16 ottobre 2009

Italian soldiers, brava gente


Malgrado le smentite della prima ora. Un comandante talebano e due alti funzionari afghani hanno confermato ieri che le forze italiane pagato il pizzo per prevenire attacchi contro le loro truppe in Afganistan. Tutto il mondo è paese. La pratica poi non è certo nuova in Italia.

Ishmayel Mohammed, comandante talebano, ha detto che un accordo è stato raggiunto lo scorso anno, in modo che le forze italiane nella zona di Sarobi, a est di Kabul, non vengano attaccate da ribelli e miliziani locali. Pare che dei soldi siano stati versati anche a Herat.

L'analisi del potere vuole che chi investa o sta per installarsi in un territorio, prima di compiere i primi passi compia una rassicurante ispezione. Al di là dei facili sociologismi, ci si deve assicurare della presenza dei rapporti di forza, più o meno occulte che operano in un determinato contesto territoriale. Pare che solo gli inglesi e gli americani non abbiano pagato per essere esentati da imboscate e garantirsi le protezioni del caso.

I duri e puri come il ministro della Difesa Ignazio La Russa non accetteranno pubblicamente mai queste regole tacite. Gli eroi di guerra, pardon i missionari di pace, così celebrati da certa retorica nazionalista non possono cedere moralmente al ricorso a questi paracaduti di protezione. Del resto, nel caso di agguati o carneficine in serie si invoca costantemente il ritiro delle forze di interposizione di pace o dei soldati. Le bare e i funerali di Stato sono momenti di commozione che richiamano ai sentimenti filiali e alla sacralità della famiglia non solo italica (anche negli Usa i feretri non vengono mai filmati e mostrati all'opinione pubblica), quindi per evitare bagni di sangue, meglio far ricorrere a mezzi sporchi. Pecunia non olet in bello.

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