15 ottobre 2012

Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti

di Italo Calvino* C'era un paese che si reggeva sull'illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia. Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita. Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta. Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere. Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri. Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche (e tante altre attività più modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita. In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla. Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti. Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile. Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è. * da Repubblica, 15 marzo 1980 e in “Romanzi e racconti, volume terzo, Racconti e apologhi sparsi”, Meridiani, Mondadori

01 ottobre 2012

Ci pisciano in testa e dicono che piove

Un dialogo illuminante mandato in onda d quei faziosi di Report dello stato di minorità dei cittadini di fronte alle malversazioni politiche. L'unica cosa rimasta è l'indignazione, da scaricare sui tasti, nell'osservare il collasso, dissolvenza del sistema democratico. BERNARDO IOVENE Però il fatto che lei poi debba applicare le leggi che voi fate in Parlamento dentro ai tribunali, non le crea imbarazzo? PIERO LONGO – SENATORE PDL Questo tipo di discorso che mi viene fatto da lei, oggi come mi venne fatto qualche altra volta in altre occasioni, presuppone che lei abbia nei miei confronti, lei che mi sta interrogando adesso, una presunzione di mala fede nei miei confronti; e cioè: lei pensa veramente che in Parlamento io voti una legge che ritengo ingiusta solo per favorire qualcuno?! BERNARDO IOVENE Berlusconi in questo caso. PIERO LONGO – SENATORE PDL Berlusconi in questo caso; allora è fuori strada. BERNARDO IOVENE Beh, all’inizio di questa legislatura tra il Lodo Alfano, il legittimo impedimento, il processo breve… lei dice: “io ci credo e perciò le ho proposte” PIERO LONGO – SENATORE PDL Ma no, ma sono talmente… tra l’altro sostenevo che le soluzioni erano modeste… le soluzioni erano modeste: dovevano essere più radicali. BERNARDO IOVENE Però quelle servivano direttamente a Berlusconi, quelle leggi lì… PIERO LONGO – SENATORE PDL No: indirettamente a Berlusconi. Non esistono … l’unica legge che serviva direttamente Berlusconi è il Lodo. BERNARDO IOVENE Cioè secondo lei non c'è un conflitto tra la sua carica parlamentare e il suo lavoro? PIERO LONGO – SENATORE PDL Senta, lei mi sta chiedendo se sono disonesto? BERNARDO IOVENE No, no: un conflitto… PIERO LONGO – SENATORE PDL No,no, ma io lo dico con estrema tranquillità. BERNARDO IOVENE Per cui per lei l'indagato può stare in Parlamento, anche un condannato in primo grado, immagino? PIERO LONGO – SENATORE PDL No guardi, non esiste un condannato in primo grado: la condanna è soltanto quando la sentenza passa in giudicato. Ma per me, le dirò ancora di più, può stare in Parlamento anche un condannato a pena definitiva. BERNARDO IOVENE Cioè chi ha una carica pubblica..? PIERO LONGO – SENATORE PDL Ma perché scusi il popolo non potrebbe essere libero di votare chi vuole? BERNARDO IOVENE Ma il parlamentare decide le leggi che regolano la nostra vita, non dovrebbero avere ombre. PIERO LONGO – SENATORE PDL Perché? Il Parlamento deve essere la rappresentazione mediana del popolo che rappresenta. Perché dovrebbe essere migliore? MILENA GABANELLI IN STUDIO Se abbiamo capito bene. Siccome il parlamentare rappresenta tutti i cittadini, anche i criminali, i farabutti, i mafiosi e i corrotti, è giusto che in Parlamento qualcuno li rappresenti e tuteli i loro interessi. E’ un ampietà di vedute che sicuramente molti cittadini disonesti di paesi rigorosi ci invidiano. Ora, è vero che ognuno è libero di votare chi vuole, ma i candidati li hanno scelti noi, ma i partiti, che hanno il dovere di presentare, di candidare soltanto persone competenti, senza conflitti e senza pendenze, perché quando siedono su quegli scranni non sono più dei cittadini qualunque altri: in cambio di un lauto stipendio, di un grande potere e grande onore, hai anche l’onere di sacrificarsi, se è il caso, per proteggere l’istituzione che rappresentano.

Apriti Sesamo, il nuovo disco di Franco Battiato