31 marzo 2010

Dubbi sul volto del Subcomandante




La pubblicazione sul quotidiano messicano Reforma di un paio di foto con il presunto volto del subcomandante Marcos ha suscitato dubbi e perplessità tra alcuni parlamentari e esperti locali che da anni seguono le vicende dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln).

Il viso, senza il consueto passamontagna, è quello di un uomo giovane, con la barba, pallido e magro. A quanto pare, negli ultimi tempi il subcomandante sarebbe ingrassato, oltre ad essere più vecchio di quanto non appaia nelle foto, visto che ha superato, anche se di poco, i 50 anni. Così dicono fonti vicine ai gruppi simpatizzanti con i zapatisti.

Il parlamentare Felipe Gonzalez ha d’altra parte sottolineato di sperare che, indipendentemente dalla veridicità delle immagini, la pubblicazione delle foto non porti a rappresaglie nei confronti di Marcos.

25 marzo 2010

Liste pulite, al setaccio dell’Antimafia un elenco con 35 nomi



di Gianluca Ursini, L'Unita 21 marzo 2010

Le segnalazioni continuano ad arrivare, è un effetto valanga, che sarà difficile
arginare”; il senatore Luigi De Sena, vicepresidente Commissione parlamentare
Antimafia, è molto impegnato in questi giorni, in cui con i colleghi stanno
valutando le liste elettorali. I casi di politici e candidati alle regionali e comunali con precedenti penali o un curriculum di indagini della magistratura
si stanno moltiplicando giorno dopo giorno. I nomi verranno particolarmente
attenzionati dal presidente Beppe Pisanu. «Il Codice etico della Commissione ai partiti chiede di non candidare condannati o indagati per reati di mafia e contro la pubblica Amministrazione – spiega Angela Napoli, del Pdl calabrese – ma
basarsi solo sul certificato penale non basta: sono troppi i casi di persone
che hanno risolto le proprie pendenze con la giustizia,ma con un passato
e vincoli familiari molto dubbi». Una lista con i nomi di oltre 35 politici
candidati nelle liste con precedenti per mafia o reati contro la P.A.
(metà di destra, metà di centrosinistra) riapre l’attenzione della Commissione.
«Abbiamo acquisito tutte le liste elettorali, e valuteremo con il
Presidente Pisanu quali casi sono più urgenti e da verificare con le Prefetture..
» - afferma la Napoli, mentre De Sena ricorda come«anche dopo il voto,
sarà importante analizzare le posizioni di tutte le persone in lista, anche
di chi non è stato eletto». Valutare chi ha portato quanti voti, potrà
aiutare a capire come vengono gestite dai partiti le elezioni nella parte
d’Italia a maggiore inquinamento mafioso: una mappatura targata Antimafia,
del voto mafioso. In provincia di Reggio, il capolista Pdl è Alessandro
Nicolò, ex assessore provinciale, consigliere uscente, ex coordinatore
di FI nel reggino. Il padre, Pietro, scomparve nel 2004. Un caso
di lupara bianca; la Gip Costantina Garreffa nel processo ‘Testamento’ definisce Nicolò padre ‘a capo della 'ndrina in zona Spirito Santo’.Demetrio Battaglia, consigliere uscente, viene ricandidato nella lista Pd: a suo padre era stata notificata una «misura di prevenzione per mafia», dopo aver fatto parte di un consiglio comunale di Reggio sciolto per infiltrazioni mafiose nel 1992, e dopo che il colonnello dei carabinieri Pellegrini fece risalire la sua elezione «nel 1989 direttamente al clan De Stefano», il più potente del reggino. E che dire
di Candeloro Imbalzano, assessore del Comune retto dal candidato
Pdl Peppe Scopelliti, lista ‘Scopelliti Presidente’? A lui andavano
i voti della cosca Condello, nemici deiDe Stefano, secondo quanto
riferito in aula al processo ‘Comitato d’affari’ da Pasquale Iannò,
prestanome del boss Pasquale Condello, ‘U supremu’. E la lista include
anche con «Alleanza per la Calabria» (con il centrosinistra), provincia di Crotone, l’ex assessore regionale Tommasi, indagato per concussione con l’exministro Pecoraro Scanio.Oancora a Vibo Valentia, nella lista Udc in appoggio al centro destra, Francescantonio Stillitano, consigliere e vicepresidente
uscente delConsiglio: indagato per abusivismo edilizio.Un centro commerciale
da 13mila metri quadri sequestrato dalla procura. Sarebbe stato costruito senza rispettare le norme urbanistiche.

Impresentabili in Calabria e liste pulite



dal fanclub di Marco Travaglio

CANDIDATI ALLE REGIONALI IN CALABRIA: FRA IMPRESENTABILI, CONDANNATI, INDAGATI, PARENTI DI BOSS, COLLUSI CON LA ‘NDRANGHETA E CAMBI DI CASACCA. IL DEGRADO DELLA POLITICA.

CANDIDATO ALLA PRESIDENZA CON IL CENTROSINISTRA


AGAZIO LOIERO
Presidente della Regione Calabria col centrosinistra. Ricandidato. Ex deputato democristiano nel 1987 e nel 1992, non eletto nelle file del Ppi nel 1994, quindi passato nel centrodestra col Ccd, eletto senatore con la Casa delle Libertà nel 1996, trasvolato poi nell’Upr di Cossiga,quindi nell’Udeur di Mastella ed infine riciclatosi nel centrosinistra con la Margherita. Espulso dalla Margherita, ha fondato il “Partito democratico meridionale” per poi aderire al Partito democratico.
Il 24 febbraio 2004 viene arrestato il manager dell’ospedale "Pugliese-Ciaccio" di Catanzaro, Carmelo D’Alessandro, con l’accusa di corruzione, turbativa d’asta e truffa in relazione ad una gara d’appalto relativa al servizio di pulizia e disinfestazione all’interno dell’azienda ospedaliera catanzarese.
Il 27 febbraio 2004 Il Quotidiano della Calabria titola “Intercettazioni shock”. Tra le tante telefonate agli atti dell’inchiesta, viene infatti pubblicata quella in cui la moglie di Loiero indica al manager D’Alessandro le persone da assumere nell’impresa di pulizia che si era aggiudicata l’appalto incriminato. Naturalmente saltando selezioni, concorsi e procedure.
Loiero, il giorno dopo la pubblicazione delle intercettazioni shock, in una lettera al Quotidiano confermò tutto, ma si scusò dicendo che le persone “segnalate” da lui e dalla moglie non erano comunque dei parenti…
Agazio Loiero è un affezionato frequentatore delle cronache giudiziarie.Alla vigilia delle elezioni politiche dell’ aprile 1992, l’allora procuratore di Palmi Agostino Cordova ed il pm di Locri Nicola Gratteri (attuale pm della Dda di Reggio) che indagavano sui rapporti fra massoneria deviata, ‘ndrangheta e politica, fanno perquisire le abitazioni di alcuni boss della Piana di Gioia Tauro e della Locride. Si scopre così che i boss posseggono santini, fac-simili e vario materiale elettorale di 20 dei 34 parlamentari eletti in Calabria.Fra questi 20 c’era pure Agazio Loiero.
Nel 1994 la Procura antimafia di Reggio Calabria ottiene il rinvio a giudizio di Loiero per concorso esterno in associazione mafiosa, insieme a quello di un centinaio di esponenti del clan Piromalli-Molè di Gioia Tauro (processo "Tirreno"). Loiero - secondo l'accusa- avrebbe offerto <>.
Fra l’altro, il pm antimafia Roberto Pennisi sostenne che Loiero si era incontrato col mafioso Salvatore Filippone (uomo del clan Piromalli e condannato poi a 20 anni di carcere) per contrattare i voti delle cosche di Gioia Tauro.A casa del mafioso Salvatore Filippone, infatti, i carabinieri trovarono migliaia di fac-simili elettorali di Agazio Loiero. Anche il killer pentito del clan Piromalli-Molè, Annunziato Raso di Rosarno, confermò in aula di aver raccolto voti per Loiero perchè così ordinatogli dai suoi capi: i boss Piromalli e Molè.
Il 25 novembre 1997, però, Loiero è stato assolto. E’ stato lo stesso pm a chiedere l’assoluzione, sostenendo che il tentativo del clan Piromalli <>.
Nel frattempo, Loiero finisce sotto processo a Roma.Con esiti molto meno fortunati.Il processo si è concluso con la prescrizione per reato commesso. Loiero era imputato del reato di abuso d’ufficio con vantaggi patrimoniali per aver ottenuto illegittimamente, fra il 1991 ed il 1992, dal Servizio Segreto Civile due "segretarie in appalto", Anna Maria Santaniello e Anna Maria Ferrante, che però Loiero utilizzava (spesate e stipendiate, ovviamente, dallo stesso Sisde) per battere a macchina e classificare il suo enorme schedario di richieste di raccomandazioni. Le stesse segretarie hanno raccontato la vicenda con profusione di particolari. In qualità di ministro (prima dei Beni Culturali, poi degli Affari Regionali), Loiero è riuscito a rimandare le udienze decine e decine di volte, adducendo impedimenti di servizio istituzionale: un antesignano del "metodo Berlusconi".
Il 20 luglio del 2000, nell’udienza che doveva essere dedicata alla requisitoria del pm Bruno, ci fu l’ennesimo rinvio di ben quattro mesi. Ma, nel frattempo, nel settembre del 2000, è arrivata la salvifica e tanto attesa prescrizione.
(Si veda su questo il libro “Berlusconia: ultimo atto”, di G.Serra, M. Ottanelli, M. Sedda, D. De Jong e “La Repubblica delle Banane” di Peter Gomez e Marco Travaglio, Editori Riuniti)

CANDIDATO ALLA PRESIDENZA CON IL CENTRODESTRA

GIUSEPPE SCOPELLITI

"Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla Magistratura, è un uomo onesto. No! La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale. Le istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali”. (Paolo Borsellino)

Il sindaco di Reggio Calabria Scopelliti ha di recente ammesso, in un interrogatorio dinanzi al pm della Dda di Reggio Giuseppe Lombardo, di conoscere ed aver frequentato Antonino Fiume, killer della potente cosca De Stefano.
«Conosco Giuseppe Scopelliti, in quanto ho appoggiato politicamente lo stesso». È la frase pronunciata dal pentito Nino Fiume, l’ex killer dei De Stefano che aveva dichiarato in aula di aver sostenuto il sindaco nelle varie campagne elettorali. Scopelliti, interrogato dal pm ha dichiarato: «Conosco Fiume. Come tutti i ragazzi di questa città, negli anni ottanta frequentavo l’unica discoteca che c’era a Reggio, il Papirus. Era un gruppo ampio ma sempre circoscritto. Ci si conosceva un pò tutti. È stata una frequentazione estiva e casuale. Lo ricordo perché era tra quei ragazzi con cui ci si salutava e si scambiava qualche battuta. Non c’è stata nessuna frequentazione. Attraverso i giornali ho appreso che lui era vicino ai De Stefano e che era legato alla figlia di Paolo De Stefano. Mai parlato di politica con Fiume. Ho appreso dai giornali che faceva campagna elettorale per me».
A detta di Scopelliti, quindi, i suoi rapporti con Fiume si sarebbero fermati agli anni ‘80 quando erano circoscritti alla discoteca. E se da una parte ha sostenuto di non aver mai discusso con Fiume di politica, dall’altra ha affermato che, «probabilmente, è stato uno di quelli che diceva di votarmi».
Come avrebbe fatto Fiume a comunicare il suo sostegno a Scopelliti se non lo ha mai visto in epoche successive alla serata del Papirus? E’ la domanda con cui il pm Lombardo ha sottolineato la contraddittorietà del discorso di Scopelliti che si è limitato a rispondere : « L’ho incontrato per caso in discoteca. Pino Scaramuzzino lo conosco per gli stessi motivi di Fiume con la differenza che lui è un operatore turistico della città. E’ il proprietario dell’Oasi. Qualche volta ho parlato di politica con Scaramuzzino nel 1995-1996. Credo siamo amici, li ho visti soltanto nella circostanza del locale».
(Su questo si veda Gazzetta del Sud, Calabria Ora e Il Quotidiano del 25 novembre 2009)

Scopelliti, inoltre, quale sindaco di Reggio Calabria, è stato condannato nel novembre 2009 dalla Corte dei Conti a risarcire l’erario per 1.300.000 euro, in solido con un tecnico comunale, per via di una ex fabbrica per la lavorazione degli agrumi, “Italcitrus”, che il Comune di Reggio Calabria ha acquistato per 2.500.000 euro al fine di trasformarla in un centro di produzione della Rai. La Corte dei Conti ha accertato che il prezzo di acquisto era doppio rispetto ad una precedente valutazione realizzata dal Tribunale di Reggio Calabria in un altro procedimento.
Scopelliti, inoltre, nel novembre scorso è stato rinviato a giudizio dal gip di Reggio Kate Tassone per <>.
(Si veda su questo Gazzetta del Sud del 15 ottobre 2009).
Infine, per il 13 aprile prossimo è prevista la requisitoria del Pm nel processo che vede Scopelliti
ed il suo assessore comunale Caridi accusati omissione di atti d’ufficio per non avere posto in essere adeguate azioni di programmazione, controllo e vigilanza in ordine allo smaltimento del percolato originato da una discarica. Secondo l’accusa, Scopelliti e Caridi non avrebbero provveduto alla bonifica e messa in sicurezza della discarica, vero pericolo per la città di Reggio Calabria a causa della presenza di rifiuti pericolosi e per l’ingente percolato (il liquido prodotto dalla sedimentazione dei rifiuti organici) mai smaltito. Sempre per l’accusa, la situazione appariva ancora più grave per la presenza nelle vicinanze della discarica di una scuola elementare.
( Si veda Gazzetta del Sud del 14 marzo 2008 e Calabria Ora del 24 febbraio 2010).



CANDIDATI LISTE CENTROSINISTRA IN APPOGGIO A LOIERO NELLA PROVINCIA DI COSENZA

LISTA PD


CARLO GUCCIONE, già segretario regionale dei Ds, assunto nei ranghi della Regione attraverso il celebre e vergognoso “Concorsone regionale”.
Il fratello di Carlo Guccione, di nome Fabrizio e consigliere comunale dei Ds a Rende sino al 2001, è invece stato definitivamente condannato ad 1 anno e 4 mesi per estorsione nell’ambito dell’inchiesta “Twister” condotta nel 2004 dai carabinieri e dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro contro un’organizzazione che gestiva un vasto giro di usura a Cosenza ed aveva creato, in alleanza con la ‘ndrangheta, una vera e propria economia parallela. Secondo la Dda di Catanzaro e la Procura di Cosenza e poi la sentenza definitiva, Fabrizio Guccione (all’epoca arrestato) avrebbe preteso da un commercialista e dal presidente di una cooperativa il pagamento di una mazzetta da 300 milioni di lire a titolo di “ringraziamento” per aver favorito la vendita di un terreno. La somma sarebbe servita a garantire anche futuri ulteriori affari. Per ottenere il pagamento, Fabrizio Guccione si presentò allo studio del commercialista in compagnia del pluripregiudicato, e personaggio vicino alla ‘ndrangheta, Marcello Mazza. Quest’ultimo minacciò il commercialista di pagare subito Fabrizio Guccione. Preoccupati dell'intervento di Mazza, il commercialista-parte offesa e l’imprenditore colluso con la ‘ndrangheta Domenico Vulcano chiesero quindi un incontro urgente con Franco Presta, altro boss della ‘ndrangheta cosentina. Presta intervenne e al commercialista venne imposto di pagare la mazzetta. Non a Gruccione questa volta, ma direttamente ai boss di Cosenza Franco Presta, Carmine Chirillo e Carmine Pezzulli.
(Si veda per l’intera vicenda Gazzetta del Sud del 12 marzo 2008, Gazzetta del Sud e Il Quotidiano della Calabria del 7 marzo 2009 e Gazzetta del Sud del 9 marzo 2004 edizione di Cosenza)


NICOLA ADAMO, vicepresidente della giunta Loiero e già segretario regionale dei Ds. Rinviato a giudizio il 3 marzo 2010 per il reato di corruzione nell’ambito dell’inchiesta “Why Not”. Secondo l’accusa, Nicola Adamo avrebbe ottenuto denaro dall’imprenditore e presidente della Despar Antonino Gatto (anch’egli rinviato a giudizio), in occasione delle elezioni regionali del 2005. Nell’ambito della stessa inchiesta, Nicola Adamo è stato rinviato a giudizio anche per alcuni presunti casi di abuso d’ufficio. Il processo inizierà il 9 giugno.
(Si veda Gazzetta del Sud, Il Quotidiano della Calabria e Calabria Ora del 3 marzo 2010)
Nicola Adamo è stato inoltre condannato dalla Corte di Conti al pagamento dei danni erariali per uno spostamento illegittimo di una dipendente regionale all’epoca in cui lo stesso Adamo rivestiva la carica di assessore al Personale nella giunta Rodhio. (Su questo si veda Gazzetta del Sud 21 maggio 2003).
Tramite il famoso e vergognoso “Concorsone regionale”, Nicola Adamo ha sistemato alla Regione: Adriana Lucchetta,già telefonista della Federazione Ds di Cosenza e poi collaboratrice dello stesso Adamo; Nicola Gargano, ex consigliere regionale Ds; Giuseppe Marcucci, ex segretario provinciale Ds di Catanzaro; l’ex segretario provinciale Ds di Cosenza Carlo Guccione, poi segretario regionale dei Ds al posto dello stesso Nicola Adamo.
Ed ancora: Nicola Adamo è indagato nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Paola relativa ad investimenti nel settore della produzione dell’ energia eolica realizzati nella zona dell’alto Tirreno cosentino. I reati ipotizzati vanno dall’abuso d’ufficio alla corruzione.
(Si veda Il Quotidiano della Calabria del 12 novembre 2007)
Enza Bruno Bossio, moglie di Nicola Adamo, è stata invece rinviata a giudizio dal gup di Lecce per truffa e falso ideologico: come commissaria ministeriale avrebbe stilato una relazione falsa in favore di un’azienda pugliese che ha poi ricevuto i fondi dalla legge 488.
(Si veda Ansa e Il Quotidiano della Calabria del 17 febbraio 2008)
Infine, Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio sono indagati per «bancarotta semplice e fraudolenta» nell’ambito del fallimento della società “Tesi”, azienda cosentina per lungo tempo impegnata nella fornitura di servizi informatici. Gli atti sono stati trasferiti per competenza territoriale dalla procura di Catanzaro a quella di Cosenza.
(Su questo si veda Gazzetta del Sud 1 dicembre 2009)

STEFANIA COVELLO, consigliere regionale uscente ma soprattutto figlia di Franco Covello, nominato da Loiero presidente del Comitato per il dissesto idrogeologico in Calabria, ex senatore democristiano, poi amministratore unico delle Ferrovie della Calabria con Forza Italia, infine trasvolato nella Margherita e quindi nel Pd. Franco Covello è indagato per corruzione dalla Procura di Firenze nell’ambito dell’inchiesta sullo scandalo degli appalti gestiti dalla Protezione civile e gli affari sporchi del dopo-terremoto in Abbruzzo.
Fra le tantissime telefonate di Covello con Balducci (arrestato), una chiama in causa anche Loiero.
Covello dice infatti nelle telefonate intercettate con Balducci: «ti volevo dire... siccome io sono con il Presidente della Regione Calabria... verso le 12,30... se puoi memorizzare ... ti chiamo e te lo passo ... gliel'ho detto per la figliola ...okay? …ti abbraccio». Balducci acconsente: «Come no? ... va benissimo...va bene, va bene.».. Annotano gli investigatori: «Parrebbe quindi che, in una cornice di scambio di favori, Covello intenda richiedere a Balducci un favore per la figlia del presidente della Regione Calabria Loiero».
(Si veda La Stampa del 16 febbraio 2010)

GIOVANNI BATTISTA GENOVA, ex sindaco di Corigliano, indagato per abuso d’ufficio nella vicenda riguardante un concorso per 5 posti di ufficiale nella Polizia municipale di Corigliano. Un caso riaperto dal gip del Tribunale di Rossano Federica Colucci. La vicenda esplose nel novembre del 2007 quando al Comune di Corigliano ed alla Procura della Repubblica di Rossano arrivarono dei plichi sigillati con sopra scritto: "aprire alla fine del concorso". Nei plichi c’erano i nomi dei vincitori del concorso e gli stessi plichi risultavano essere depositati in Procura già nel febbraio del 2006.Seguirono vari esposti che contestarono l’illegittimità del concorso e i sequestri di documenti operati dalla Guardia di Finanza nelle stanze del Comune di Corigliano. Il gip ha disposto la riapertura delle indagini «a fronte di illegittimità documentali» e per via della testimonianza di un denunciante che ad avviso del magistrato «non solo ha reso dichiarazioni chiare, logiche e precise, ma ha fornito un riscontro estrinseco ed ha depositato il nome dei vincitori del concorso quando ancora non tutte le prove erano espletate, ed ha preannunciato che i vincitori sarebbero stati 6 e non 5 perché la partecipante C.C., già indicata come vincitrice, sarebbe andata via per altro ente. Tutte circostanze che si sono poi esattamente verificate».
(Sulla vicenda si veda La Gazzetta del Sud del 17, 18 e 19 dicembre 2008)

MARIO MAIOLO, assessore regionale uscente. Indagato dalla Procura di Catanzaro in un’inchiesta sulle attività della società “Tesi”. Società mista pubblica-privata operante nel settore informatico ed ambientale, la cui gestione ha visto coinvolti, trasversalmente, esponenti del centrosinistra e del centrodestra. Ad erogare i finanziamenti, sulla gestione dei quali vengono ipotizzati vari illeciti, sono stati l'Unione europea, lo Stato e la Regione Calabria, che figurano nell’inchiesta come parti lese.
(Si veda Gazzetta del Sud 16 dicembre 2008, Il Quotidiano della Calabria del 16 dicembre 2008)

SALVATORE PIRILLO, segretario del Pd di Amantea, assunto nei ranghi della Regione con la celebre e vergognosa leggina numero 25 (“Concorsone regionale”) che ha permesso la chiamata diretta, come portaborse, di figli, cognati, fratelli e parenti dei consiglieri regionali e quindi la loro successiva stabilizzazione senza lo straccio di un concorso pubblico.
(Su questo si veda Il Corriere della Sera del 18 ottobre 2002 e del 7 ottobre 2005 a firma di Gian Antonio Stella).
Salvatore Pirillo è inoltre figlio di Mario Pirillo, attuale eurodeputato del Pd ed un passato da assessore regionale al Bilancio sia con giunte di centrodestra che di centrosinistra. Mario Pirillo è passato dalle fila della Dc al Ppi, poi al Cdu, quindi all’Udeur, poi nella Margherita sino alla sua espulsione da tale partito e l’adesione al Pdm di Loiero. Infine, l’eurodeputato si è accasato nel Pd. Mario Pirillo, al centro da anni di varie inchieste giudiziarie, passa anche alla storia per essere stato l’unico assessore regionale italiano, con delega alla Caccia, ad essere stato diffidato dalla Lav (Lega antivivisezione) per aver approvato un calendario venatorio fuori legge che anticipa la caccia in Calabria al 1 Settembre (unica Regione d’Italia). Celebri anche le annuali e puntuali censure della Corte dei Conti calabrese all’indirizzo dei bilanci regionali disastrosi, ed all’insegna dello sperpero, varati da Mario Pirillo nei suoi tanti anni trascorsi alla guida dell’assessorato regionale al Bilancio (la Regione Calabria in 30 anni non ha mai consegnato un bilancio in regola coi tempi e i modi fissati dalla legge).

SANDRO PRINCIPE ex assessore regionale della giunta Loiero, ex sindaco di Rende, ex sottosegretario al Lavoro.
I suoi fac-simili ed il suo materiale elettorale vennero trovati nelle abitazioni di centinaia di mafiosi della Piana di Gioia Tauro e della Locride durante il famoso “blitz delle preferenze”, scattato alla vigilia delle elezioni politiche dell’aprile 1992. Il blitz era stato ordinato dall’allora procuratore di Palmi Agostino Cordova e dall’allora pm di Locri Nicola Gratteri. Per ben due volte Cordova ed il suo sostituto Francesco Neri (attuale sostituto Pg a Reggio Calabria) chiesero l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’allora sottosegretario al Lavoro Sandro Principe. L’autorizzazione venne però negata dalla Giunta delle autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati (relatore il massone Alfredo Biondi, ex Pli, poi passato alla storia per il decreto "salvaladri" varato come ministro della Giustizia del primo Governo Berlusconi. Biondi è anche un pregiudicato per frode fiscale). Alla massoneria sarebbero stati legati da sempre sia Sandro Principe che suo padre Francesco (detto “Cecchino”), deceduto da qualche anno. Nei giorni in cui la Giunta della Camera doveva decidere l’autorizzazione a procedere per concorso in associazione mafiosa nei confronti di Sandro Principe, suo padre Cecchino si trasferì a Roma dove - secondo l’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia Francesco Forgione ed il giornalista Paolo Mondani - lo si poteva facilmente vedere passeggiare in Transatlantico a braccetto con Forlani e Misasi. Nella richiesta del procuratore Cordova avanzata nei confronti di Sandro Principe c’era di tutto. Dalla campagna elettorale fatta per Sandro Principe da mafiosi e pregiudicati della Piana di Gioia Tauro (dai boss Versace di Polistena agli Avignone di Taurianova, a molti altri), sino agli incontri di Sandro Principe ( fotografati dai carabinieri di Rosarno) col boss mafioso Marcello Pesce nella saletta riservata del bar “Crystall” di Rosarno. Agli atti anche le lettere di raccomandazione inviate da Sandro Principe all’allora sottosegretario alla Difesa socialista al fine di far ottenere l’esonero dal servizio militare al pregiudicato di Rosarno Galatà (fratellastro del boss Marcello Pesce). Secondo i magistrati Agostino Cordova e Francesco Neri, tale ultimo favore fu chiesto a Sandro Principe dall’allora consigliere comunale socialista di Rosarno La Ruffa, pregiudicato e cognato degli stessi Pesce.Un atto assolutamente illegittimo visto che Galatà era stato dichiarato idoneo al servizio miltare.
Agli atti della richiesta di autorizzazione avanzata dalla Procura di Palmi contro Sandro Principe, anche la testimonianza dell’ex ministro Giacomo Mancini, non rieletto in quelle elezioni politiche del 1992 per via della sua ferma opposizione alla costruzione della centrale Enel a Gioia Tauro. Mancini dichiarò a Cordova che la mafia della Piana di Gioia Tauro votò all’epoca per Sandro Principe, Paolo Romeo, Sisinio Zito e Saverio Zavettieri. Contro Sandro Principe, infine, anche la testimonianza dell’ex sindaco comunista di Rosarno Giuseppe Lavorato che spiegò ai magistrati come per formare all’epoca la giunta di sinistra a Rosarno (che vedeva esclusa la Dc), lui stesso dovette trattare direttamente con Sandro Principe, al quale chiese l’esclusione dalla sua giunta di persone in odore di mafia. Come dire: Sandro Principe disponeva direttamente del Psi di Rosarno ed era perfettamente a conoscenza dei legami con la ‘ndrangheta dei suoi membri.
(Per tali episodi si veda il libro “Oltre la cupola” di Francesco Forgione e Paolo Mondani, Rizzoli editore).

“AUTONOMIA e DIRITTI”( Lista ispirata da Loiero)

ROSARIO MIRABELLI, già capogruppo di Alleanza Nazionale nel Consiglio comunale di Rende, ex consigliere provinciale, poi trasvolato nell’Udeur e nel centrosinistra per le elezioni regionali del 2005, poi candidato a sindaco di Rende nel 2006 con una lista civica e quindi ora nel centrosinistra con “Autonomia e diritti” e con Loiero.

GILBERTO RAFFO, attuale consigliere provinciale di Cosenza, già presidente del Nuovo Psi di De Michelis (centrodestra), poi trasvolato nel centrosinistra con l’Udeur, ora in “Autonomia e diritti”.

NATALE ZANFINI, ex consigliere provinciale eletto con l’Udc, poi passato all’Italia di Mezzo e quindi trasvolato nel centrosinistra e nel Pd.

24 marzo 2010

Saviano l'appellista supremo



di Annalena Benini per "Il Foglio"

Il suo orizzonte non è più Largo Fochetti, ma il Palazzo di Vetro, laggiù a New York. Roberto Saviano, di appello in appello, si è allargato da "Repubblica" all'Onu. L'ultimo (in ordine cronologico) invito alla società civile, "Per un voto onesto servirebbe l'Onu", sulla necessità di elezioni regolari, ha già chiamato alla firma più di trentamila persone. Saviano aveva semplicemente scritto un articolo accorato: "E io non ho paura a dirlo: è necessario che il nostro paese chieda aiuto.
saviano -manifestazione per la libertà di stampa

Lo dico e non temo che mi si punti il dito contro, per un'affermazione del genere". Ma ogni cosa coraggiosa scritta da Saviano diventa ormai spontaneamente appello planetario, o almeno gruppo su Facebook. Ogni parola di Saviano si trasforma nella causa giusta sotto cui mettere una firma: gesto gratificante e riposante insieme, soprattutto azione collezionabile ("Quanti ne hai tu?", "Ah, ho perso il conto, in questo paese ogni giorno bisogna firmare un appello").
lapresse andrea camilleri

Anche Saviano è un grande firmatario: per la libertà di stampa, contro la vendita dei beni confiscati alle mafie, per la liberazione di Cesare Battisti (firma pubblicamente ritirata), contro la legge sulle intercettazioni. Un appello non è un appello senza il nome Roberto Saviano, ma se c'è lui si può regalare il proprio nome a scatola chiusa, senza nemmeno leggere, e sentirsi eroi per un minuto.
camilleri andrea02

Così, quando lui stesso, di suo pugno, scrisse un appello al presidente del Consiglio per chiedergli di ritirare la legge sul processo breve ("io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore", perché un po' di egocentrismo negli appelli crea pathos), arrivarono cinquecentomila firme, una valanga di adesioni, tra cui naturalmente quelle dei grandi affezionati, gli entusiasti che non si perdono un appello: Andrea

Nessun altro è un appellista così formidabile, nessuno ha come lui il talento di attirare consensi e partecipazioni a pioggia, anzi Saviano deve stare attento perché ogni sua parola viene intesa come richiamo alla società civile: così, se una mattina si svegliasse spiritoso e decidesse di scrivere l'elogio di Simona Ventura, immediatamente mezzo milione di persone proporrebbero la Ventura presidente della Repubblica.

Se Saviano dicesse un giorno pubblicamente che adora la canzone di Pupo ed Emanuele Filiberto, cinquecentomila persone proporrebbero quella canzone come inno nazionale. Saviano non è solo firmatario, ideatore, ispiratore, ma anche oggetto del desiderio, protagonista di affollati appelli: sei premi Nobel (Montalcini, Gorbaciov, Grass, Pamuk, Tutu e naturalmente Dario Fo) firmarono per primi la preghiera allo stato di proteggere meglio il giovane scrittore sotto scorta dalle minacce dei Casalesi ("La libertà nella sicurezza di Saviano riguarda noi tutti, come cittadini"), e subito dopo tutti gli altri premi Nobel ancora in vita, registi, attori, scrittori fecero una gara di velocità per non arrivare troppo in basso nella lista dei nomi. Roberto Saviano è la calamita di ogni richiamo alla firma democratica: è lui l'appellista supremo.

"Questa grande e fottuta riforma"

«This is a big fucking deal». E' la gaffe del vicepresidente Joe Biden, che si lascia andare a un'esclamazione non proprio oxfordiana, abbracciando l'iquilino della Casa Bianca Barack Obama. Evidentemente anche i democratici sono stati portati allo sfinimento per fare passare il provvedimento di riforma del sistema sanitario Usa: "Questa è una grande e fottuta riforma", il sussurro liberatorio del vice del leader afro-americano.

23 marzo 2010

Vincenzo e le verità nascoste



Milano. Un rosario lunghissimo fatto di 900 nomi, storie di drammatica ordinarietà. Giornalisti, sindacalisti, servitori dello Stato, magistrati, ecco la macabra colonna sonora delle vite spezzate dalle mafie. L'interminabile elenco scandito dagli altoparlanti ogni 21 marzo è un'agonia, un supplizio che scava solchi amari nell'anima e dilania ogni coscienza civile.

Alla 15esima giornata della Memoria e del ricordo delle vittime di Mafia, organizzata da Libera erano presenti, come accade in principio di ogni primavera, anche Vincenzo Agostino e la moglie Augusta. Una foltissima barba canuta, le gote lanose, il consueto aspetto monacale per ricordare una decisione assunta vent'anni fa da Vincenzo: ovvero di non tagliare la barba, fino a quando non verrà scoperta la verità sulla morte del figlio Antonio.

Qualche anno addietro minacciò di rivolgersi direttamente alla mafia per avere riposte al suo dolore sordo, destinato a invecchiare. Fu persuaso da don Luigi Ciotti, un riferimento per le famiglie.

Suo figlio venne freddato a Villagrazia di Carini con la moglie Ida Castelluccio, sposata appena un mese prima. La sua consorte era incinta di cinque mesi di una bambina. Era il 1989.

Al suo fianco altri parenti mostrano alle istituzioni fotografie del figlio nel giorno delle nozze. Trucidati per mano della criminalità. Attendono ancora giustizia e verità da parte dello Stato.

"Che paese è quello in cui vivere onestamente è un rischio?", esclama una signora attonita. Un paese senza memoria e senza futuro, quello appunto dove le mafie costituiscono l'azienda più in salute.

21 marzo 2010

La politica delle comparse


Nonostante abbiamo schierato le truppe cammellate e incaricato le agenzie interinali di arruolare figuranti dietro compenso di 100 euro ed esibizione della maglietta: "Meno Male che Silvio c'è", i vertici del Pdl non sono riusciti a proporre folle oceaniche e a compiacere il sultano nel raduno indetto da Berlusconi. E se il meccanismo venisse traslato anche per il voto? I soliti maligni fanno le solite illazioni. Anche gli slogan sembravano quelli stanchi del quindicennio berlusconiano. Ma attenzione, la bolla berlusconiana assicura sempre continui colpi di coda. E sul web è sempre il blog Spinoza a essere tra i più mordaci, con battute che evocano l'Escortgate: "Cento euro per andare in piazza con Berlusconi. Mille per chi si ferma anche la notte". Il discorso non è il solito disco rotto propinato dal Cavaliere, con il suo armamentario, rispolverato nei suoi bagni di folla, tipici dei leader con il culto della personalità: in tre anni sconfiggerà le mafie e il cancro. Come si fa a non credere a queste premonizioni, giusto a pochi giorni dal voto?

19 marzo 2010

La ‘Ndrangheta: “In Lombardia votate La Russa”


Dal Fatto Quotidiano, un’inchiesta della Dia e i boss calabresi intercettati al telefono: alle urne consigliano il nome del ministro della Difesa

“Tu devi votare Ignazio e Fidanza. Non facciamo cagate, quello sarà il nostro futuro“. Michele Iannuzzi, consigliere comunale del PdL a Trezzano, parla chiaro al telefono in un’intercettazione pubblicata oggi dal Fatto Quotidiano. L’inchiesta è quella della Direzione Investigativa Antimafia che ha portato al suo arresto e a quello di Alfredo Iorio, imprenditore lombardo considerato un lobbysta della ‘Ndrangheta. Il quale ha già raccontato di aver pagato una serie di cene elettorali in cui era presente anche Silvio Berlusconi.

CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Iannuzzi è in galera dal 22 febbraio, ma la telefonata risale alla primavera del 2009, in occasione delle Elezioni Europee. All’epoca il consigliere sponsorizza Ignazio La Russa, ministro della Difesa, Carlo Fidanza, consigliere comunale a Milano e Licia Ronzulli, infermiera imposta nelle liste proprio da Berlusconi. Il politico parla al telefono con Iorio, oggi anche lui in carcere per corruzione aggravata dal metodo mafioso. I due, per avere un proprio rappresentante, sostengono Guido Podestà nella corsa alla Provincia di Milano, e ne parlano con Stefano Maullu, assessore regionale alla Protezione Civile e Andrea Pasini, consigliere Pdl in stretti rapporti con Domenico Papalia, giovane boss latitante della ‘Ndrangheta, oltre che con Marco Osnato, cognato di La Russa. Non trovano l’uomo giusto, anche perché a livello nazionale nel PdL qualcuno fiuta la puzza di marcio, e allora decidono di far sentire il proprio peso sostenendo i loro candidati. “Sto organizzando, porteremo cinquecento persone, perché qui c’è un altro acquirente molto più importante: verranno Ignazio e Romano La Russa. Chiamo dieci capi bastione perché alla gente bisogna dare un’opportunità“, dice Iannuzzi a Maullu al telefono.

IL GIORNO DEL VOTO – Il 6 giugno 2009, scrive ancora Il Fatto, Iorio e Iannuzzi confermano che stanno facendo votare La Russa, Ronzulli e Fidanza, e poi si fanno i conti: “Quando vado a trovarlo prepariamo un elenco di tutti i vari comuni dove noi abbiamo portato dei voti, così li vanno a verificare. Poi con la lista della spesa andiamo da lui“, riferendosi ancora ad Osnato. L’avvicinamento politico a La Russa era già cominciato nell’aprile 2009, in occasione di una manifestazione a Trezzano sul Naviglio. Lì sono presenti Iorio e Madaffari, e subito dopo parlano di come contattare ulteriormente il ministro.

16 marzo 2010

I siciliani per Formigoni e la comicità involontaria

La carica degli impresentabili


In Calabria a rischio 'ndrangheta 21 candidati:ma i nomi chiacchierati sono di più

di GUIDO RUOTOLO INVIATO A REGGIO CALABRIA per LA STAMPA

Agazio Loiero, il governatore uscente, conta i mesi come sanno contare i bambini, strusciando le dita di una mano. «Sette», dice. Era il 16 ottobre del 2005, giorno di «Primarie» e Franco Fortugno, consigliere regionale della Margherita, venne freddato sul portone di Palazzo Nieddu, a Locri, dove si stavano svolgendo le primarie del Pd. A sette mesi dal voto delle Regionali, appunto. Cinque anni dopo, un processo ha condannato killer e mandanti lasciando molta insoddisfazione in giro. «Resto convinto - dice Loiero - che era un messaggio rivolto a me, come ha ripetuto il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso».

E oggi qual è la partita che si sta giocando in Calabria? Cinque anni dopo, la ’ndrangheta è più forte che mai. Più forte anche della politica. Ha un bel dire Agazio Loiero che «per fortuna la sede della Regione è a Catanzaro», quasi a sottolineare che se fosse a Reggio città governerebbe la ‘ndrangheta. Come se a Vibo, Crotone, Cosenza non esistesse la malapianta. L’Antimafia di Beppe Pisanu ha imposto ai partiti di sottoscrivere un Codice etico delle candidature. Adesso che liste sono state trasmesse a palazzo San Macuto, in attesa che le Prefetture comunichino ufficialmente le candidature non in regola con il Codice, all’Antimafia sono arrivate informative e segnalazioni. Per la Calabria, sono 21 i candidati a rischio: 16 sostengono la candidatura Scopelliti, 5 Loiero. Ma i nomi chiacchierati sono di più, arrivano a una trentina. Naturalmente non tutti perché sospettati di collusione con la ’ndrangheta.

Come è cambiata la Calabria in questi cinque anni? Al di là degli eserciti in campo, dei sondaggi e delle illusioni dei candidati e degli schieramenti che brandiscono la bandiera del cambiamento?

Un rapido flashback sul quinquennio alle spalle: omicidio Fortugno, inchieste «Why Not?» e «Poseidone» del pm Luigi De Magistris, metà consiglio regionale inquisito, assessori e consiglieri arrestati o indagati per mafia, la strage di Duisburg, e poi le retate anti ’ndrangheta e i morti di malasanità, le frane, gli smottamenti, la Salerno-Reggio Calabria e i suoi lavori di rifacimento. E le guerre tra pezzi di istituzioni, con la Procura di Salerno che accerchia il Tribunale di Catanzaro e viceversa. De Magistris che lascia la toga e va all’Europarlamento con Di Pietro. E poi i Moti di Rosarno, le rivolte contro i clandestini e la rabbia nera che fa da contraltare al bullismo mafioso.

Si illude Pippo Callipo, l’imprenditore di Pizzo, candidato dell’Idv e dei Radicali a governatore della Calabria, che denuncia «i poteri forti al governo», che parla di «casta politica» e di «mafia con la penna», di «burocrazia dei colletti bianchi che fanno più morti della mafia con la pistola». Si illude Callipo che sogna un «cambiamento rapido, una rivoluzione per la normalità». La condanna terribile dei calabresi è quella di sentirsi appagati soltanto con l’illusione di poter cambiare.

Adesso è il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, Pdl, che si propone a sindaco più che a governatore della Calabria. Anche le sue gaffes sembrano rispondere a questa carica di riscatto, desiderio di cambiamento dei reggini - stuzzicando i ricordi di quella stagione che non c’è più dei Boia chi molla -, che vogliono contagiare il resto della regione con una logica quasi imperiale. Non è un caso che ben otto assessori comunali oltre che il presidente del Consiglio comunale, lo stesso sindaco (e altri tre consiglieri comunali) abbiano deciso di candidarsi alla Regione.

Disarmante Scopelliti quando risponde alla giornalista di «Libero» alla domanda sui catanzaresi del Pdl che remano contro il candidato del Pdl di Reggio: «Si vede che gli rode, ma gli passerà». Qual è la montagna più alta della Calabria?, gli chiedono a una trasmissione radiofonica. E Scopelliti: «L’Aspromonte». Cancellando così il Pollino. E con quali regioni confina? «La Basilicata e la Puglia». Dimenticandosi che Metaponto è Basilicata. Poi professa il suo errore: «Ho dimenticato la Sicilia». Come se lo Stretto fosse ormai coperto dal Ponte che non c’è.

Una parentesi. Aula bunker del Tribunale di Palmi. «Cent’anni di storia», si chiama il processo contro le cosche della Piana, Piromalli e Molè. L’ultimo pentito è un imprenditore, Cosimo Virgiglio, che aveva un’azienda nel porto di Gioia Tauro e si occupava di movimentazione merci.

E’ il processo dove sono depositate le intercettazioni del faccendiere italiano latitante in Venezuela, Aldo Micciché, e il senatore Marcello Dell’Utri per taroccare i risultati elettorali nella Circoscrizione America Latina per le politiche del 2008. Parla del boss, di Rocco Molé, poi fatto fuori dai cugini Piromalli nel febbraio de 2008. E dei politici al servizio della ‘ndrangheta. Dei sindaci della Piana (quello di Gioia Tauro è imputato e sta ad ascoltarlo con molta diffidenza), degli assessori regionali o del presidente della provincia da consultare per la nomina dell’autorità portuale.

Tra i nomi che fa il pentito in aula c’è anche il capolista dell’Udc (che qui in Calabria appoggia la candidatura Pdl a governatore), l’ex assessore regionale Udeur Pasquale Tripodi. E già, in queste elezioni regionali c’è anche il partito degli opportunisti, di quelli che respirano l’aria e cercano di salire sul carro del (presumibile) vincitore, cambiando casacca. E sono una decina i candidati impresentabili e non ripresentati dallo schieramento di Loiero che hanno trovato ospitalità nelle liste pro Scopelliti. Quanto sa di vecchio, questa campagna elettorale calabrese.

09 marzo 2010

"Con le leggi e gli uomini di oggi la mafia non si può nemmeno più arginare"


Intervista al sostituto procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri
di Silvia Iachetta - Articolo21.org

“La prova che attualmente la mafia è ancora più forte rispetto a prima è che ora sono i politici che vanno a chiedere i voti ai mafiosi, e non il contrario. Il mafioso non ha più interesse a rivolgersi ad un politico perché regolamenta la vita, il respiro, il battito cardiaco del Paese”. Si rimane sconcertati sentendo le parole del Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, uno dei magistrati più esposti nella lotta alla ‘ndrangheta. L’autore de “La Malapianta”, scritto con Antonio Nicaso, giornalista specializzato in temi legati alla ’ndrangheta, lascia poco spazio alle speranze: la mafia conquisterà sempre più spazio. Sempre che lo Stato non decida di affrontare seriamente la sfida.

Recentemente è stata approvata alla Camera dei Deputati il disegno di legge Lazzati. Il Ddl dovrebbe limitare la contaminazione mafiosa dalla procedura elettiva dei candidati in elezioni locali e nazionali, punendo ogni atto di propaganda elettorale da parte dei pregiudicati e punendo anche chi ne ha ricevuto gli illeciti benefici. Crede che sia un passo in avanti nella lotta contro la mafia?
Punisce chi fa propaganda elettorale e l’eletto o l’eleggendo che è mafioso chi lo punisce? È un passo in avanti, però rispetto alla gravità del fenomeno mafioso è troppo poco. La ‘ndrangheta oggi è molto più arrogante rispetto a 15 anni fa, primo perché è più ricca e poi perché i vari governi, che si sono succeduti negli ultimi anni, non hanno creato un sistema giudiziario proporzionato e proporzionale alla realtà criminale. Man mano che sono passati i decenni, i figli degli ‘ndranghetisti sono andati all’università e oggi sono medici, ingegneri, avvocati che occupano i quadri della pubblica amministrazione. È quindi molto più difficile, non dico sconfiggere, ma “arginare” il fenomeno mafia.

Lei afferma quindi che il problema non è più come sconfiggere la mafia, ma come arginarla?
Sì. Con le leggi e gli uomini di oggi non si può nemmeno più arginare la mafia. In Calabria, attualmente, abbiamo una ‘ndrangheta talmente forte da determinare le scelte economiche della Regione stessa, da condurre l’economia, da decidere posti di lavoro. Paradossalmente, mentre in altri luoghi il lavoro rende liberi, in Calabria è l’opposto, il lavoro rende schiavi perché il mercato del lavoro lo determina la mafia. Quando si parla di voto di scambio non deve intendersi come un ottenere voti in cambio di denaro, così come prevede l’art. 416-ter del codice penale, ma di un posto di lavoro, di un appalto, di una fornitura, comunque di rapporti economici.

Ma com’è possibile riscontrare oggettivamente il voto di scambio?
Soprattutto attraverso le intercettazioni telefoniche.

Restendo in tema, come giudica la nuova legge sulle intercettazioni telefoniche?
E’ una disgrazia, una rovina. L’intercettazione telefonica è il mezzo più economico e garantista che esista. Consente di poter acquisire prove che sono inoppugnabili e dove non c’è margine di discrezionalità. E’ la voce degli indagati che forma la prova. E non è vero che le intercettazioni costano molto. Intercettare un telefono in un giorno costa 12 euro più iva, per un pedinamento ci voglio 2000-3000 euro al giorno.

Ma ritiene che ci sia un abuso delle intercettazioni?
No, un abuso no. Intanto, quando diamo una valutazione sul troppo o sul poco dobbiamo farlo considerando diversi parametri. Vent’anni fa per ogni cinque mila persone c’era un telefono. Oggi per ogni persona ci sono quasi due telefoni. Le faccio un esempio. Sto facendo un’indagine su un traffico di droga; gli indagati cambiano scheda telefonica ogni due giorni, quindi io, ovviamente, ogni due giorni devo allacciare un nuovo numero. Alla fine, dopo due anni di indagini, mi ritrovo che 50 persone indagate hanno utilizzato oltre 10 mila numeri di telefono. Dovendo fare una statistica, se sono in buona fede scriverò che ho intercettato 50 persone, se sono in malafede dirò di aver intercettato 10 mila telefoni e, quindi, nel pensare comune questo dato si assocerà a10 mila persone intercettate. Non dimentichiamo che affinchè un giudice possa emettere un decreto di intercettazione è necessario che ci siano i presupposti normativi. E poi, mi creda, non abbiamo il tempo e gli uomini per indagare su tutti quelli che noi riteniamo essere mafiosi o delinquenti o ‘ndranghetisti, si figuri se perdiamo tempo ad intercettare gente che non ci interessa.
La parte di modifica che mi trova d’accordo con la legge sulle intercettazioni è quella inerente alla pubblicazione sulla stampa della vita privata delle persone che addirittura non sono indagate. Qui io darei una limitazione. Aggiungo, infine, che oggi è possibile, con la stessa tecnologia con cui si intercetta, stabilire il minuto e il secondo in cui “l’infedele” ha tolto dal computer l’intercettazione per darla ai giornalisti.

L’attuale governo sta conducendo una reale lotta contro la mafia?
Finora ha fatto due cose buone. Innanzitutto ha abolito il patteggiamento in appello che era scandaloso. Consentiva che il pubblico ministero d’udienza in appello e l’avvocato concordassero la pena. Cioè scendessero, ad esempio, da 25 anni a 7 anni e in cambio il giudice d’appello non scriveva la sentenza. Questo è stato creato per deflazionare il carico in appello. Nella realtà è stato un grande regalo alle mafie. In secondo luogo ha fatto delle modifiche in materie di misure di prevenzione ed oggi è più facile sequestrare e confiscare i beni. Per il resto non ho visto grandi cambiamenti tali da creare un’inversione di rotta nella lotta alle mafie.

Quali sono i provvedimenti più urgenti che andrebbero adottati?
Intanto cercare di far stare i delinquenti in carcere il più possibile, poi abolire il rito abbreviato che è un altro regalo alla mafia. In quest’ultimo caso la norma dice: “Se vuoi essere giudicato allo stato degli atti ti faccio uno sconto di un terzo di pena”. È ovvio che se c’è la prova schiacciante che sono mafiosi, tutti gli indagati chiederanno all’udienza preliminare di essere giudicati con rito abbreviato, ottenendo così uno sconto di un terzo della pena. E non è vero che in questo modo non si intasano i tribunali, perché se anche uno solo degli imputati decidesse di non essere giudicato con il rito abbreviato si dovrebbe passare al dibattimento. E dov’è il risparmio? Io in dibattimento dovrò portare lo stesso 50, 70 testimoni per dimostrare che il tizio è un mafioso; i testimoni, a loro volta, per dimostrare che il soggetto è associato, mi parleranno anche degli altri imputati che sono stati giudicati con il rito abbreviato.

Qual è il suo pensiero a proposito della Commissione parlamentare Antimafia?
Io ritengo che sulle mafie ormai si sappia tutto. Penso che il compito del parlamentare o del politico sia più quello di creare norme per arginare il fenomeno mafioso che quello di fare indagini. Ci sono già tanti mezzi, modi, organismi che portano informazione a livello centrale. La Commissione ha senso se, ad esempio, dopo essere venuta in Calabria ed essersi fatta un’idea della pervasività della ‘ndrangheta, approva, dopo una settimana, 10 giorni, una legge che modifica 10- 15 articoli del codice di procedura penale. In questo caso avrebbe un senso, altrimenti sono organismi che rispetto ai costi producono poco.

Il caso Di Girolamo, il senatore coinvolto nell’inchiesta sul riciclaggio, è solo l’ultimo di una serie che rivela quanto è forte l’abuso di potere e la collusione dei politici con esponenti della mafia, spesso della ‘ndrangheta. Come mai stanno venendo alla luce solo ora?
Non stanno venendo alla luce solo ora. Semplicemente, grazie soprattutto alle intercettazioni telefoniche, è più facile che vengano a galla. Si commettono più reati con il mezzo del telefono. Non è che prima non accadevano. Il punto è che oggi sono venuti meno diversi freni inibitori. C’è una caduta della morale, dell’etica, c’è una forte caduta del senso dello Stato, c’è arroganza. Tutte queste cose messe insieme li portano ad essere meno accorti, meno attenti.

Come ha fatto la ‘ndrangheta a raggiungere una tale pervasività a livello mondiale?
Perché ha i soldi. Con i soldi che ha fatto con il traffico di cocaina ormai sta comprando tutto ciò che è in vendita, soprattutto in questo periodo di piena crisi economica e crisi di liquidità. La ‘ndrangheta è presente dove c’è da gestire potere e denaro. Molti uomini della ‘ndrangheta stanno entrando in società con imprese apparentemente pulite proprio perché queste ultime sono in crisi.

In Calabria il problema maggiore è la ‘ndrangheta o la cultura mafiosa, la mafiosità dei comportamenti?
Sono due problemi complementari. Se il sistema giudiziario fosse forte, noi riusciremmo ad arginare di molto il fenomeno mafioso. Di conseguenza l’atteggiamento, la mafiosità del cittadino non mafioso, ma che comunque si muove nella zona grigia, si adeguerebbe alla nuova stagione, al nuovo andazzo.

I media offrono una visione corretta del fenomeno mafia, nello specifico della ‘ndrangheta?
Purtroppo non c’è un giornalismo di inchiesta perché i giornali non danno ai giornalisti i soldi per fare le inchieste. Spesso si fermano alle veline, al comunicato stampa. Però devo dire che complessivamente, con tutte le difficoltà del mondo, vedo giovani giornalisti corretti che cercano di descrivere quello che vedono, che sono meno ossequiosi al potere rispetto ai giornalisti già affermati. Penso, quindi, che per quanto riguarda il fenomeno mafia ci sia una stampa attenta.

Quali sono gli scenari futuri? È utopia credere che la ‘ndrangheta faccia un passo indietro?
Assolutamente sì. La ‘ndrangheta sarà sempre più ricca.

08 marzo 2010

L’agonia del Mezzogiorno, sei proposte shock per la rinascita

di Fabio Cavallotti - Virgilio.it

Il nuovo libro di Francesco Delzìo denuncia la scomparsa della questione meridionale dall’agenda politica del Paese

Il Sud Italia rischia di diventare la nuova Petra. La splendida città ellenistica abbandonata e coperta dalla polvere del deserto. Un futuro da incubo. Causato non dai cambiamenti climatici, ma dall’inesorabile impoverimento economico e demografico.
Armato di questa funerea previsione, Francesco Delzìo, con il suo nuovo libro “La scossa” (Rubbettino Editore), denuncia la scomparsa della questione meridionale dall’agenda politica del Paese. Il Sud è stato dimenticato, messo da parte. E’ l’unica grande area d’Europa che rimasta depressa. E il divario è addirittura aumentato rispetto al resto del Paese.Il libro è diviso in due parti. In una ci sono i numeri, le indagini, che testimoniano il progressivo impoverimento, i soldi sprecati, la continua erosione delle risorse umane ed economiche.
Nella seconda, si passa al “fare”. Delzìo presenta sei proposte - da lui definite “shock” – per la rinascita. Interventi che vanno a colpire, in prima battuta il tessuto economico del Mezzogiorno, eccole: no tax area per le imprese, rilancio del turismo di qualità, incentivi fiscali per gli iscritti alle facoltà scientifiche, maggiore flessibilità contrattuale, ineleggibilità per gli amministratori locali colpevoli di dissesto finanziario, una nuova cassa del Mezzogiorno autonoma e slegata dal potere politico locale. Idee. Sicuramente destinate a far discutere. Ma va evidenziato il filo che unisce queste proposte. Ovvero accendere la speranza, svegliare le generazioni più giovani. Dare, appunto, una “scossa” soprattutto etica alle nuove generazioni. Forse il grande male del Sud sta proprio lì, tra i giovani. Quelli che se ne vanno dopo gli studi e quelli che restano, non occupati, senza lavoro, privi d’iniziativa.
Ed è proprio Francesco Delzìo che a raccontarci come la sua Scossa deve svegliare le coscienze sia della classe politica sia delle nuove generazioni meridionali.


Tra le proposte shock per il rilancio del Mezzogiorno mette al primo posto la creazione di una no tax area per le imprese. Quante possibilità ci sono che diventi realtà?

Attualmente nessuna. Né il governo attuale, né quello precedente ha fatto propria questa battaglia.
La creazione di un’area a zero tasse per le imprese è l’unica alternativa valida ai finanziamenti a fondo perduto. Questi contributi non servono, sono tecnicamente inutili. Puro spreco di denaro pubblico. Eppure altri Paesi d’Europa hanno scelto la strada delle agevolazioni fiscali. Mi riferisco, per esempio, all’Irlanda.
Voglio ricordare che il Sud è la più grande aerea d’Europa depressa che non ha tratto vantaggio dai fondi di coesione dell’Unione. L’unica.
Ci sarebbero solide basi affinché le forze politiche italiane intraprendano una battaglia a Bruxelles per la creazione di una no tax area meridionale.
E c’è un altro punto su cui riflettere: tra tre anni, nel 2014, andranno in scadenza tutte le iniziative legate alle politiche di coesione. Ciò significa fine degli aiuti per le aree depresse. Ebbene l’Italia, la nostra classe politica potrebbe assumere il ruolo di capofila per fare pressione sul mantenimento degli aiuti e delle politiche di agevolazione, anche fiscali.
Per ora, invece, non odo alcunché. Ripeto: il Mezzogiorno è totalmente assente dal dibattito politico.
Una chiave per lo sviluppo passa per il turismo. Qual è il modello da seguire?
Partiamo da un dato. Il Sud Italia, rispetto al resto d’Europa, ha potenzialità enormi. Detiene il record dei siti Unesco. Nonostante ciò raccoglie solo le briciole dei grandi flussi turistici.
Per capovolgere la situazione occorre puntare sulla qualità, sul turismo di fascia medio-alta.
Un obiettivo raggiungibile solo attraendo sul territorio i grandi imprenditori del settore. Gli unici in grado di fornire strutture all’altezza.
Come fare? Teoricamente è semplice: è necessario togliere di mezzo la giungla delle autorizzazioni, dei pareri amministrativi, dei veti incrociati. Ovvero: meno burocrazia.
Fatto questo, poi si dovrebbe indire, a livello di governo centrale, un grande concorso internazionale per 100 progetti imprenditoriali. Una volta approvati, una legge obiettivo potrebbe essere la soluzione per la realizzazione effettiva degli investimenti.
Quanto pesa la presenza della criminalità organizzata nel sottoviluppo del Sud?
Naturalmente è un problema, anche se ci sono tante zone del Mezzogiorno che non sono sotto il controllo delle organizzazioni mafiose. Però troppo spesso la mafia è diventata un alibi per non agire.
Lo ripeto è necessario che il tema “Sud Italia” torni in primo piano.
E’ necessario avviare iniziative in grado di attrarre capitali, investimenti sul territorio.
E’ necessario che si metta in moto in circolo virtuoso che dia una scossa ai giovani, alle nuove generazioni, troppo rassegnate, senza speranza.
Quanto ha influito l’affermazione della Lega Nord nell’abbondare il Mezzogiorno al suo destino?
L’affermazione della Lega e delle istanze del Nord hanno giocato un ruolo importante. Ma non è solo colpa degli “altri”.
Da anni, per esempio, sono scomparsi leader politici meridionali. C’è una totale mancanza di leadership politica.
Attualmente quali sono le eccellenze che possono essere prese come esempio?
Si possono indicare gran parte degli imprenditori meridionali.
E’ il caso di Confindustria Sicilia del presidente Lobello che ha intrapreso una coraggiosa lotta contro il crimine e la piaga delle estorsioni.
Purtroppo ciò non basta fino a quando la classe politica si volterà dall’altra parte rispetto al sottosviluppo del Mezzogiorno. E l’Italia senza Mezzogiorno, resta un Paese senza futuro.

06 marzo 2010

Chi ha perso il lavoro ora torna nel Meridione

tratto dal Quotidiano della Calabria

C'è chi parte con forti speranze. E c’è chi torna da "sconfitto". Due facce dello stesso Sud. Schiacciato fra l’emergenza cronica che attanaglia il Meridione da tempi ormai immemorabili e la crisi congiunturale che da due anni frena l’economia di tutto il mondo. Così, mentre l’emigrazione giovanile dal Sud continua a ritmi serrati con cifre da «grande fuga» (120mila all’anno), ora si aggiunge una novità: l’immigrazione di ritorno. Perché il lavoro non c’è più neanche lontano da casa e chi si trova in difficoltà fa fatica ad andare avanti.

Parliamo soprattutto di giovani (tra i 24 e i 34 anni) e donne con contratti precari che hanno perso il lavoro al Nord, che non riescono a re-inserirsi, non hanno tutele e a cui non rimane altro che tornare ad aggrapparsi all’unico vero ammortizzatore sociale che c’è al Sud: la famiglia. Così in 40mila già lo scorso gennaio, hanno raccolto le loro cose e sono tornati a casa. Un nuovo fenomeno che emerge da uno studio della Svimez (l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno). «Ai rischi per così dire esistenziali di una vita a metà si aggiungono quelli molto più reali dovuti alla precarietà del lavoro e alla maggiore esposizione degli emigranti "precari" (173mila) ai cicli economici», dice il vicedirettore della Svimez, l’economista Luca Bianchi, che insieme a Giuseppe Provenzano, ricercatore al «Sant’Anna» di Pisa, ha scritto su questi temi un libro appena uscito dal titolo «Ma il cielo è sempre più su?» (Castelvecchi Editore).

Il flusso migratorio Sud-Nord, che pure è fortemente cresciuto nei primi sei mesi del 2008, con l’aggravarsi del quadro economico, registra insomma un’inversione di tendenza. «Negli ultimi mesi, nelle piazze dei paesi del Mezzogiorno si cominciano a vedere tanti ragazzi seduti davanti ai tavolini dei bar – continua Bianchi –. Sono quelli che avevano un contratto interinale o un contratto a progetto, l’anello più debole del mercato del lavoro, senza tutele e senza sindacati a difenderli». Non è quindi un’inversione di rotta positiva perché il Sud va meglio, ma per le difficoltà di molte aziende del Nord. «Sono come parcheggiati in attesa di ripartire. Di riprendere la valigia».

Il Sud imprigionato fra assistenzialismo, clientelismo, sprechi e mancanza di servizi e infrastrutture – continua l’economista – «può trovare una via d’uscita in una rinnovata classe dirigente e soprattutto se saprà investire pienamente nel capitale umano, attraverso la creazione di poli di formazione d’eccellenza e uno stretto legame università-impresa, con progetti di spin off e sostegni alle star up». Il problema è fermare la «fuga». Arginare un fenomeno che sta spopolando interi centri, soprattutto in Calabria e Sicilia. Come a Riesi, in provincia di Caltanissetta, dove in pochi anni si è perso il 9,3% della popolazione. Una decimazione. Destinata a ingigantirsi e che rischia di invecchiare e spopolare il Sud.

La Svimez calcola che fra il 2008 e il 2030 la popolazione in età da lavoro diminuirà di oltre duemilioni di persone. Mix fatale di emigrazione, bassa natalità e un flusso di lavoratori immigrati insufficiente a colmare le «perdite». Per questo è sul capitale umano e le nuove generazioni che si gioca il futuro del Sud. «Oggi c’è una forma di eroismo in chi rimane, scambiato spesso per inedia e accomodamento da chi fugge. Come c’è sempre una forma di eroismo nella fuga, scambiato per vigliaccheria ed egoismo da chi resta. Come se i "partiti" e i "rimasti" non fossero le due facce di un Sud ostile ai suoi figli, l’identica medaglia. C’è bisogno – è il pungolo che danno Bianchi e Provenzano – di un racconto che metta insieme gli uni e gli altri e faccia maturare la consapevolezza che è necessario ripartire dagli uni e dagli altri per riprendersi quella parte di futuro che gli è stato negato. Solo così il futuro può essere sempre più a Sud».
Giuseppe Matarazzo

Lo Stato d'assedio e il paradigma Vanni

Il decreto-condono che riammetterà le liste del Pdl, presentate in ritardo e incomplete, è un atto autoritario, un abuso di potere, un golpe istituzionale e un provvedimento "interpretativo" che serve a occultare gli errori e le divisioni, a sanare i pasticci di una destra che fa strame di vincere calpestando le regole. non si capisce bene se Napolitano sia come Luigi Facta. Una cosa è certa Mario Vanni era già molto avanti..."Long life to Mussolini, we (the fascists) will return". Non hanno olio di ricino, ma sono ritornati, più sofisticati che mai. Quella che sembrava apologia, oggi si traduce in pratica con la transustanziazione autotelecratica.