28 dicembre 2010

Fini e la escort

La prostituta che avrebbe registrato un video in cui racconta dei suoi presunti rapporti con il presidente della Camera Gianfranco Fini, il quale ha risposto querelando Libero e Il Giornale si chiama Rachele ed esercita la "professione" in quel di Reggio Emilia. Ecco il suo curriculum hard, comprensivo di lettera di referenze reperibile su un sito di escort searching: "Rachele Italiana, Escort a Reggio Emilia. Splendida escort , appena tornata a Reggio Emilia". Alla giovane Fini avrebbe promesso un posto nel dorato mondo del Grande Fratello. "Ciao sono Rachele Italiana, giovane, elegante, molto sexy e provocante, sono una modella pronta ad esaudire ogni tuo più particolare desiderio, posso riceverti o raggiungerti con un pò di preavviso. Sono esperta di feet job e sono una severa padrona e se lo vuoi anche con pioggia dorata e cioccolata. Chiamami ti aspetto per farti godere!!! Disponibile anche per cene e spettacoli hard di alto livello". Naturalmente si tratta di requisiti assolutamente necessari per sfondare e fare breccia tra i politici.

27 dicembre 2010

Dignità e diritti

di don Luigi Ciotti

No a definizioni come “prete antimafia”, e neppure “prete antidroga”, “prete di strada”, “di frontiera”. Etichette di questo tipo rischiano di far passare per “eccezionale” ciò che invece è – o almeno dovrebbe essere – normale e quasi scontato. Un sacerdote non può che schierarsi, con forza, contro le mafie e tutto ciò che le alimenta: dalla corruzione alle ingiustizie sociali, dalla violenza all’illegalità diffusa. Perché fra mafie e Vangelo c’è un’incompatibilità irriducibile, assoluta. Il Vangelo è parola di vita, di libertà, di speranza: è promessa e annuncio di quello che il crimine organizzato, con la sua cultura di morte, invece nega e cancella. E insieme al Vangelo, a fare da riferimento ai sacerdoti come ad ogni altro cittadino, ci sono la Costituzione italiana e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: testi che su piani diversi affermano lo stesso impegno per la verità, la giustizia, la dignità della persona umana.

Il presidente menzognero

24 dicembre 2010

Bagnara, Calabria. A un centimetro dal baratro

Del mio sventurato paese
C'è stato un tempo non lontano in cui avanzare una timida critica alla gestione della cosa pubblica, da parte del gruppo di potere che ha in mano il paese da quasi dieci anni equivaleva a porsi in maniera disfattista come nemico pubblico. Erano gli anni dei plebisciti bulgari (82% di voti alle comunali e 3500 preferenze per il consiglio provinciale del 2006 con il CCD per l'ex sindaco), passaggio preliminare rispetto all'elezione boom allo scranno della Regione Calabria con 11075 preferenze. Il massimo dello splendore. Nulla lasciava presagire una parabola discendente così immediata. Chi sollevava dei rilievi veniva accusato di lesa maestà, additato al pubblico ludibrio, voleva infangare un'azione volta esclusivamente alla promozione del "bene comune". Ebbene, l'arresto del consigliere regionale Santi Zappalà certifica, soprattutto a livello mediatico, la sublimazione del collasso del modello Bagnara. Nelle conclusioni in calce alle 56 pagine dell'ordinanza, si legge testualmente: "Zappalà non rappresentava un normale candidato che si limitava a chiedere l'appoggio dell'organizzazione criminale per favorire la sua elezione; piuttosto sembra plausibile allo stato ritenere che si tratti di un personaggio abitualmente aduso a trattare con ambienti malavitosi". L'ombra del voto di scambio e del concorso esterno al clan Pelle è inquietante, anche perché come dice il procuratore Pignatone, non è possibile che nella Provincia di Reggio ci sia qualcuno che non riconosca la portata criminale rappresentata dal sodalizio criminale, riconducibile alla cosca sanlucota.

La vicenda giudiziaria farà il suo corso, si sente dire da più parti. Va sospesa chiaramente ogni considerazione di merito, aspettando gli sviluppi della stessa. Fatte decantare le emozioni sul piano umano, però, alcune incalzanti considerazioni di carattere politico sono d'obbligo.

1) In nome del nuovo corso (?) il governatore Peppe Scopelliti è stato inequivocabile, sconfessando pubblicamente l'operato di chi chiede voti alla 'ndrangheta. L'onorevole Angela Napoli chiede lo scioglimento del consiglio regionale. Su che piano si pongono le aggregazioni partitiche locali?

2) E' assordante il silenzio di tutti i partiti politici (così solleciti a offrire sponda alla magistratura in altre circostanze più lievi) e dei sodali dell'uomo politico tratto in arresto, che cautamente sembrano scaricare il problema all'insegna del motto "calati iuncu ca la china passa" o derubricare alla sfera privata il grumo delle accuse.

3) A questo proposito sarebbe opportuno capire se c'è vita nel Partito Democratico, aggregazione ancora troppo intenta a tracciare strategie a perdere, per rendersi conto del proprio scollamento dalla realtà effettuale.

4) La miriade di associazioni che insistono sul territorio non hanno proprio nulla da dire? Alla fine della fiera nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili.

5) Un altro lascito gravoso è la situazione contabile dell'ente comunale, di cui si disconosce la reale entità. Si può dire, a scanso di equivoci, che non c'è uno stato di dissesto finanziario?

6) Chi si candida ad amministrare può escludere aprioristicamente che in futuro farà a meno del consenso della criminalità organizzata o scenderà a compromessi per ottenere sostegno in termini di voti, superato il clamore del momento?

Il passaggio successivo, nell'imminenza di una tornata elettorale così incerta, non può prescindere dall'impegno in politica di chi giustamente oggi non ci sta a identificarsi nel sistema nel suo complesso, della cosiddetta società civile, che osserva voyeuristicamente il corso degli avvenimenti, filosofando onanisticamente sul sesso degli angeli, di giovani professionisti e laureati che si impegnino laddove gli amministratori delle generazioni passate, senza connotazioni di carattere politico, hanno clamorosamente fallito. Chi sfoga oggi il proprio furore iconoclasta e rivendica il ripristino delle normalità democratica ha davanti questa sfida e si trova a un bivio, a un passo dall'abisso. Se non ora, quando? La storia non assolverà nessuno.

23 dicembre 2010

Il naso di Cleopatra, i tempi in cui la 'ndrangheta voleva rapire Silvio

dall'archivio di Repubblica


C' era un piano per rapire il finanziere Silvio Berlusconi. Lo avevano elaborato e discusso i capi della cosca Ruga-Musitano-Aquilino (quella cui sarebbe collegato don Giovanni Stilo, il sacerdote di Africo in carcere per associazione a delinquere di tipo mafioso). Era stata fissata pure la cifra del riscatto: venti miliardi, non una lira in meno. Un grosso affare, che doveva impegnare praticamente tutti i quarantotto membri della banda e mobilitare tutte le varie "succursali" dell' anonima sequestri della zona ionica reggina. Del progettato rapimento del proprietario di "Canale 5", ha dettagliatamente parlato ai giudici di Locri Franco Brunero, trentasei anni, il rapinatore di San Maurizio Canavese, che faceva parte della banda ma poi ha deciso di collaborare con la giustizia e che, con le sue ricche rivelazioni, ha messo nei guai don Stilo, affermando, anche nel confronto diretto con il sacerdote di Africo, di averlo visto ad un vertice di mafia. Anzi, ha aggiunto che don Stilo in quell' occasione disse di poter intervenire, con il pagamento di trecento milioni da versare a un alto prelato e a un giudice di Cassazione, per far rivedere la sentenza che condannava definitivamente il boss Cosimo Ruga per il sequestro dell' industriale torinese Mario Ceretto. Brunero è diventato per i magistrati locresi una fonte di notizie molto importante, e l' ordinanza di rinvio a giudizio della cosca Ruga firmata dal giudice istruttore Jelasi ne è una prima conferma. Ma Brunero, che ha spiegato tutti i segreti dell' anonima sequestri della zona ionica reggina e ha arricchito di particolari inediti episodi già parzialmente noti ai magistrati inquirenti, non è il solo "pentito" ad aver parlato di don Stilo con il dottor Ezio Arcadi il quale ha fatto arrestare il sacerdote-faccendiero. Ieri don Stilo se n' è stato tranquillo nel carcere di Locri. Il dottor Arcadi ha sospeso infatti per ora gli interrogatori. "Ci sono molte carte da guardare e da organizzare prima di proseguire, penso lunedì, con le contestazioni a don Stilo", ha spiegato il giudice. L' indagine istruttoria, che si prevede avrà tempi lungi, dovrebbe comunque essere a una svolta, anche perchè voluminosi nuovi dossier sono arrivati al magistrato che aveva richiesto atti istruttori a varie questure italiane. Dopo la pausa e dopo il nuovo interrogatorio di domani si prevede comunque che il difensore di don Stilo, l' avvocato Michele Murdaca, inoltrerà le sue richieste immediate per la libertà o per gli arresti domiciliari del proprio assistito. Nel frattempo, il giudice Arcadi dovrebbe avviare un' indagine parallela sull' istituto "Serena Juventus" di cui don Stilo è fondatore e preside. C' è il sospetto (secondo qualcuno le carte del magistrato sono più che sufficienti per dimostrarlo) che nell' istituto "Serena Juventus" siano state commesse irregolarità quanto meno nel "dispensare" diplomi a persone, provenienti da molte parti del paese, senza che ne avessero titoli e meriti. Ma è un' indagine alla quale il magistrato almeno inizialmente potrà dedicarsi molto poco: le vicende di mafia hanno la precedenza. - di PANTALEONE SERGI

Io voto da sola

21 dicembre 2010

L'affondo di Angela Napoli



http://www.zoomsud.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4591:ordinanza-integrale-degli-arresti-per-politica-e-ndrangheta&catid=82:primo-piano

Avviare le procedure per lo scioglimento del Consiglio Regionale della Calabria

La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’Interno

– per sapere – premesso che

- nella scorsa settimana sono stati notificati tre avvisi di garanzia emessi dalla DDA di Reggio Calabria a candidati del Consiglio regionale della Calabria nell’ultima competizione elettorale;

- l’accusa è di voto di scambio, concorso esterno in associazione mafiosa e associazione mafiosa;

- in data odierna, nell’ambito dell’operazione “Reale 3”, i Carabinieri del ROS e del Comando provinciale di
Reggio Calabria, hanno eseguito 12 arresti con l’accusa di associazione mafiosa e corruzione elettorale aggravata dalle finalità mafiose;

- tra gli arrestati figurano il consigliere regionale della Calabria, Santi Zappalà, ed altri quattro candidati al civico consesso regionale nell’ultima competizione elettorale;

- l’accusa per tutti è di avere ottenuto il sostegno elettorale della cosca Pelle della ‘ndrangheta; l’appoggio avrebbe dovuto essere ricambiato facendo ottenere alla cosca favori di vario genere tra cui appalti con l’utilizzo di imprese di riferimento del gruppo criminale, finanziamenti e trasferimenti di detenuti;

- l’operazione odierna “Reale 3” evidenzia un palese condizionamento del voto nelle elezioni regionali della Calabria:

- se non ritengono necessario ed urgente avviare le procedure previste dall’articolo 126 della Costituzione della Repubblica Italiana per verificare se sussistono gli elementi utili allo scioglimento del Consiglio Regionale della Calabria.

On. Angela NAPOLI
*******************
La sospensione di un consigliere regionale è di competenza del Governo (Ministero dell'Interno), art. 3 legge 12 gennaio 1994 n.30. Nel caso di sospensione di un consigliere, il Consiglio, nella prima adunanza successiva alla notifica del provvedimento di sospensione, e comunque non oltre trenta giorni dalla notifica, procede alla temporanea sostituzione, affidando la supplenza per l'esercizio delle funzioni di consigliere al candidato della stessa lista che ha riportato, dopo gli eletti, il maggior numero di voti. La supplenza ha termine con la cessazione della sospensione. Qualora sopravvenga la decadenza, si fa luogo alla surrogazione. I precedenti al Consiglio regionale della Calabria riguardano la sostituzione temporanea il 19 febbraio 2002 del consigliere Vincenzino Aiello con Mario Albino Gagliardi(Cdu) e quella il 5 aprile del 2005 di Enzo Sculco con Vincenzo Lucà. La decadenza ha invece riguardato consigliere Domenico Crea con la surroga di Demetrio Battaglia nel 2008. Attualmente il primo dei non eletti dopo Zappalà, nella lista del Pdl, è Gesuele Vilasi.

19 dicembre 2010

Alzare il livello dello scontro


Il capogruppo del principale partito italiano, a suo tempo ministro della Repubblica italiana, ha chiesto l'arresto preventivo di cittadini che intendono manifestare nei prossimi giorni. Una bestialità a livello giuridico. Maurizio Gasparri dimostra di essere proprio sprovvisto dell'Abc dello stato di diritto, ma non sembra essere più nemmeno questo il punto.

I continui richiami all'ordine pubblico, l'applicazione del Daspo alle manifestazioni proposto dal sottosegretario Alfredo Mantovano, la mistica del securitarismo vanno inquadrate in un disegno unitario. Sono pulsioni che hanno sempre attraversato questo esecutivo. Siccome nulla avviene mai per caso. C'è il sospetto fondato che l'autoritarismo sia parte di  una complessa strategia volta a risalire la china dei consensi, con una strumentalizzazione mediatica amplificata a dismisura. Gli apprendisti stregoni soffiano sul fuoco.

Mario Congiusta ha vinto la sua battaglia di civiltà

"dal delitto di Gianluca Congiusta sono trascorsi 596 lunghi giorni
... FINALMENTE GIUSTIZIA!!
Gianluca dal Cielo veglia su chi Verità e Giustizia ha voluto".  Così il sito della Fondazione Gianluca Congiusta commenta la condanna all'ergastolo, inflitta dalla Corte d'Assise di Locri, nei confronti del boss Tommaso Costa, ritenuto il responsabile dell'omicidio del commerciante di Siderno, avvenuto il 25 maggio 2005 per essersi ribellato alla richiesta di estorsione del suocero. Condanna anche per Giuseppe Curciarello a 25 anni di reclusione.

Una giornata storica per la Calabria: hanno un volto gli assassini di Gianluca Congiusta, il giovane commerciante di Siderno ucciso il 25 maggio 2005. Dopo cinque anni arrivano le condanne di primo grado: ergastolo per Tommaso Costa e 25 anni a Giuseppe Curciarello. Questa è la sentenza letta oggi dal presidente Bruno Muscolo nell’aula del Tribunale di Locri - affollata da tanti amici di Gianluca e della sua famiglia che non resteranno mai soli - che ha accolto la richiesta del pm Antonio De Bernardo.

La sentenza del tribunale di Locri di stasera è una decisione necessaria per la famiglia di Gianluca, che premia la straordinaria battaglia di civiltà condotta dal padre Mario e dai suoi familiari in cinque anni difficili, spesso in solitudine, a chiedere di non dimenticare e di non spegnere la luce. Una sentenza che restituisce forza e vigore al movimento anti-‘ndrangheta, in questo momento difficile per il territorio calabrese, per le istituzioni, per la politica, per le forze sociali, per i cittadini.

Ma la sentenza di oggi a Locri è di straordinaria importanza per tutta la Calabria. Sono davvero troppe le morti dimenticate, che non hanno avuto verità dalla storia, che non hanno avuto giustizia nelle aule dei tribunali. Una vergogna – denunciano ancora una volta daSud e Stopndrangheta.it - che pesa come un macigno insopportabile sulla Calabria e che rappresenta una responsabilità gravissima per le classi dirigenti del Paese. Una situazione indegna: troppi familiari e troppi onesti in questi anni sono stati offesi e umiliati dallo Stato che li avrebbe dovuti tutelare, persino da troppi calabresi colpevolmente distratti o peggio complici. La sentenza di condanna per l’omicidio di Gianluca Congiusta può essere quindi la scossa necessaria e la scintilla che produce un nuovo inizio. Che restituisca finalmente dignità ai calabresi onesti. La serata di oggi dell’associazione daSud e di Stopndrangheta (a Roma, nello Spazio daSud, in via Gentile da Mogliano 170) assume un nuovo significato: saranno dedicati alla memoria di Gianluca Congiusta il concerto del cantautore Carmine Torchia e la festa di Natale. Nasce la serata “Gianluca Congiusta, ragazzo”. Un piccolo gesto per ricordare Gianluca, sottolineare l’importanza della sentenza e ribadire ancora una volta – come è stato fatto oggi in aula del tribunale a Locri e qui a Roma – che la famiglia di Gianluca non resterà mai sola.

17 dicembre 2010

Rigurgito antifascista



Zittire qualcuno, apostrofandolo come vigliacco, ripetutamente, in mancanza di altri argomenti e non dare risposte, non è un comportamento civile, tanto meno se si è Ministri della Repubblica, anzi se vogliamo è qualcosa di tipico delle dittature, da cui proviene il brodo di cultura ideologico del soggetto manganellante. Tutto torna alla fine.

16 dicembre 2010

L'ultimo transfuga



Lo scilinguato intervento alla trasmissione radiofonica Un giorno da pecora di Domencio Scilipoti, faccendiere, deputato dell'Idv che ha votato la fiducia al governo Berlusconi e vanta nel suo palmares delle risapute frequentazioni 'ndranghetiste, è l'esemplificazione plastica della superficialità con cui è selezionata la classe dirigente dal partito di Antonio Di Pietro, uno che per tanto tempo ha fatto la morale al Pd (che quanto a cambi di casacca e scelte tafazziane vanta un inarrivabile primato). Al tempo il caso Calearo denota quanto siano vacue le prediche di chi parla di improbabili allargamenti al centro nel momento in cui si prefigurano le magnifiche sortie e progressive strategie di posizionamento del centro-sinistra.

Una lavanderia da cui sono passati in parecchi, rifacendosi l'imene politico. Criteri improntati all'assenza di trasparenza e democrazia nella struttura sono quelli che hanno portato all'arruolamento di gente come Aurelio Misiti, signore del Ponte sullo Stretto, che ha salvato nell'ultima legislatura il progetto dell'Opera faraonica. Certo, con gente così, Di Pietro non può più rivendicare alterità politica, rigore e centralità nella questione morale senza suscitare sbadigli. Se questa è la Terza Repubblica e se questi sono i dirigenti meglio rottamarli, ma se chi propone la rottamazione (leggi Renzi) va a cena con Berlusconi, non c'è proprio speranza. Meglio un esecutivo sine die del Cavaliere per vaccinarsi ancora un po'.

12 dicembre 2010

Il paradosso dei tifosi rossoneri

tratto da voicepopuli.it

Dicono che non bisogna mischiare il Calcio con la Politica.
In realtà, soprattutto in Italia, sono strettamente connessi.
Succede dal 1986, anno in cui piovono i Miliardi dagli Elicotteri. Il LIvello sale, la posta in gioco diventa grossa, si alzano gli stipendi, si prendono Campioni immensi, ed allenatori con una nuova filosofia.
Il Milan tra l’88 ed il ‘94 vince tutto. Con merito. Sul campo è di una potenza devastante.
Berlusconi si presenta agli elettori nel 1994, con un sex appeal calcistico imbarazzante: Scudetti, Coppe Campioni e Intercontinentali.
Stravince le elezioni. Si dovrà poi dimettere per gli avvisi di Garanzia.
Succede qualcosa di diverso nel 2008. Tra il 2003 e il 2007 arrivano altre due coppe dei Campioni. Quella del 2007 sembra così prevista da Berlusconi che a Marzo dice: “Vinciamo Noi”. In finale avrebbe profetizzato pure la doppietta di Inzaghi. Nel 2007 ci furono parecchie amministrative, tra cui Monza, dove il Pdl stravince.
L’anno dopo, con la stessa tecnica, Berlusconi sbaraglia l’opposizione e ottiene una maggioranza record alle politiche.
Il Milan ed i tifosi rossoneri anche in questo hanno dato una grossa mano. Escono però tra il 2008 ed il 2010 numerosi scandali legati al Presidente. Uno su tutti il fattaccio Escort.
Ecco, è qui che il Milanista non sa più che pesci pigliare: nutrito di vittorie che l’hanno fatto sognare per anni, ha ricambiato la propria passione comprando abbonamenti, biglietti, cappellini di Gullit, medaglie, magliette e milioni di stronzatine che il consumismo gettava sulla piazza per il popolo spendaccione.
Oggi che la realtà è venuta a galla il Popolo Rossonero si sente preso in giro, sfruttato per il mero consenso elettorale, un pò come le Escort usate per la campagna elettorale. Solo che una differenza sostanziale rileva: Le Escort si fanno pagare, i Tifosi Milanisti pagano di tasca propria.
Come puoi tu tifoso rossonero, ora che hai capito il trucco, recarti allo stadio e tifare la tua squadra del cuore che è nelle mani dell’Imperatore che ti ha “cornificato”?
Hanno contribuito per anni ad eleggere l’Imperatore, che ha consegnato loro quello che volevano: Vittorie! Salvo fregarli nella vita Reale.
Già ai tempi dello spettacolo dei Gladiatori, al popolo veniva servito il pane e dati loro gli spettacoli. Oggi i calciatori sono i nuovi gladiatori, che fanno sognare generazioni, ma in fondo servono ad uno scopo molto più importante: l’allargamento del consenso.
In questo caso politico.  
Ci sarebbe da affrontare la spartizione di vittorie che tra il 1992 ed il 2006, hanno avuto protagoniste Milan e Juventus.
Ma questa è un’altra storia.

26 novembre 2010

Ancora su don Giacomo Panizza - "Confondevo il pizzo con i modi di dire dialettali"

di Elisabetta Ranieri - nuovasocieta.it

Mi chiede subito se deve preparare un elenco, parla con tono sereno e pacato della ‘ndrangheta e di come lui e suoi ragazzi disabili si sono opposti alla mentalità di paura ed omissione, ride pensando ai suoi primi anni in Calabria in cui lui, il prete nordico, confondeva la parola ‘pizzo’ o le minacce di morte con modi di dire dialettali.  E lui, Don Giacomo Panizza, fondatore del progetto sud che lo ha visto spostarsi nel 1976 da Brescia a Lamezia terme, ha fatto quello che tanti non sono riusciti a fare. Ha aperto la sua comunità di aiuto e sostegno per i ragazzi disabili in uno dei palazzi sequestrati alla famiglia del boss Antonio Torcasio, a soli 6 metri di distanza dalla casa in cui vivono gli stessi Torcasio. E’ sotto scorta da anni, ha ricevuto numerose minacce, manomissioni dei freni delle auto della comunità, è stato etichettato come prete del demonio…ma è andato avanti insieme ai suoi ragazzi ed oggi racconta a Nuovasocietà la sua ‘emigrazione al rovescio’ che come lui stesso ha dichiarato, durante la trasmissione Vieni via con me di Fabio Fazio e Roberto Saviano, gli ha fatto conoscere il limbo, l’inferno, il purgatorio ed il paradiso.

Don Giacomo, la prima domanda che mi viene spontaneo farle è perché? Perché un progetto così arduo al sud, in una terra così difficile da capire per chi non ce l’ha nel dna..

Il perché di questa storia è un perché semplice...a Lourdes c’erano i disabili che venivano dalla Calabria e che quando incontravano quelli della Lombardia gli dicevano: ‘ma noi giù abbiamo niente’ ..e chiedevano di essere ricoverati al nord. In Calabria all’epoca, fine anni ’70 più o meno, c’era quell’operazione un po’ difficile che si chiama, che si chiamava,  istituto Serra D’Aiello - perché l’hanno chiuso poi con uno sgombero dalle forze dell’ordine -  e c’erano altri istituti ma di ricoveri totali ecco, quindi loro chiedevano di essere ricoverati nelle nostre strutture, nelle nostre comunità e invece di ricoverarli mi sono spostato io giù.

L’impatto qual’é stato?

All’inizio non collegavo quello che vedevo o quello che mi dicevano, anche il fatto di chiedermi il pizzo ..io non capivo neanche la parola pizzo, figuriamoci..stiamo parlando del 1976 perciò di tanti anni fa… io stavo con i disabili e capivo solo il loro di linguaggio perciò gli altri linguaggi li ho capiti dopo, prima ho capito il bisogno di queste persone. Quando sono sceso pensavo di aiutare persone in difficoltà, come a Brescia insomma…invece poi mi sono scontrato con le difficoltà legate alla ‘ndrangheta, legate alla mancanza di servizi, legate anche ad una mentalità chiusa..per esempio mentre a Brescia vedevo le persone in carrozzina andare a lavorare qui invece vedevo che anche i genitori stessi dei disabili pensavano che fossero incapaci del tutto, perché le uniche risposte erano i ricoveri, un ricovero grande a Catanzaro ed un altro a Serra D’Aiello (in provincia di Cosenza)..si diceva che chi era handicappato andava ricoverato. Allora ho iniziato a lottare contro questo tipo di mentalità, ma più che a parole, dimostrando che era possibile farli lavorare. La parola lotte però forse è sbagliata..sono stati esperimenti ecco. Se ad esempio mi volevano regalare il proiettore per fare i film qui in comunità, io dicevo ‘no grazie non lo voglio il proiettore, perché io li porto a veder il film dove andate voi, li porto alla sala cinematografica dove andate voi’..e su queste cose c’era chi metteva il broncio, chi mi prendeva per un marziano che non accetta i regali. Invece l’idea poi ha funzionato perché ad esempio qua c’è stata la prima sala cinematografica calabrese che ha abbattuto le barriere architettoniche prima che uscisse la legge insomma perché a furia di andare al cinema con le carrozzine han dovuto fare lo scivolo al posto dei gradini.

Il muro della mentalità ed il muro della ‘ndrangheta …la paura della gente.. Lei è uno dei pochi che per primo ha avuto il coraggio di guardare in faccia certe persone, tra questi ad esempio, il boss Antonio Torcasio…


Io non capivo quando mi chiedevano i soldi per gli aiuti in carcere però dopo ho capito subito che le conseguenze erano molte, come le ruote della macchina, per dirne una, tagliate..il punto è  che ho visto che c’era una paura esagerata insomma, quando questi comunque non sono tantissimi …Non so se si può parlare di coraggio, la verità è che io non capivo come mai se io lavoro questi mi chiedevano soldi perché come si fa prendere i soldi  di un lavoratore onesto,  cioè non riuscivo a concepirla questa cosa, perciò è stata più un’idea di giustizia che di coraggio, per fare la cosa giusta. Per fortuna non sono mai stato solo in questa battaglia perché io vivo con un gruppo di gente in carrozzina che comunque pian piano ha cambiato mentalità, ha capito che le idee che gli proponevo stavano insieme insomma..e ad esempio il fatto di utilizzare quella casa l’abbiamo deciso insieme, certo il prefetto ha chiamato me però io l’ho deciso poi insieme a loro. I segnali di minaccia, certo, sono stati tanti ed io, ripeto, all’inizio non capivo molte cose della Calabria, come ad esempio le minacce di morte, non le capivo finche poi i poliziotti mi han detto che non erano uno scherzo ..’Don Giacomo la traduzione in italiano di quello che le stanno dicendo è che fanno saltare lei e tutta la casa …’  quando io pensavo che fosse un modo di dire ecco.  Io ho un po’ di paura, ma che ci posso fare, la vita è questa qui..

Si aspettava mai di vivere sotto scorta, sotto protezione, di arrivare a tal punto…?

No questo non lo pensavo mai, però me l’hanno imposta. Fatti i processi, avendo anche riconosciuto l’accusa ect, mi hanno sottoposto ad un programma di protezione..

Oggi come oggi rifarebbe tutto quanto? Forse ripensando all’inizio ha agito anche con un po’ di incoscienza non conoscendo la realtà…


Non lo so, certamente prima non capivo in pieno quello che facevo, però oggi vedo che è andata per il verso giusto insomma, magari ci penserei di più ma credo che poi agirei lo stesso. L’incoscienza c’è stata di sicuro, però era un’incoscienza legata al non capire al 100% le cose, ma la direzione la capivo insomma..

Che cosa manca ancora in Calabria?

Un po’ di cose, tra cui il fatto di mettersi a scommettere sulle piccole cose. Non so, adesso si parla del ponte di Messina ect ecco, queste sono cose che per me distraggono perché non ci si accorge di avere l’autostrada che non c’è o le strade di montagna che crollano con la pioggia. Io credo sia più importante avere in mente le piccole cose della vita quotidiana che vanno nel senso giusto, che diventano le cose nostre davvero non le cose nostre alla maniera della ‘ndrangheta perché ‘questi qui’ intendono le cose  nostre di una famiglia, di un clan…mentre per noi ‘nostro’ vuol dire di tutti.

Saviano ha definito i suoi ragazzi diversamente abili perchè dotati della ‘diversa abilità’ del coraggio e della voglia di ribellarsi…
Loro hanno capito tutte queste cose e vanno avanti. Ho una ragazzina che è in carrozzina, quasi al livello di Welby, cioè con la macchina respiratoria ect…che da qui coordina tutte le persone del nostro giro che lottano per la legalità, insegnanti, gruppi di volontariato, coppie di fidanzati o famiglie che portano avanti le cose…Qua è accaduto che ‘gli sgangherati’ hanno alzato la testa e non la gente forte. Chi è forte secondo me deve tenere presente che è normale essere forti, è normale essere se stessi, è normale essere liberi, è normale aiutare chi ha bisogno ed è normale lottare per la giustizia perché si è più felici vivendo così e non vivendo sotto dipendenza ..

Se dovesse allungare la famosa lista delle cose del sud che le piacciono letta da Fazio e Saviano…cosa scriverebbe?

Beh ci sono tante cose belle da aggiungere..certamente mi piace il fatto di avere la gente che cerca di lavorare davvero anche quando viene disturbata, mi piace il fatto delle persone che stanno insieme liberamente invece che venire costrette per forza ad appartenere a qualche famiglia, a qualche clan, sembra che scappano via invece scappano da queste appartenenze che li catturano…mi è piaciuto vedere le proposte per sapere le verità su quelle navi che spariscono, sulle navi inabissate qua davanti al tirreno di cui non si sa cosa c’è dentro ed il governo certo non ci dice queste cose qui ..mi piacciono quelli che partono ed anche quelli che rimangono..secondo me i giovani che partono fan bene a partire ricordando la Calabria e i giovani che rimangono fan bene a rimanere sapendo che devono stare collegati con gli altri che partono, perché la Calabria è comunque un mondo di via vai e credo che tutti qui non ci stiamo..l’importante è  avere la serenità di dire che si parte o che si rimane.

23 novembre 2010

L'insostenibile monnezza della demagogia



Era il 2008. A due anni e mezzo di distanza tremila tonnellate di monnezza invadono Napoli. Dopo le promesse e i proclami il problema rimane: non c'è nessun uomo della Provvidenza. I dieci giorni del "repulisti" sono trascorsi da mesi. Ma naturalmente la colpa è del governo Prodi, di Bassolino, della cattiva gestione e della mancata partenza della raccolta differenziata dei rifiuti, del nemico immaginario. La soluzione? La vecchia logica della militarizzazione, che funziona per dissuadere sullo stato delle cose e lancia manciate di vacuo fumo negli occhi dei più distratti. Carl Schimitt insegna.

19 novembre 2010

Ora la Lega paga il colpo

Nando Dalla Chiesa

Ma davvero pensavano che nessuno gli avrebbe mai chiesto il conto? Sul serio immaginavano di governare per vent'anni la Lombardia senza dovere spiegare come mai i clan calabresi hanno potuto metterci tende e case impunemente, facendosi beffe dei riti celtici e delle adunate di Pontida? Se il centrosinistra ha dovuto rispondere (giustamente) della spazzatura a Napoli, o del degrado delle periferie romane, in base a quale principio chi ha governato regione, province e comuni lombardi nella Seconda Repubblica non dovrebbe rispondere della stupefacente avanzata della 'ndrangheta nel cuore della pianura padana? La questione, cristallina, è ormai sul tappeto. Ed è ridicolo pensare di cavarsela gettando la colpa di tutto sulle "leggi romane", ossia sul soggiorno obbligato. Il quale ha avuto certo un ruolo nel favorire i primi insediamenti mafiosi al Nord. Ma ormai non esiste da più di vent'anni.

Da più di vent'anni, cioè, Cosa Nostra e la 'ndrangheta arrivano al Nord, a grappoli di boss e di affiliati, unicamente perché ci fanno buoni affari, trovano una certa e incredibile ospitalità ambientale e perché, soprattutto, le istituzioni politiche continuano a negarne l'esistenza. Che è una polizza d'oro, visto che se il nemico non esiste non gli si fa la guerra. Meno male che la lotta ai clan la fanno lo stesso le forze dell'ordine e la magistratura, le quali da tempo con migliaia (migliaia...) di arresti e con decine di processi gridano inutilmente alla nazione quello che accade nelle sue aree più ricche. E che si impegnano lì come in Sicilia, in Calabria e in Campania (a proposito, complimenti per la cattura di Iovine), dove però nessuno si sogna più di dire che mafia, camorra e 'ndrangheta non ci siano. In quelle regioni un tempo la Dc, non solo lei ma soprattutto lei, ha allevato un sistema in cui i clan sono straripati fino a farla da padroni. Oggi la Lega e i suoi alleati, non solo loro ma soprattutto loro, li stanno facendo straripare in Lombardia. Grazie dunque a chi arresta i boss, a Casal di Principe come a Buccinasco. Ma paghi il conto chi li fa accomodare nell'edilizia, nei lavori pubblici, nei piani regolatori, nel commercio, in politica, senza dire una parola. Al Sud come in "Padania".

17 novembre 2010

La cantantessa dell'harem



Credo che il berlusconismo continuerà anche dopo Berlusconi. Il berlusconismo è il narcisismo di massa, la svalutazione dei valori più tradizionali della nostra vita collettiva, è il degrado del costume, l'uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione e della politica. Come fenomeno culturale, come portato della televisione commerciale e della mercificazione della vita quotidiana e dei sentimenti, va al di là di Berlusconi  (Marco Belpoliti, L'Espresso)

16 novembre 2010

Generazione locked-in

di Marco Manassola - Il Manifesto, 7 novembre 2010

Quando penso alla generazione cui appartengo, e a quelle che si affacciano a seguire, penso spesso alla sindrome locked-in. Come saprete, si tratta di una condizione poco gradevole. Persone che non controllano più alcun muscolo si ritrovano, perfettamente lucide, prigioniere dentro un corpo paralizzato – riuscendo al massimo a muovere una palpebra. È la stessa generazione di Christian Raimo che sulle pagine del Manifesto [l'articolo è anche su minima et moralia], giorni fa, poneva una domanda cruciale. Perché un popolo di trentenni precari e sottopagati, de-realizzati, senza prospettive su alcun piano, si limita a soffrire ognuno per conto suo, nel chiuso ermetico della propria esistenza? Raimo citava la storia della laureata che guadagna poco più di seicento euro al mese e ne spende trecento per andare in analisi, per sopravvivere all’assenza di realizzazioni nella sua vita.

Una gioventù locked-in. Essere nel pieno del vigore e riuscire al massimo a muovere una palpebra. Le alternative, almeno a giudicare dal teatrino a oltranza che occupa la scena di questo paese, sarebbero le solite: diventare un cervello in fuga o carne da macello per il grande carnevale al potere. Fare la fila ai provini dei reality oppure, se si è ancora abbastanza freschi per soddisfare il mercato, provare a vendere tutto quello che si ha da vendere. Il vecchio Papi della Patria di sicuro gradirà. Nel frattempo, sullo sfondo di questo girone grottesco, di questa scena comica e horror, la nostra vita passa e scade.

Torniamo alla domanda cruciale. Perché tutto questo malessere introiettato, questa consapevolezza solitaria e impotente, questa paralisi e questa scarsità di reazioni che siano soprattutto reazioni condivise? Perché questa “incoscienza di classe”? Già dieci anni fa, nel suo La solitudine del cittadino globale , Zygmunt Bauman scriveva che “le sofferenze che ci tormentano non si sommano e perciò non uniscono le loro vittime. Le sofferenze e i disagi contemporanei sono dispersi e diffusi, e così il dissenso che producono. La dispersione del dissenso, l’impossibilità di concentrarlo e di ancorarlo a una causa comune, rende solo più acute le pene.”

La dispersione è l’orizzonte in cui siamo cresciuti. Abbiamo identità sincretiche, sfaccettate, frammentate e dislocate. Il mercato delle merci e delle esperienze ha instillato in noi, volenti o nolenti, la percezione che la vita vera fosse sempre altrove, sempre un po’ più in là, in un altro luogo: non solo nell’acquisto di un’altra merce o in un altro piano del centro commerciale, ma proprio in un’altra esperienza da fare, in un altro incontro da consumare, in un’altra emozione da non lasciarsi sfuggire, in un altro viaggio da intraprendere, in un altro capitolo del nostro romanzo interiore. Siamo cresciuti pensando che la nostra vita vera fosse altrove solo per renderci conto, infine, che forse non è più da nessuna parte. È anche per questo che essere qui e ora, in pieno, con l’altro e con la sua lotta, anche quando la sua lotta è così vicina alla nostra, ci è così difficile.

Non abbiamo più chiaro cosa sia una comunità e per questo, ancora nostro malgrado, siamo cresciuti con una percezione intima di destra, solitari imprenditori di noi stessi. Ci vuole un doppio, profondissimo sforzo di rielaborazione per ritrovare una via alla sinistra, alla comunità, seppure ormai con la nostra consapevolezza, con la nostra spigolosa individualità. La rete, in questo, sembrava una grande promessa: in quale modo identità sfilacciate come le nostre, piene di tentacoli brancolanti nel buio, potevano allacciarsi e operare in comune? Con il modello dei neuroni e delle sinapsi, ci hanno risposto la rete e l’iperconnessione. E in parte è stato vero. La rete ha creato nuove forme di comunità, fluide e cangianti.

09 novembre 2010

Orchi



(scritto di Franco Berardi Bifo)

La sera del 4 novembre ho seguito la trasmissione Annozero del bravissimo Santoro con disagio, fastidio, ripugnanza. Tutto mi è sembrato orribile, perché rimestare nella merda immerda chiunque. Ma la palma di uomo più ripugnante dell’anno, che ho deciso di attribuire personalmente, tocca a Paolo Mieli. Il direttore del Corriere della sera, untuosamente gareggiando con Emilio Fede e Lele Mora (ma forse battendoli di qualche lunghezza) si è rivolto al presidente del Consiglio per invitarlo a fare più attenzione alle sue frequentazioni.

Ma come, diceva Mieli, non si rende conto signor presidente del Consiglio, di frequentare persone indegne, corrotte, volgari, insomma puttane? Non infanghi, signor Presidente la Sua carica con quelle compagnie di bassa lega.

Vorrei, se mi è concesso, rimettere le cose al loro posto.

Nella storia dei festini a casa Berlusconi non c’è un problema di moralità o di rispetto delle istituzioni. C’è soltanto la solita storia dello sfruttamento dei corpi da parte di uno sfruttatore, con la solita mediazione di ruffiani, lenoni, prosseneti, o caporali. Ci sono ragazze povere, proletarie e precarie alla ricerca di un ingaggio per una serata o per una mesata che accettano di essere assunte da caporali ruffiani che si chiamano Emilio Fede Lele Mora, Angeletti o Bonanni o Sacconi, per potersi offrire sessualmente a un individuo che le paga somme più o meno consistenti, se accettano di accoppiarsi con lui e con i suoi sodali. La morale non c’entra niente, la famiglia la sacralità e tutte queste stronzate non c’entrano niente. C’entra solo la miseria sociale che spinge milioni di persone a vendersi a chi detiene il potere e il danaro. Punto e basta. C’entra la miseria intellettuale prodotta da trent’anni di veleno mediatico, che ha tolto ai corpi e alle menti giovani la capacità di ribellarsi, di prendere a calci i padroni che li sfruttano, o li violentano per pochi euro (molti euro talvolta, quando al puttaniere schiavista di turno vien voglia di essere generoso). C’entra la miseria psichica di una generazione incapace di solidarietà, di auto comprensione, di organizzazione politica, di ribellione, di autonomia etica, politica e sociale.

Nell’agghiacciante spettacolo di Annozero questo emergeva con forza impressionante: il disprezzo che ogni giovane intervistato (gli amici di Karima o il suo fidanzato, per esempio) manifestavano nei confronti della loro coetanea e in conclusione il disprezzo di sé, che il cinismo produce.

Da trent’anni i ruffiani che procurano carne al dittatore si sono impadroniti dell’intero sistema di comunicazione. Fede e Mora si occupano di procurare carne sessuata per le voglie dell’orco di Palazzo Chigi, ma Paolo Mieli procura carne lavoratrice per le voglie dell’orco Marchionne. Non c’è differenza tra l’orrore dei festini e l’orrore di Pomigliano, sia ben chiaro. La storia è la stessa.

Una generazione distrutta psichicamente, intellettualmente, moralmente e sessualmente da una classe dirigente la cui bassezza ha ormai superato ogni possibile giudicabilità.

Della generazione precaria fanno parte allo stesso titolo milioni di lavoratori costretti ad ammazzarsi per un salario infame, e milioni di giovani donne e uomini costretti a vendere pezzi del loro corpo per i succhiamenti di vecchi bavosi, sfruttate poi gettate in pasto a una stampa pruriginosa e ipocrita che usa i prezzolati accoppiamenti come merce di scambio per operazioni politiche di guerra fra porci.

Negli ultimi giorni la guerra fra porci ha raggiunto forse un punto di svolta, chi può mai dirlo.

Finora abbiamo subito il dominio dei ladri, ora tocca prepararsi al dominio degli assassini. I salvatori della patria che si delineano all’orizzonte, i Fini e i D’Alema non sono meglio dell’orco obnubilato dal delirio pornografico-senile. Sono peggio.

Quando a Genova fu necessario torturare e uccidere, nel luglio 2001 Berlusconi incaricò della bisogna il suo Ministro degli interni, che si chiamava Fini. E il primo a violare l’articolo 11 della Costituzone non è stato Berlusconi, ma D’Alema che ha sulla coscienza i bombardamenti criminali sulla fabbrica Zastava di Belgrado e centinaia di militari italiani morti per gli effetti dell’uranio impoverito.

Un articolo di Alberto Asor Rosa uscito sul Manifesto del 4 novembre col titolo Uscire dall’era berlusconiana ( qui ) rischia di alimentare illusioni pericolose, tipo: si può ancora salvare la democrazia italiana se qualcuno caccia l’orco da Palazzo Chigi. Attenzione, non è così. Non c’è più nulla che possa salvare questo paese il cui futuro è scritto nella devastazione che trent’anni di avvelenamento hanno prodotto.

Il regime di Mussolini aveva distrutto la coscienza dell’intero popolo e questo poté risvegliarsi soltanto quando la guerra distrusse il paese. Ma il fascismo di Berlusconi ha distrutto qualcosa di ancor più profondo: non solo la coscienza, ma il rispetto di sé, fondamento di ogni ribellione, di ogni solidarietà e di ogni autonomia.

Una piazza Loreto si sta preparando per il cavalier Berlusconi. Sarà una piazza mediatica, naturalmente, e come accadde nel 1945, a gridare contro il tiranno saranno soprattutto coloro che fino a ieri lo hanno sostenuto. Piazza Loreto fu un episodio di barbarie, culmine e frutto di un ventennio di barbarie. Ma non si esce dalla barbarie senza passare per la Resistenza.

A Roma il 16 ottobre abbiamo visto insorgere quella minoranza che non ha perduto la dignità e la consapevolezza, quella minoranza che ha resistito e che resiste. Non disarmiamola promettendogli la facile soluzione di un governo nel quale accanto ai Fini e ai D’Alema siederanno Marcegaglia e Montezemolo e Marchionne. Quello non sarebbe il governo di liberazione, ma il governo dello schiavismo normalizzato, il governo degli orchi senza feste.

Franco Berardi “Bifo”
Fonte: www.facebook.com
Link: http://www.facebook.com/people/Franco-Berardi/1085524363#!/notes/franco-berardi/orchi/466522670368
5.11.2010olo

04 novembre 2010

I cinque anni di Ammazzatecitutti


Il 4 novembre, festa dell’unità nazionale del nostro Paese, è divenuto per la Calabria il giorno della Speranza.

Dopo decenni nei quali non avevamo avuto il coraggio di guardare la paura dritto negli occhi, dopo decenni nei quali i calabresi sembravano rassegnati all’ineluttabilità della disfatta, dopo decenni nei quali ogni famiglia aveva cresciuto una figlia di nome Rassegnazione, il 4 novembre 2005 i calabresi hanno fatto la loro piccola rivoluzione.

Senza armi, senza i missili terra-aria e le autobomba che i nemici della vita non avevano esitato a far esplodere a Reggio Calabria in pieno centro, anche vicino ad ospedali ed asili, negli anni della seconda guerra di mafia.

Senza soldi, mezzi, senza organizzazione. Forti delle nostre identità, delle nostre radici, abbiamo affidato alle nostre gambe il passo della Speranza, tenuti per mano dai nostri genitori e dai nostri nonni, e anche di quelli che per paura ci spiavano dietro le tende delle finestre, ma che in cuor loro facevano il tifo per noi.

Molti ci davano per vinti prima ancora di cominciare, poi, sono arrivati i ragazzi e le ragazze di tutta Italia. Ognuno, dietro quello striscione, ci ha dato una parte del suo coraggio, per guardare dritto in faccia il male, per fagli capire che ci eravamo finalmente svegliati, e che non avevamo più intenzione di chiudere gli occhi, o di voltarci dall’altra parte: “E adesso ammazzateci tutti“.

Quel giorno, il 4 novembre del 2005, la ‘ndrangheta ha capito che era l’inizio della sua fine.

Eravamo riusciti a portare per le strade di Locri più di ventimila persone, rompendo a mani nude un muro di omertà e paura.

Era la nostra piccola rivoluzione della normalità. Sì, perché al Sud anche la normalità ha qualcosa di rivoluzionario.

(dedicato a tutte quelle persone che in cinque anni hanno accompagnato e fatto crescere “Ammazzateci Tutti“)

Aldo Pecora

Presidente “Ammazzateci tutti”

22 ottobre 2010

L'antimafia, i forcaioli e la Calabria respingente



Chi vuole mandarmi via dalla Calabria?

di Piero Sansonetti


Sono sempre più complicate le vicende che riguardano la libertà di informazione. A volte incomprensibili, a volte inestricabili. Assai complicate dal fatto che chiunque partecipi alla polemica non è molto interessato, in genere, agli argomenti in discussione, ma è solo preoccupato di schierarsi con la sua squadra. Se è di destra si schiera con Berlusconi se è di sinistra contro.

Devo dire la verità: a me non è sembrata per niente chiara neanche la vicenda Fazio-Saviano-Benigni. Ha sollevato un iradiddio, ma leggendo i giornali non sono riuscito a farmi una idea. I giornali di sinistra – diciamo così: di sinistra, anche se avrei molto da discutere… – sostengono che la Rai sta boicottando la trasmissione di Fazio perché antiberlusconiana. E capite bene che se le cose stanno così non è un fatto positivo. I giornali di destra sostengono invece che per questa trasmissione Saviano aveva chiesto un compenso di 240 mila euro (per quattro puntate) e Benigni di 350 mila euro (per una sola puntata) e del compenso di Fazio non si sa bene. Capite che se davvero fosse così, e se la Rai si fosse opposta per ragioni economiche, tutta la scena cambierebbe, e a fare la figuraccia non sarebbe più la Rai ma Saviano e Benigni, cioè due personaggi molto importanti e autorevolissimi dell’intellettualità italiana.

Io francamente non riseco a capire chi ha ragione, perché i giornali di sinistra non fanno cenno a questi compensi, e i giornali di destra non fanno accenno, e neanche smentiscono, però, il veto berlusconiano del quale parla Saviano.

Come ci si può orientare? È ragionevole conoscere la verità? Se davvero Saviano e Benigni prendono quelle cifre, francamente mi pare un po’ difficile chiedere alle masse popolari di scendere in piazza a loro difesa, visto che in genere un bravo impiegato o un operaio (cioè i componenti delle masse popolari), per guadagnare 350 mila euro ci mettono più o meno 15 anni. Se invece Saviano e Benigni, come sarebbe logico, prendessero solo poche centinaia (o al massimo migliaia di euro) allora è giusto che scatti la protesta. Così come è sicuramente giusta una protesta, anche piuttosto forte, contro il fatto che il premier (che si batte per la propria impunità, col lodo Alfano) pretende poi di portare in tribunale la Gabanelli. È una cosa insensata: se il premier pensa che un premier debba restare fuori dai palazzi di Giustizia, per evitare interferenza tra i poteri dello Stato, è chiaro che questo vale sia se è accusato ma anche se è accusatore. Se Berlusconi vuole fare causa alla Milena Gabanelli aspetti che si concluda il suo mandato.

* * *

Luca Telese, sul Fatto, mi accusa di essere un servo di Berlusconi e addirittura “un agente provocatore”, perché nella trasmissione di Vespa sul caso “Annozero” non ho mandato anch’io affanculo Masi, ma mi sono limitato a criticarlo con toni gentili. Vorrei fare una osservazione e una domanda. L’osservazione me l’ha suggerita Saviano, il quale l’altra sera ad “Annozero” ha detto che se uno va in Tv è bene che sia pagato perché solo se è pagato poi il pubblico e i commentatori hanno il diritto di criticarlo. Rivendico il lodo- Saviano: io quando vado in Tv non vengo mai pagato, e dunque non esiste il diritto di critica nei miei confronti! Taci, o Telese!

La domanda agli amici del Fatto è questa: ma questo Telese è omonimo di quel Luca Telese che fino a un annetto fa era una firma di punta del Giornale? Io personalmente da Berlusconi, in tutta la mia vita, ho preso 300 euro per un articolo che scrissi tre anni fa su Panorama. Ben pagato, devo dire. Quel Luca Telese omonimo di Luca Telese mi sa che ha beccato qualche euretto di più… Direte: ma il lavoro è lavoro, uno che fa il giornalista lo fa ovunque. Beh, io – che pure sono venduto a Berlusconi – quando me ne andai da Liberazione ebbi offerte di lavoro dal Giornale, da Libero, e dal Foglio, tutti quotidiani che ritengo rispettabilissimi, ma siccome erano giornali di destra, o comunque moderati, preferii accontentarmi dell’assegno di disoccupazione.

* * *

Mi accusano di avere licenziato da Calabria Ora – un giovane giornalista antimafia. Io non ho licenziato nessuno. Questo giornalista nelle settimane scorse ha inventato clamorosamente delle notizie che mi riguardavano, e ha avanzato sospetti sulla mia simpatia per la mafia. Per ovvi motivi lo ho querelato, ma mi sono ben guardato dal sollecitare misure disciplinari. Nessuno degli atti di questa vicenda è avvenuto nella riservatezza, tutto in pubblico, e quindi è facile verificare ogni passaggio: il Cdr di Calabria Ora e anche la Fnsi calabrese sanno perfettamente che ho fatto di tutto per evitare provvedimenti nei confronti di questo giornalista e anche per impedire il suo trasferimento da Reggio a Catanzaro (che pure era abbastanza logico) vista la sua ferma opposizione. L’editore però non era d’accordo con me e lo ha licenziato. I sindacati, se lo riterranno opportuno, potranno intervenire.

Tutta questa vicenda si è particolarmente arroventata per varie ragioni. La principale credo che sia stato il mio noto e insopportabile garantismo. Nei giorni scorsi avevo pubblicato un ampio articolo su Calabria Ora intitolato “Antimafia sì forcaioli no”. È successo un putiferio. Per settori non piccolissimi della sinistra, soprattutto in regioni come la Calabria, dichiarasi garantisti è un po’ come dichiararsi mafiosi. Per esempio dubitare che – in assenza di informazioni contrarie – il presidente della Regione Scopelliti sia un leader indiscusso della ‘ndrangheta, equivale a una ammissione di affiliazione alle cosche. Bé, vi dico la verità: sono venuto in Calabria per fare il giornalista e continuerò a farlo come lo facevo a Roma, resterò garantista, combatterò i linciaggi, le gogne, e le orge dei sospetti. Se vorranno possono sempre cacciarmi, per me non sarà la prima volta…

21 ottobre 2010

La propaganda e la Biutiful Country

La Calabria sottosopra


«La ’ndrangheta è viva e marcia insieme a noi». La frase era su uno striscione portato da una ragazza quindicenne nella marcia contro la ‘ndrangheta sabato 25 settembre a Regggio Calabria. Uno slogan che riassume comple­tamente la situazione della Calabria di oggi e che Nino Amadore, giornalista del Sole 24Ore che da anni segue quella regione per le pagine locali del suo giornale, prova a indagare nel libro in uscita per i tipi della casa editrice Rubbettino di Soveria Mannelli (Catanzaro) che appunto si intitola “La Calabria sottosopra” (115 pagine, 12 euro). Il volume, già in libreria, è un’inchiesta sulla conta­mi­nazione culturale che la ‘ndrangheta ha saputo organizzare, permeando con i suoi uomini tutto ciò che era possibile permeare.
Un libro che prova a raccontare le conse­guenze concrete del sotto­sviluppo mafioso cui non sono estranee le scelte e le azioni di una classe dirigente troppo a lungo legata diret­tamente ai famigli delle ‘ndrine o alla loro subcultura mafiosa. Ma anche una classe politica che si è allenata, a destra come a sinistra, a rappre­sentare interessi molto spesso opachi, molto spesso della ‘ndrangheta. Così la rappre­sentanza dell’illegalità è diventata un fatto naturale, scontato, tanto da far apparire ai più folle chi osa ribellarsi al potere costituito che qui non è lo stato ma il potere parallelo. La ‘ndrangheta, certo, ha capito prima degli altri che bisognava attrezzarsi e non farsi travolgere dal futuro: ha mandato i propri figli a studiare, ha occupato l’università più predi­sposta a certe operazioni come quella di Messina, ha fatto valere il proprio potere sul mercato degli scambi criminali con la mafia siciliana. La ‘ndrangheta si è quasi fatta classe dirigente in enti locali, province, unità sanitarie locali e mutuando i riti massonici o entrando a pieno titolo nelle logge ha portato i propri uomini nei salotti buoni. E così anche chi si credeva esente da certo malaffare criminale, come la provincia di Cosenza, non lo è più. Anche il migliore degli esperimenti come l’Università di Arcavacata a Rende, esempio di convento laico per una possibile e liberale classe dirigente del domani, ha dimostrato tutti i limiti.
Una regione che è un nodo da sciogliere perché è la dimostrazione concreta, dati alla mano e storie a bizzeffe, di come non sia possibile in Italia un vero federalismo fiscale che veda gli enti locali prota­gonisti per esempio della caccia agli evasori fiscali: ve lo immaginate un sindaco eletto in Calabria con i voti delle famiglie mafiose andare in cerca di evasori fiscali?O vi immaginate quel giovane primo cittadino, un profes­sionista, il quale pur di essere eletto dice candi­damente che la lotta alla ‘ndrangheta spetta allo Stato e non ai Comuni? Per non parlare degli impren­ditori: alcuni (pochi) che provano a lanciare messaggi antimafia, qualche altro come Pippo Callipo che ne fa una battaglia umana, passionale, personale ma poi la butta in politica, qualche altro che pensa di darla a bere a tutti cercando alibi per continuare a fare quello che ha sempre fatto: il colluso. Pochissimi si presentano in questura o dai carabinieri per denunciare il racket o pressioni sugli appalti. C’è tutto questo e altro ancora nel libro di Amadore. Il quale indaga senza pregiudizi ma anche senza voler nascondere nulla. E guarda la Calabria ancora dal bar Bristol, il locale di fronte all’Università di Messina dove i giovani rampolli di ‘ndrangheta si fermavano a chiac­chierare e qualche volta a decidere grandi strategie. Criminali.

18 ottobre 2010

Senza causa

dal blog di Enrico Sola

Consulto pochissimo Facebook, ma ogni volta che do un’occhiata da quelle parti mi rendo conto che trabocca di gente presa da una o più cause.

Tutti hanno qualcosa da dimostrare o hanno dei proseliti da fare, hanno qualcosa da proporre, stili di vita da promuovere o - peggio - qualcosa da vendere
Ci sono quelli che pubblicano tutto lo scibile umano sulle malefatte di Berlusconi e si indignano in coro nei commenti. Ci sono gli interisti militanti, i ciclisti “no oil” (btw: spero sempre gli salti via il sellino, alla Fantozzi: sono riusciti a rendere odiosa una cosa semplice e popolare come la bici), gli adottatori compulsivi di cani e gatti, i meridionalisti incazzati, i postatori seriali di videoclip monotematici, i vegani molesti, le fashion victim, i “guarda che belle foto che faccio” e così via.

Forse sto invecchiando. O forse sto diventando - uccidetemi, nel caso - moderato (brrrrrr), ma non ho cause da proporre, non ho scelte di vita da presentare al prossimo (le tengo per me), non ho gruppi a cui appartengo che mi inorgogliscono più di tanto, non ho nessun posto o evento a cui invitarvi e no, non vi consiglio di aggiungere alcunché all’elenco di menate di cui tutti farciamo i nostri profili Facebook. E figuriamoci se ho qualcosa da vendere.

Eppure sono uno a cui non mancano le opinioni. Ok, è un eufemismo. Riformulo.
Eppure sono un fazioso di merda, ben oltre i limiti della sopportabilità, a cui non è affatto estraneo il concetto di militanza per cause grandi o piccole, serie e idiote (soprattutto idiote).

Però, boh, mi rendo conto che in questo diluvio di issues, di proclami, di inviti e di adunate non ho voglia di dire niente e non ho voglia di seguire niente e nessuno. E non è pigrizia. È che non sono mai convintissimo. O se lo sono, lo sono con dolcezza.

Faccio un esempio. Penso che Minzolini sia un servo patetico, ma non mi metterei mai in coda dietro a quelli che chiedono le sue dimissioni ai quattro venti, fanno le adunate col Waka-waka e si indignano. E dire che hanno ragione. Però proprio non ci riesco. E vale così per un miliardo di altre cause che quotidianamente infestano il mio Facebook.

In un periodo pieno di assoluti, ho solo pensieri morbidi. Il gruppo più accanito a cui riuscirei a iscrivermi su Facebook sarebbe qualcosa tipo “Forse sarebbe meglio che la gente guardasse di più Star Trek” o “Non maltrattate i panda ma non dategli neanche troppa confidenza, ché non si sa mai”.

Temo che, accantonata l’ipotesi della demenza senile precoce, il perché di questo rifiuto della militanza e dell’enfasi conseguente sia tristissimo. Mi sa che mi sono convinto che non ha senso sbattersi troppo, perché tanto il prossimo non ti capisce e viviamo in un paese (in un mondo?) di scemi. E non vale solo per la politica, ma anche per tutto il resto.

Insomma, il solito disperato “no future” del punk senza l’incazzatura nichilista, senza le spillette cool e senza il giubbotto di pelle, che fa tanto figo.

11 ottobre 2010

Giuseppe Scopelliti, Lucio Musolino e una informativa dei carabinieri

da netnews1.org

Un bravo giornalista sta sempre sulla notizia. Antonino Monteleone dà la possibilità di leggere cosa c'è scritto sull'informativa dei Carabinieri allegata al fascicolo dell'inchiesta Meta, da cui Lucio Musolino ha tratto spunto per i suoi articoli e il suo intervento durante il collegamento diretto con la trasmissione "Annozero", il quale ha indotto il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti a presentare querela contro di lui. Nella Calabria di oggi è difficile fare politica senza entrare in contatto con persone facenti parti di consorterie mafiose. Monteleone offre un esempio concreto di questo. L'amara considerazione del giornalista è che nessuno si sogna di fare passi indietro: la politica calabrese continua a fare il suo corso infischiandosene se le informative di polizia o collaboratori di giustizia parlano di frequentazioni "pericolose" con personaggi "equivoci", indagati o, addirittura, arrestati. L'unico provvedimento concreto preso è querelare un giornalista, la cui unica colpa è attingere a quelle fonti per lo svolgimento del suo lavoro.

Quando il Liga non basta: il nuovo spot del Pd tra boschi di braccia tese e messaggi senza feedback

09 ottobre 2010

Nella trincea di Reggio tra giudici coraggio e servizi deviati

Giudici coraggiosi, politica e servizi deviati Pignatone: "Collusi anche negli apparati dello Stato"
dì Sandra Amurri - Il Fatto Quotidiano
La città alle prime ore del mattino si mostra surriscaldata e non solo per via di un sole agostano. Davanti alle edicole si fermano a leggere le locandine con la foto del bazooka fatto ritrovare da una telefonata anonima a pochi passi dall'ufficio del Procuratore capo Giuseppe Pignatone. Nei bar commentano la notizia e c'è chi ad alta voce ripete: Pignatone è bravo peccato che se ne sta per andare. Vox populi, vox Dei. Dopo quasi vent'anni, per la prima volta due "forestieri" Pignatone e il suo aggiunto Michele Prestipino arrivati da Palermo assieme a quellaparte "sana" del Palazzo, a giovani magistrati e alle forze di polizia - presenti con un 30% in meno del dovuto - iniziano a fare indagini che non guardano in faccia a nessuno: politici e "traditori" . E quel sistema consolidato che ha reso la Calabria terra estranea ai circuiti informativi. Affiliazioni in crescita
A ROSARNO15 mila abitanti ci sono 250 affiliati. Se aggiungiamo i parenti e gli amici la situazione si aggrava. "Ne facciamo 3 o 4 la settimana" dice il boss Oppedisano intercettato. A Reggio la situazione non è migliore. Giusto per fare un parallelo. A Bagheria ai tempi di Provenzano su 58 mila abitanti, gli uomini d'onore erano 58. "Mi chiedono se la 'ndrangheta riscuote consenso. Ma di cosa discutiamo?". Gli arresti, il sequestro dei beni, i pentiti, la prima grande operazione H crimine condotta con la Dda di Milano, segnano l'inizio e la svolta di quel metodo che a distanza di pochi mesi inizierà a far saltare il coperchio di una pentola da cui esce puzza di servizi deviati. Forze che scendono in campo in difesa della restaurazione. L'ultimo processo ai mafiosi "Olimpia" risale al '95. Da allora il vuoto. È come dire che la conoscenza di Cosa Nostra si fosse fermata al maxi-processo. Nel frattempo l'organizzazione criminale è proliferata senza ostacoli articolandosi in una miriade di famiglie di cosche espandendosi in Liguria dove ha fondato una sorta di "camera di controllo" in cui decidere le controversie. In Piemonte ma anche in Germania, in Svizzera in Canada e in Australia. Il commercialista e l'altro Stato L'ODORE DI SERVIZI deviati è riconducibile ad un nome: Giovanni Zumbo. Commercialista stimato a tal punto che gli era stata anche affidata la gestione dei beni sequestrati, che gode va della fiducia dei magistrati, che ha prestato servizio presso la segreteria politica dell'onorevole Alberto Sarra durante la presidenza Chiaravalloti, attuale sottosegretario regionale alle riforme della Giunta Scopelliti. Era stato fiduciario del Sismi, Zumbo, e di alcuni marescialli del ros Guardia di Finanza poi passati al Sisde. È lui che da le notizie fresche di giornata sulle indagini in corso alla 'ndrangheta. Come viene raccontato dal Procuratore Pignatone alla Commissione Antimafia. Sembra la sceneggiatura di un film. Le intimidazioni di gennaio IL 21 GENNAIO 2010, mentre Napolitano sta lasciando Reggio Calabria dove è arrivato per manifestare solidarietà al Procuratore Generale Salvatore Di Landra oggetto di minacce, i carabinieri scoprono una Fiat Marea con a bordo esplosivo pistole, fucili, guanti di lattice e passamontagna. Le indagini rivelano che il contenuto non aveva alcuna potenzialità lesiva, le armi erano arrugginite, l'esplosivo era artigianale, i guanti di lattice e i passamontagna erano nuovi (quindi l'auto non era stata abbandonata in fuga ma era stata parcheggiata per essere ritrovata). Quelle armi erano state usate nel 2004 e nel 2005 per una serie di attentati estorsivi contro auto e saracinesche dei negozi. Era stata la cosca Ficara. Un passo indietro. Una microspia installata precedentemente dai Ros a casa del boss Giovanni Pelle svela che Zumbo (il commercialista), mentre i carabinieri stavano ancora scrivendo l'informativa, era a conoscenza dell'inchiesta Il Crimine, anche più degli stessi magistrati. Tanto che assicura che avrebbe consegnato l'elenco di quelli che sarebbero stati arrestati. Il progetto va a monte perché per Pelle e Zumbo scattano le manette. I carabinieri rivelano che la fonte confidenziale che aveva permesso di rinvenire l'auto con l'esplosivo era Zumbo. In sintesi Zumbo per accreditarsi come fonte attendibile aveva fatto fare ai carabinieri quel "colpaccio". La Procura sta cercando di trovare le risposte alle seguenti domande: "Chi ha mandato Zumbo da Ficara? Chi lo ha autorizzato a compiere l'operazione della macchina da far ritrovare durante la visita di Napolitano? Chi lo ha mandato dal mafioso Pelle a fornirgli tutte quelle notizie sull'operazione H Crimine?". Di certo Zumbo può aver avuto le notizie solo da un appartenente agli apparati di polizia o di sicurezza. "Ho ritenuto opportuno di rappresentare questa situazione perché inserisce un tassello allarmante della situazione odierna in Calabria caratterizzata da minacce, attentati ecc... Spero di essere stato chiaro", ha detto il procuratore Pignatone all'Antimafia. Se ne deduce che le istituzioni, la politica, lo Stato sappiano che il salto di qualità è dato dalla presenza accertata di "infiltrati, di persone che giocano una partita illecita anche nell'ambito degli apparati, che ci sono collusioni". Quello che ci troviamo davanti, varcata la soglia dell'ufficio, è un uomo che non porta i segni della fatica nonostante venga accompagnato in ufficio alle 8 del mattino da sette agenti che lo riaccompagnano in caserma a notte inoltrata. È un uomo, si sa, abituato a contenere le emozioni. Dalla sua bocca non riceviamo una sola parola arrendevole, neppure pensando a quel bazooka - ora nelle mani della scientifica - pronto per colpirlo. Bensì ragionamenti lucidi che ci spiegano come sia complicato ma non impossibile lavorare in una realtà da sempre dimenticata. Uno sguardo d'insieme CERTO A GUARDARSI attorno, lo sporco in terra, il senso di abbandono che ne deriva, la mancanza di organico - il passaggio obbligato nei bagni per raggiungere dalla stanza del Procuratore a quella di Prestipino - fa apparire l'arrivo dell'esercito un moscerino inviato a combattere gli elefanti. Lo Stato qui è latitante da anni, senza che nessuno lo cercasse. Ora che inizia ad avere volti e nomi, c'è chi si adopera a sfiancarli. E non è certamente la 'ndrangheta. Pignatone non se ne andrà sicuramente prima della scadenza dei tre anni: "Continueremo a fare quello che con tutti i nostri limiti riteniamo di dover fare nel rispetto della Costituzione e del codice. Per il resto è veramente un problema della politica". E se non è chiaro tutto lascia credere che lo sarà tra non molto.

07 ottobre 2010

Una maestra che sfida la 'ndrangheta



La violenza che scompagina in modo drammatico la vita di una famiglia. La resistenza quotidiana di Liliana Carbone all’oppressione mafiosa. Sono i temi al centro del documentario indipendente  “Oltre l’inverno”, realizzato da tre giovani autori catanzaresi: Massimiliano Ferraina (regista), Claudia Di Lullo (dialoghista) e Raffaella Cosentino (giornalista freelance). Trenta minuti di immagini che si concentrano sui gesti quotidiani di mamma Carbone a Locri. Momenti carichi di ritualità e di significati perché esprimono il dramma di aver perso un figlio di 30 anni ucciso dalla ‘ndrangheta e il bisogno di andare ‘oltre’, di mantenere viva l’attenzione allargando il campo rispetto alla vicenda personale.

Liliana Esposito Carbone è una maestra elementare di Locri e ha visto uccidere suo figlio nel cortile di casa in un agguato la sera del 17  settembre 2004. Massimiliano stava rientrando con suo fratello da una partita di calcetto. Le ferite gravi riportate nell’agguato non gli hanno risparmiato 7 giorni di agonia prima di spegnersi in ospedale. E’ morto il 24 settembre di sei anni fa, esattamente nel giorno del compleanno di sua madre. Quel giorno segna il passaggio del testimone. A chi ha ucciso per affossare la verità in una tomba, Liliana risponde diventando uno straordinario megafono per chiedere giustizia, non solo per suo figlio ma per tutti i ragazzi e i bambini di Locri.  E’ superfluo dire che Massimiliano era incensurato, amava il calcio. Aveva fondato una piccola cooperativa. Aveva una vita normale. Un giovane calabrese che aveva deciso di restare nella sua terra. La sua fine è ancora avvolta dal mistero. Il tribunale di quella città e i suoi inquirenti non hanno saputo dare una verità giudiziaria alla mamma di Massimiliano, perché la sua famiglia trovasse il conforto della giustizia giusta. Raccontare il caso Carbone è difficile perché non esiste una sentenza da riportare nelle cronache, una risposta a chi si chiede perché tanta violenza su un giovane al di fuori da qualunque contesto criminale. Una storia piena di buchi e di colpevoli reticenze.
Liliana Carbone non ha risparmiato risorse personali e forze fisiche nella ricerca della verità. Né si è preoccupata di esporsi ai rischi delle ritorsioni, dell’isolamento e della calunnia. Una vicenda che tira in ballo connivenze e omertà , visto che a Locri non si uccide senza il coinvolgimento di killer delle cosche o senza l’assenzo della ‘ndrangheta. Una storia che finora insegna che si può uccidere impunemente. Ma anche che non si può mettere a tacere la verità a fucilate. Perché dopo Massimiliano, c’è Liliana e dopo di lei ci siamo noi che continueremo a raccontare la sua lotta, perchè è la battaglia di tutti coloro che non si rassegnano, che non si chiudono nella paura e nel silenzio. Liliana ha fatto del dolore una battaglia civile. E in terra di ‘ndrangheta se chiedi a testa alta il rispetto dei tuoi diritti di cittadina, di madre, di maestra, chiedi di cambiare le cose. La rivendicazione individuale diventa una causa collettiva. Oltre l’inverno vuole combattere l’idea che ci sono “pezzi di paese dati per persi” dai giornali e dai politici. 
“ Nella vita personale e nella società ci sono periodi che assomigliano molto all’inverno- dice il regista Massimiliano Ferraina - Come nel ciclo delle stagioni l’inverno si trasforma in primavera così nella vita personale e nella società è necessaria una trasformazione. Quando ho incontrato per la prima volta Liliana Carbone, sono rimasto colpito dalla forza e dall’energia con cui questa donna portava avanti la sua richiesta di giustizia. Subito si rimane colpiti dai suoi argomenti mai banali e dalle citazioni letterarie, dalla capacità di analisi non comune e dal suo desiderio di trasformazione. Nessuno può comprendere il dolore di una madre per la perdita del figlio e altrettanto difficile è comprendere una lotta che spinge oltre i valori di una società che spesso pigramente rimane legata a disvalori che considera immutabili”. Su come vincere questa sottocultura mafiosa gli autori del documentario vogliono offrire spunti di riflessione. Un’intenzione che Liliana Carbone ben sintetizza nella frase:“Perché non c’è una evoluzione, che è già una forma di trasformazione, qui da noi? Perché per cambiare qualcosa c’è bisogno di vincere l’assuefazione e l’immobilismo, quella forma di conservazione che ci fa pensare di rischiare la nostra sicurezza ”. Oltre l’inverno racconta la ‘ndrangheta come un’immane sofferenza sociale, in cui le donne hanno un ruolo di primo piano, sia le donne di mafia che trasmettono i disvalori alle nuove generazioni, sia le donne che incoraggiano il cambiamento, offrendo per questo ideale la loro stessa vita. "L'esperienza più significativa è stata quella di vedere una mamma, che lotta senza tregua per proteggere la memoria di suo figlio- commenta Claudia Di Lullo - è la storia umana di Liliana che ha catturato la mia attenzione. La sua tenacia, il suo coraggio. Un prezioso incoraggiamento  per tutte le donne calabresi”.

05 ottobre 2010

Reggio Calabria piena di tritolo aspetta il “Botto”. L’Italia prepara lacrime di coccodrillo



di Lucio Fero da blitzquotidiano.it

A Reggio Calabria attendono il “Botto”. Basta accendere una radio e ascoltare un notiziario per saperlo, oppure fare una telefonata laggiù a qualcuno che ci vive e lavora. A Reggio Calabria la ‘ndrangheta ha fatto quel che non ha mia fatto, ha “rivendicato” l’ultimatum in  forma di bazooka lasciato davanti alla sede del Tribunale, destinatario del messaggio il magistrato Pignatone. La ‘ndrangheta non rivendica mai, non ha bisogno di farlo perché si riconosca la sua “firma”. Se lo fa è perché a suo modo “avverte” che il “Botto” si avvicina. Basta chiederlo all’ultimo cronista che si occupa di crimine organizzato, basta chiederlo al primo poliziotto che si incontra “laggiù”. A Reggio Calabria circolano armi, armi pesanti come non mai, armi che vengono esibite. Basta mettere in fila le sequenze delle minacce di un anno. A Reggio Calabria c’è tanto esplosivo, tanto tritolo. Basta ascoltare il pacato e informato servizio mandato in onda dalla radio della Confindustria. Basta non essere sordi, ciechi e muti per sentire e vedere il pericolo del “Botto”, cioè dell’attentato in grande stile.

Ma non risulta che il capo del governo e  presidente del Consiglio stia per lanciare un pubblico monito alla ‘ndrangheta, uno di quei suoi discorsi tesi, decisi e nervosi con cui ogni giorno l’inquilino di Palazzo Chigi sbatte il pugno sul tavolo e avverte il popolo che “non lo permetterà”. Non risulta che il ministro degli Interni Maroni sia pronto ad una pubblica dichiarazione, ad uno “scudo”, fosse anche solo verbale, ad un avvertimento che lo Stato non tollererà. Non risulta che il ministro della Giustizia Alfano abbia contattato il Csm e che il Csm abbia reciprocamednte fatto altrettanto con il ministro. Una riunione, una sede congiunta, un’immagine di unità da sbattere in faccia a chi prepara il “Botto”. Non risulta, non c’è: il ministro è impegnato con il Lodo e il processo breve, il Csm con la pratica a tutela contro le dichiarazioni di Berlusconi.

Non risulta che la Fiom stia allestendo un presidio di piazza in una piazza di Reggio. Né che Beppe Grillo abbia aperto il suo blog per farne anello di una catena che disinneschi per quel che può la miccia che corre verso il “Botto”. Non risulta che i vari “popoli della legalità” stiano mobilitando per costruire una cintura umana a difesa degli uomini della legge minacciati di “Botto”. Non risulta che Bonanni e la sua Cisl e Angeletti e la sua Uil abbiano allertato le “strutture territoriali” dei rispettivi sindacati dopo le notizie, anzi le prove, della infiltrazione della ‘ndrangheta nelle imprese di “laggiù”. E non risulta che la Cgil di Epifani mediti, se non uno sciopero, almeno una “mobilitazione” laggiù. Non risulta che le due opposizioni, quella di centro e quella di sinistra, abbiano telegrafato a tutti i “circoli” di cui dispongono “laggiù” per fare da “scudi” politici se non umani ai possibili bersagli del “Botto”.

Non risulta nulla del genere. Faranno eventualmente tutto questo. Eventualmente dopo, dopo il “Botto”.