di Peppe Voltarelli contro Antonio Albanese, la raffigurazione parodistica e caricaturale di un Sud iperealista si è scritto e letto di tutto.

In realtà, Qualunquemente paga stilisticamente e tecnicamente l'assenza di un quadro di sostegno in favore dell'attore protagonista, lacune di regia e una sceneggiatura approssimativa in alcuni passaggi, l'inevitabile svuotamento della macchietta-Cetto dal piccolo al grande schermo.

Detto questo è lo spaccato volutamente amplificato e satirico della desolazione irredimibile della società italiana e del Sud in modo particolare, trascinata nell'abisso e stuprata da una classe ancestralmente politica collusa con la 'ndrangheta e incapace di disegnare scenari di svolta.

Ipse dixit

"Se vengo ancora intercettato, lascio questo paese". (Silvio Berlusconi, 2.4.2008)

"E' normale in una normale democrazia che il presidente del Consiglio sia sottoposto a uno spionaggio del genere? Non fuggo e non mi dimetto". (Silvio Berlusconi, 23.1.2011)

21 gennaio 2011

L'Italia di Silvio non è la nostra Italia


di Alessio Mannino - da www.ilribelle.com

Accantoniamo per un attimo la politica e persino la morale. Chiediamoci solo se abbiamo qualcosa a che spartire con la Combriccola di Arcore. Sforziamoci di non vomitare

Intercettazioni e fatti alla mano, Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, sarebbe un vecchio puttaniere che paga minorenni per fare sesso, ricattabile da legioni di favorite di corte a cui stacca assegni e elargisce appartamenti, e mentitore con funzionari di Polizia a cui rifila balle da comicità vanziniana.

Al di là del piano giudiziario, che per il Rubygate dovrà accertare i reati di concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile, quest’uomo “malato”, come lo ebbe a definire l’ex moglie Veronica Lario, non ci scandalizza per la volgarità che rigurgita da Arcore, per lo squallore dei servi che lo circondano, per le scenette da commedia sexy che lo ecciterebbero, né per il fatto che le notti voglia passarle con belle figliole (disposte a tutto pur di arraffare quattrini e sistemarsi in televisione o in politica, regni di Sua Emittenza il Cavaliere). Siamo sicuri che, sotto sotto, tutti, ripetiamo tutti i maschi italiani medi, mediocri, mediamente assuefatti a tette e culi da macelleria provano invidia per festini, orge e dopocene a luci rosse. Il potere persuasivo e assolutorio della fica è il più irrazionale, il più umano, troppo umano strumento di consenso che esista: meglio un giorno da lenoni che cento da pecore. E anche se in questo caso ha come effetto giustificare un anziano puer aeternus che non si rassegna all’età, la debolezza della carne non è una colpa. Insomma, al netto di ragazzine sotto i diciott’anni e di regali da cui potrebbe essere condizionato, si faccia fare pure tutti i bunga bunga che vuole, quell’ometto patetico.

Ma per cortesia non ci tratti tutti, l’intero popolo italiano, per una massa di coglioni. Lui, assieme ai suoi scherani senza un briciolo di onestà e rispetto per sé stessi nel fargli da scudo contro ogni evidenza e ogni dato di realtà. La loro mancanza di integrità non deve farci passare per fessi negando spudoratamente tutto, inviando videomessaggi con annunci ufficiali di avere la fidanzata (chi se ne frega!), imbastendo una campagna di difesa il cui regista è quel viscido manipolatore di Alfonso Signorini, e, cosa più grave di tutte, arrivando a minacciare punizioni ai magistrati che indagano su di lui. Non ci sta risparmiando nulla, questo Berlusconi da basso impero. Il cerone mediatico che ammorba l’aria: questo è quello che non sopportiamo perché soffoca ogni residuo senso della serietà, della credibilità, della dignità nel nostro paese.

Si è fatto talmente osceno, lo spettacolo del berlusconismo in decadenza, che perfino il Vaticano ha dovuto rompere il corrivo silenzio durato fino a ieri. Il Segretario di Stato della Santa Sede, cardinal Tarcisio Bertone, ha colto la palla al balzo del “turbamento” del presidente Napolitano per lanciare una condanna ammonendo ad una maggiore moralità, legalità e giustizia. Era ora, che la Chiesa avesse un sussulto di memoria per la sua missione. Se c’è qualcuno che può e deve fare la predica, quello è proprio il Papa. Anche perché gli conviene, visto lo stretto rapporto, politico ed economico, che lega le due sponde del Tevere. E visto che, pur senza eccessi partigiani alla Ruini, la Cei di Bagnasco, un po’ come ogni Cei che alla stessa stregua della Fiat è sempre filo-governativa, finora ha appoggiato il governo di centrodestra. Difatti, fino a ieri, salvo i severi giudizi diAvvenire e Famiglia Cristiana, l’atteggiamento era stato cauto, attendista, secondo la consolidata tendenza all’indulgenza interessata, all’ipocrisia istituzionalizzata, secondo la quale – lo ha egregiamente sintetizzato l’intellettuale cattolico Vittorio Messori - «è certamente meglio un politico puttaniere ma che faccia buone leggi di un notabile cattolicissimo che poi fa leggi contrarie alla Chiesa» (Il Giornale, 19 gennaio 2010). Ma ora si è oltrepassato il limite della decenza, e la Chiesa ha dovuto ricordarsi di essere cristiana, oltre che cattolica eromana.

Da parte nostra, non ci curiamo dei peccati ma del fatto di essere rappresentati, nostro malgrado, da un bugiardo recidivo affetto da laidezza senile. È l’Italia dei Berlusconi, dei Fede e dei Mora. L’Italia della menzogna, della ruffianeria e della miseria umana. Non è la nostra Italia.

Alessio Mannino

20 gennaio 2011



Ecco a cosa penso.
Al senso della ragione.
Al senso della dissoluzione.
Al senso del non senso.

18 gennaio 2011

A volte ritornano: Gasparri ne spara un'altra delle sue

"Vendola con incredibile faccia tosta, censura Berlusconi sulla storia del bunga bunga:ma almeno avviene con donne. Prediche, da certi pulpiti, lasciano per lo meno perplessi, viste per le predilezioni particolari...". Come se fosse solo una questione di sesso.

Gasparri ha perso pervicacemente un'altra occasione per stare zitto.

Dimissioni e si dedichi al bunga bunga

di Gad Lerner

Silvio Berlusconi, se riesce a evitare le minorenni, ha tutto il diritto di retribuire giovani donne per spettacolini scollacciati porno-soft che riproducano in casa sua le fantasmagorie di un’adolescenza complicata, di cui peraltro ha già permeato la televisione italiana. Ma per il suo e nostro bene faccia il favore di lasciare incarichi di guida e rappresentanza delle istituzioni, perchè la sua ossessione danneggia gli interessi nazionali. La destra si renda conto che deve cambiare cavallo, continuare a difendere l’indifendibile sarebbe a questo punto autolesionistico. Davvero pensate che la magistratura si sia inventata tutto? Suvvia…

13 gennaio 2011

Oggi era impossibile. Ce l'hanno fatta

da nonleggerlo.blogspot.com

Oggi 13 gennaio 2011 il Pd avrebbe potuto assumere le sembianze - almeno per un giorno - del partito più fico d'Europa. A Mirafiori migliaia di operai Fiat dovranno decidere del loro futuro, mentre a Roma la Corte Costituzionale ha decapitato l'ennesima legge vergogna del Premier Berlusconi. Ecco, sarebbe bastato fare una pernacchia a Marchionne ed intonare una filastrocca su Silvio "l'impunito" per farsi belli agli occhi del Paese. Sarebbe bastato mostrarsi uniti almeno per qualche ora, diamine, almeno in queste ore, per guadagnare punti ed un briciolo di credibilità, agli occhi di operai ed elettori. Invece no, il peggior centrosinistra del Continente ce l'ha fatta anche stavolta: ha rubato la scena al Cavaliere - in peggio naturalmente - e ne ha attutito i dolori. Una serialità masochista che lo so, non dovrebbe, ma sa ancora sconvolgermi: perché non solo sono riusciti a non cavalcare una giornata come questa - ce l'avrebbe fatta anche la minoranza maoista uzbeka - ma sono persino riusciti nell'intento di peggiorarla, la loro posizione, tra dubbi, polemiche, strappi, scazzi, ed abbandoni. E poi nel mondo si chiedono: ma come avrà fatto quel buffone di Berlusconi a resistere al potere per quasi 20 anni?

10 gennaio 2011

Caro estortore...un uomo chiamato Libero

"...volevo avvertire il nostro ignoto estorsore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere... Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui".

Diciannove anni fa Libero Grassi denunciava pubblicamente i suoi estortori. Oggi Confindustria Sicilia chiede il ritiro delle licenze per gli imprenditori collusi con la malavita. Forse il sacrificio di Libero Grassi non è stato del tutto vano.

06 gennaio 2011

Reggio, appalti, politica e 'ndrine

di Gianluca Ursini su LiberaInfromazione

Dagli arresti di dicembre al caso Fallara

«Aiutatemi , mi sento male, devo avere un infarto, presto ricoveratemi»; così Santi Zappalà aveva richiamato in tutta fretta le guardie carcerarie alla vigilia del Natale 2010, tre giorni dopo il suo arresto nell’ambito della retata “Reale 3” che il 21 dicembre ha visto scattare le manette ai polsi di 12 persone, tra le quali il consigliere regionale Pdl e sindaco di Bagnara, più quattro candidati delle liste che appoggiavano Peppe Scopelliti a presidente regionale: Francesco Iaria, Antonio Manti, Liliana Aiello e Pietro Nucera. «Stia tranquillo, lei non ha nulla, può tornare tranquillo a dormire, è sano come un pesce»; si è sentito rispondere dai cardiologi dell’ospedale ‘Riuniti’ di Reggio sullo Stretto, il politico di Bagnara Calabra, che forse si vedeva già trascorrere tra i familiari o agli arresti in ospedale o in clinica privata le feste natalizie.

Un boccone amaro come strenna natalizia; e, passate le feste, che per gli altri politici a piede libero hanno voluto dire bagordi come per tutti gli altri cittadini, appena il presidente regionale Scopelliti ha smaltito le calorie accumulate nei festeggiamenti per il nuovo anno, non ha perso tempo a scaricare l’ex consigliere recordman di voti alle regionali dello scorso marzo con 11mila preferenze. Zappalà va considerato estraneo al Pdl calabrese e le sue scelte di frequentare persone poco commendevoli (nell’ambito dell’inchiesta ‘’Reale’’ era stato intercettato mentre nel febbraio 2010 visitava in casa, agli arresti domiciliari, il boss Peppe Pelle a Bovalino, litorale jonico non distante dalla San Luca dove Pelle era nato dai lombi del “mammasantissima” Don ‘Ntoni Gambazza; a Pelle Zappalà andava a chiedere voti e appoggio per le elezioni in cambio di «un occhio di riguardo quando sarò lì», intendendo il consiglio Regionale a Reggio) vanno considerate estranee al corso che il centrodestra si sarebbe dato in Calabria; tanti saluti e grazie.

A Zappalà subentra Gesuele Vilasi, uomo di Forza Italia nel capoluogo dello Stretto da sempre fedelissimo dell’ex sindaco-ex missino. Abbandonati anche gli altri 4 politici arrestati alla vigilia di Natale che hanno trascorso in cella le feste; tanto che uno di loro non ha retto l’arrivo del nuovo anno dietro le sbarre ed ha tentato il suicidio. Antonio Manti, da Melito Porto Salvo, ragazzo poco più che trentenne, il primo dell’anno ha provato nella sua cella della casa circondariale di Palmi (litorale tirrenico reggino) di impiccarsi con il filo del telefono. L’intervento dei tre compagni di cella gli ha salvato la vita. I legali hanno fatto sapere dall’ospedale palmese che il ragazzo non versa in pericolo di vita e non ha intenzione di tentare altri gesti estremi; ma forse lo scoramento per essere stati scaricati dal Governatore così in fretta, dopo aver portato alla sua causa decine di migliaia di voti, tornerà a farsi viva.

Il caso Fallara

Così come scoramento aveva sopraffatto Orsola Fallara, scaricata in quattro e quattro otto dal neo presidente regionale nel dicembre scorso. La signora era dirigente tributi e Finanze del comune reggino, fedele alleata nei bilanci dell’ente dell’allora sindaco Scopelliti. Assunta per meriti professionali (come il fatto che il nipote Carmine Fallara sia in affari con il fratello dell’ex sindaco, Tino Scopelliti, con il quale stanno progettando un nuovo albergo a ridosso del Consiglio regionale calabrese) a chiamata diretta di Scopelliti, non aveva sostenuto concorsi; ma negli anni, per sostenere in giudizio in commissione tributaria le cause del Comune reggino, si era auto liquidata compensi da consulente esterna.

Per il Pd reggino che aveva denunciato lo scandalo, oltre un milione di euro solo per gli ultimi 18 mesi di gestione 2009 – 2010. La Fallara assicurò il 23 novembre di voler restituire l’intera somma per tutelare la sua dignità; a metà dicembre in una conferenza stampa-choc, annunciò le proprie dimissioni e «sconvolgenti novità nelle prossime ore». In quelle ore l’ex sindaco ora governatore si era detto amareggiato di aver scoperto cose «che mai avrei immaginato» da una persona con la quale aveva diviso 8 anni di amministrazione cittadina.

Insomma, il Pdl aveva scaricato la signora come se si fosse auto liquidata i compensi per anni, extra bilancio e senza consultare nessuno del Pdl. Per gli esponenti del Pd reggino, invece esistono le prove delle controfirme ai mega compensi liquidati, di Scopelliti e dell’avvocato Franco Zoccali, capo di gabinetto del Comune ora trasvolato in Regione come super consulente. Ma la signora Fallara è stato lasciata sola; giorno 17 dicembre si accorge che le hanno rubato il cellulare di lavoro come dirigente comunale, insieme con i documenti con cui doveva preparare una sua eventuale difesa in tribunale. La notte stessa, chiama i carabinieri per manifestare il suo intento di suicidarsi e dentro la sua Mercedes, al porto di Reggio, ingurgita un flacone di acido muriatico. La sua straziante agonia non durerà 48 ore.

«Questo caso si può classificare come la Roberto Calvi della Calabria, al femminile», commenta Paolo Pollichieni, ex direttore di Calabria Ora licenziato su direttiva del governatore Scopelliti, «ma tutti stanno facendo finta di niente». E molte cose ancora, sui rapporti tra politica e ambienti illegali e nascosti, ci verranno ancora dette da quello che dobbiamo ancora scoprire sui casi Zappalà e Fallara.

05 gennaio 2011

A che serve vivere, se non c'è il coraggio di lottare? (Pippo Fava)

L'Italia è un disco rotto

da Metilparaben prendo e condivido

Nel caso in cui non l'abbiate notato, negli ultimi mesi le prime pagine dei principali quotidiani italiani sono più o meno sempre uguali: Berlusconi dice che ha la maggioranza e quindi le elezioni non servono, Bossi risponde un giorno che non è vero e l'altro che se lo dice lui allora bisogna fidarsi e comunque staremo a vedere che succede domani, Bersani sottolinea che il governo è ormai alla frutta e che il PD sta per iniziare un'opposizione spietata, Di Pietro denuncia il fatto che il premier è un tiranno della peggiore risma utilizzando qualche colorita metafora, Fini viene accusato di aver fatto qualcosa di orribile e comunque di essere un traditore, Vendola si produce in una complessa narrazione della situazione politica utilizzando una percentuale di parole incomprensibili variabile tra il 40 e il 60% del totale.
Poi, il giorno dopo, la maggioranza di cui parla il Cavaliere ancora non si è capito bene quale sia ma lui insiste a dire che c'è, Bossi risponde l'opposto di quello che ha risposto il giorno prima e comunque staremo a vedere che succede domani, l'opposizione annunciata da Bersani ancora non è iniziata ma ci siamo quasi e allora vedrete di che pasta è fatto il PD, Di Pietro si imbatte in qualche contrattempo col suo partito rivelandosi un satrapo con i suoi più o meno quanto Berlusconi lo è col paese, qualche finiano difende il suo capo dalle nefandezze attribuitegli e ribadisce che comunque loro non hanno tradito nessuno, Vendola precisa il concetto del giorno prima incrementando progressivamente la percentuale di oscurità del lessico e la complessità delle immagini utilizzate.
Così, come per magia, tutto ricomincia da capo, e i malcapitati che ancora si prendono la briga di comprarsi il giornale vengono investiti dalla sgradevole sensazione di leggere tutti i giorni le stesse cose: nel frattempo il paese è cristallizzato in una sorta di dimensione atemporale, nella quale sembra che sempre che stia per succedere qualcosa di importante ma poi non succede mai niente, e i problemi si trascinano all'infinito, nella speranza che qualcuno, a un certo punto, decida di occuparsene sul serio.
Dite la verità: non vi sentite un tantino alienati anche voi?

04 gennaio 2011

Economia metapolitica

di Valerio Evangelisti


Affluirono capitali, però in larga misura speculativi, attratti dalla pacchia che si profilava. Il mercato immobiliare diventò un nuovo Far West, un oggetto di conquista. Tutto ciò, nelle intenzioni, sarebbe stato riequilibrato dalle materie prime dei Paesi assoggettati. Non fu così. Le guerre divennero pantani, incapaci di compensare ciò che costavano. La finanza crebbe oltre misura, con un volume di scambi insostenibile. Chi aveva venduto titoli di dubbia consistenza, confidando in un imminente rialzo dei tassi, restò deluso. I mutui sulle case furono le prime sabbie mobili delle eccessive esposizioni bancarie; seguirono altre voragini.
Gli istituti di credito, a quel punto, tirarono frettolosamente i remi in barca, dopo un paio di naufragi illustri. Vendettero all’estero quote di debito in abbondanza, confezionate in pacchetti che includevano consistenti percentuali di pattume. Troppo tardi. La crisi non era più ciclica, ma strutturale. Digiune di prestiti, le compagnie europee non abbastanza solide cominciarono a chiudere, quelle più forti a delocalizzare. Il dogma monetarista, affermatosi dopo il tracollo del campo socialista e socialdemocratico, vuole che il costo del lavoro sia il primo da comprimere nei momenti difficili. Così è stato. Ovviamente i consumi, nei paesi occidentali, sono crollati, in vista di discutibili eden futuri nelle potenze economiche dette emergenti (Cina, Brasile, India, in parte Russia).
Peccato che laggiù larghi settori di popolazione restino esclusi da ogni sviluppo, e dunque non in grado di assorbire l’intera sovrapproduzione dell’Occidente. Peccato altresì che, via via che le nuove potenze emergono, siano in grado di produrre cloni o evoluzioni degli stessi manufatti tipici dell’Ovest, a volte di altissimo contenuto tecnologico.
Caduta del saggio di profitto, sovrapproduzione. Tra queste due coordinate, e altre conseguenti, ecco i fondamenti di una crisi niente affatto volatile. Potrebbe rimediarvi solo il raggiungimento degli obiettivi economici prefissati con le avventure militari. Nulla lascia prevedere che ciò sia possibile. Aprire altri fronti di guerra, provarci di nuovo? Malgrado le ringhiose esortazioni del governo israeliano, e di alcuni Stati arabi (come rivelato da Wikileaks), nessuno al momento se lo può permettere.

Si è parlato di “crisi di sistema”. In parte è vero, ma se per sistema si intende il capitalismo in senso lato, finanziario e produttivo, questo mai cade da solo. Se non contrastato, ha molte armi per reagire e sopravvivere. In primo luogo limitare la propria appendice voluttuaria, la democrazia (2). Desta invidia, in numerosi osservatori occidentali, il modello russo. Limitazione drastica del controllo dal basso, nell’ambito di un assetto economico niente affatto socialista, affidato a strati privilegiati costruiti dall’alto, pezzo per pezzo (con epurazioni periodiche, sotto pretesti giudiziari, dei tasselli che non funzionano o si rivelano troppo ingombranti). Analoga ammirazione suscita il modello cinese. Gli strumenti della vecchia “dittatura del proletariato” al servizio di una crescita prettamente capitalistica (checché ne pensi Diliberto), con classi egemoni create ad hoc. Coloro che criticavano “da sinistra” il socialismo reale, asserendo che la facciata nascondeva le forme di accumulazione del sistema che diceva di combattere, avevano ragione da vendere.
La vecchia arma primaria con cui il capitalismo affronta storicamente le proprie crisi, l’autoritarismo, è verificabile in tutto il mondo occidentale, Unione Europea inclusa. Questa non fa che generare organi centrali di controllo economico sottratti a ogni vaglio democratico e investiti di pieni poteri. Il monetarismo, la UE lo ha elevato a dottrina centrale e indiscutibile addirittura per costituzione (costringendo a votare di nuovo chi si era espresso contro, fino a non fare votare per nulla la sua ultima riproposizione, il “Trattato di Lisbona”). I parlamenti sono stati esautorati delle loro prerogative attraverso limitazioni di mandato, o meccanismi di voto alterati sino a escludere opposizioni ostili alla filosofia di fondo. Ogni impegno è volto a impedire che i cittadini possano influire sulle scelte determinanti che li riguardano.
Naturalmente, l’effetto è più sensibile nelle fabbriche, la cellula autoritaria per eccellenza. Guai a ostacolare l’efficientismo dei padroni, salvo una trasmigrazione delle aziende. Si pisci di meno, si mangi di meno, si lavori fino allo sfinimento, dal giorno alla notte. Altrimenti produrremo (senza peraltro vendere) dove la forza-lavoro costa quasi un cazzo, e dove i diritti dei lavoratori confinano con quelli della prima rivoluzione industriale. Sindacati gialli, forti solo di una base di pensionati iscritti a forza per presentare la dichiarazione dei redditi, applaudono entusiasti. Due ipotesi alternative: o non hanno capito nulla, o hanno capito troppo e sono complici. Buona la seconda.
Ma come si fa, senza riuscire a vendere ciò che si è prodotto (per esempio automobili), a tenersi sul mercato? Il fatto è che il capitale finanziario ha finito col sovrapporsi al capitale reale. Hilferding lo aveva previsto, ma anche Marx lo aveva intuito (con la formula D-M-D: si rilegga il primo volume de Il Capitale per vedere cosa significa). La “M”, merce, è comunque uscita di scena. Paesi prosperi come l’Irlanda o la Spagna sono messi in un angolo, declassati da entità futili quali le agenzie di rating. Agenti fasulli e obbrobriosi, che solo una teoria forsennata come il monetarismo, privo di qualsiasi base scientifica (come aveva dimostrato il compianto Federico Caffè in Lezioni di politica economica, Bollati-Boringhieri, 1980), poteva formulare. Ebbene, proprio il monetarismo è la dottrina ufficiale dell’Unione Europea. Non conta quanto un Paese sia vitale e produttivo. Conta, per valutarlo, il suo indebitamento. Verso cosa? Verso un debito complessivo più grande. Tutti sono indebitati. Specialmente l’Africa, il continente più ricco di materie prime e di giacimenti. Guarda caso, sembra il più povero. I suoi abitanti fuggono al nord inseguiti dalla fame. Chi li perseguita? Una povertà naturale? No, il debito. Chi è ricco diventa povero, chi è povero diventa ricco. C’è qualcosa che non va.
Uno spettro si aggira per l’Europa e per il mondo: è un errore di calcolo. Non ha niente a che vedere con l’economia propriamente intesa, cioè con la ripartizione delle risorse tra gli appartenenti al genere umano, cercando di far sì che esistano beni per tutti. E’ una follia collettiva che va oltre le atrocità del capitalismo, cioè la versione moderna del rapporto tra padroni e schiavi. Siamo alla servitù delle cifre, si produca o no. Siamo servi di un registratore di cassa in mano altrui, che pare manipolato da un folle. Ma folle non è poi tanto. Sceglie quale classe colpire, per farla vittima delle sue bizzarre matematiche. E’ sempre la classe subalterna, quella dei salariati e degli stipendiati. Tutto si tocchi salvo i profitti e le rendite, essenziali ai fini dell’algebra astratta del regno della finzione economica. Dove chi non produce guadagna, chi produce soffre, chi sarebbe ricco è povero, chi è povero lo è per calcoli immateriali e per flussi di ricchezza inesistente fatti apposta per non beneficiarlo.
Il “debito pubblico” è un’astrazione legata a un’ideologia stupidissima, oggi l’unica insegnata nelle università – il “monetarismo”, più la sua variante volgare, la Supply Side Economy, cara a Reagan, alla Thatcher, a Pinochet – e il sistema, vergognoso, vi ha costruito sopra un intero edificio teorico. Smettiamo di essere servi di un pallottoliere privo di senso.
Ma ricordiamoci anche di un vecchio motto: “Senza la forza la ragion non vale” (Andrea Costa, Avanti!, 1881). Non è un invito al terrorismo, bensì un’esortazione a tenere le piazze con la determinazione del dicembre scorso.

NOTE

(1) Innocenzo Cipolletta, Banchieri, politici e militari, Laterza, 2010; Loretta Napoleoni, La morsa. Le vere ragioni della crisi mondiale, Chiarelettere, 2009.
(2) Cfr. Vladimiro Giacchè, La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea, Derive / Approdi, 2008.