01 ottobre 2009

L'economia e i colletti sporchi, come la mafia affonda il Sud



di Roberto Galullo/Nicoletta Cottone (Sole 24 ore.it)

Criminalità e affarismo sono la principale zavorra per lo sviluppo meridionale: deprimono l'etica e la legalità collettiva, distorcono i mercati creando monopoli di fatto, bloccano l'iniziative di chi agisce nella legalità. Fondamentale, dunque, sottrarre ai mafiosi i patrimoni illegalmente accumulati, rinnovare la classe dirigente locale e sensibilizzare la popolazione al rispetto delle regole. Giunge a queste conclusioni il rapporto del Censis "Il condizionamento delle mafie sull'economia, la società e le istituzioni del Mezzogiorno", realizzato su incarico della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia.
Al Sud un comune su tre (per la precisione il 37,9%) è permeato dalla presenza mafiosa. Su 1.068 Comuni, infatti, 610 hanno un clan o almeno un bene confiscato o, ancora, sono stati sciolti negli ultimi tre anni. Il record della provincia di Agrigento non deve sorprendere. Qui Cosa Nostra ha una lunga tradizione. "Ancora oggi – si legge nell'ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, consegnata a dicembre 2008 al Parlamento - l'articolazione agrigentina di "Cosa Nostra" è da ritenere un pilastro per l'intera organizzazione regionale".

Tra le regioni è la Sicilia ad avere la maggior quota di comuni coinvolti (195, pari al 50% del totale); seguita dalla Puglia, dove 97 comuni, pari al 37,6% del totale registra la presenza di organizzazioni criminali, dalla Campania (203 comuni, pari al 36,8%) e dalla Calabria (115 comuni, pari al 28,1%).

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