A guardare le cifre, il mito del produttivismo emiliano è stato spazzato via dai venti nefasti della crisi globale. Marchi storici, primato del welfare cittadino, 32mila euro di reddito pro capite, crescita del PIL oltre la media. Questo era il quadro d'insieme di una regione che è stata additata per decenni come prototipo socialmente accettabile di istanze territoriali che ben si conciliavano rispetto alla crecita economica.
Ebbene i 329 chilometri del versante emiliano stanno pagando dazio alla recessione come nessun altra plaga padana (in particolare i distretti del Nord Est, tutelati dalla Vergine del fatturato)- Il modello della Terza Italia è falcidiato dalla globalizzazione.
La cassa integrazione è la norma anche tra le grandi aziende, ma quello che attualmente fa paura è che gli imprenditori emiliani sono sprovvisti di liquidità, anche laddove c'è un'inversione di tendenza negli ordinativi. Il ricorso agli ammortizzatori è sempre più massicccio.
E se gli effetti della recessione si faranno notare oltre ottobre (la cosiddetta coda della crisi), con il mantenimento del 5% di decremento del Pil, non saranno i giornali a seminare pessimismo, né gli imprenditori a fare i menagrami. Lo sfaldamento di un modello si presenterà nella sua effettiva gravità.
A scricchiolare è un modello che si è consolidato come vincente anche a livello di integrazione, dove il Pd tiene a fatica le roccaforti, ma non gode più di maggioranze bulgare, sebbene la Lega abbia fatto breccia nelle insicurezze di una ceti medi riflessivi, rassicurati dall'ideologia del protezionismo.
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