03 luglio 2009

L’esprit del Sud piagnone e irrisolto



La vita è un’impresa difficile e precaria, sospesa tra un inizio che non abbiamo scelto e una fine che non dipende da noi” (Franco Cassano)

Comunemente capita di imbattersi in ragionamenti di questo genere: “I rifiuti sono Napoli, Napoli è il Mezzogiorno, i rifiuti sono il Mezzogiorno”. Se si sostituisce il primo termine del sillogismo, cambiando al tempo stesso latitudine urbana, con vocaboli come mafia, arretratezza culturale, parassitarismo, assistenzialismo, non si fa altro che riproporre solidamente i radicati stereotipi che insistono, non solo nei salotti dello snobismo razzista, o nelle tesi di chi declina l’alterità antropologica, in chiave lombrosiana, ma negli schematismi mentali della gente di strada non riconducendola soltanto a fattori sociali o assistenziali.

Il Sud, inteso anche come luogo dell’anima, assume nell’immaginario dei proponenti, una dimensione salvifica, mitologica, fatta di relazioni umane profonde e vincoli pronunciati, di vitalismo creativo, di cui il Mediterraneo di Fernand Braudel è la rappresentazione plastica e concettuale. Perfino gli assertori del meridionalismo più convinto troveranno grande difficoltà a spiegare il deficit di due miliardi e duecento milioni di euro della sanità calabrese, voce che assorbe per l’80% del bilancio. In una regione dove si può morire di malasanità per una banale appendicite e la migrazione sanitaria dei degenti ha assunto proporzioni record e . Un altro cancro che dà la cifra della tragedia della democrazia in Calabria è la densità criminale. Si tratta del rapporto tra persone contigue ai clan e la popolazione, sarebbe pari al 27%, il che significa che ogni 4 abitanti ce n’è uno che ha qualche rapporto con la ‘ndrangheta. Il dato andrebbe vivisezionato a dovere ma rappresenta una tara dal punto di vista dell’immagine. Non si tratta di ribaltare vecchi cliché, infarciti di fatalismo determinista, bensì di recuperare una dimensione autocritica non più incline al vittimismo compiaciuto. Il Sud (entità territoriale un po' astratta dove però vive un terzo della popolazione italiana), come insegna la storia del fallimento delle amministrazioni riformiste dell’ultimo quindicennio, deve aasolutamente sfruttare meglio i fondi comunitari, recuperare autostima senza deleghe in bianco inserendo le forze più sane nei processi decisionali, senmpre più incorstati da lobby clientelari. Bisogna capire cioè che la questione deve essere affrontata in prima persona dai meridionali e passare dal determinismo fatalista e apocalittico all’autodeterminismo e all’appropriazione del proprio futuro, purché non si pensi claustrofobicamente, nella propria indolenza, di vivere nel migliore dei mondi possibili. Facile a dirsi.

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