07 novembre 2009

Riflessioni a 20 dalla caduta del Muro



dal Washington Post

Il muro di Berlino caduto vent’anni fa è stato un simbolo che ben si addice al comunismo. Ha rappresentato un tentativo storicamente senza precedenti d’impedire alla gente di “passare dall’altra parte” e lasciarsi alle spalle una società che non approvava. Il muro era solo il segmento più evidente dell’immenso sistema di ostacoli e fortificazioni della Cortina di Ferro, che si estendeva per migliaia di chilometri lungo il confine del “Commonwealth socialista”. Io sono uno di quelli che sono riusciti a superare questi ostacoli nel novembre del 1956, quando vennero parzialmente e temporaneamente smantellati lungo il confine austro-ungarico. Le esperienze vissute nell’Ungheria comunista, dove ho vissuto sino all’età di 24 anni, hanno inciso per molto tempo sulla mia vita e sul mio lavoro.

Benché gli americani, tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta del Novecento, fossero estremamente interessati al comunismo - qualcuno con ostilità, qualcun altro con simpatia - del comunismo sapevano in realtà ben poco. E poco vien detto, qui e oggi, sul crollo dell’impero sovietico. La fugace attenzione prestata dai media al gran peso degli eventi della fine degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta fa il paio con la loro iniziale indifferenza nei confronti dei sistemi comunisti. La percezione pubblica delle atrocità su vasta scala, degli omicidi e delle violazioni dei diritti umani che si verificarono negli stati comunisti è scarsa. Lo è ancor di più se confrontata con la percezione dell’Olocausto o del nazismo, che comunque hanno portato a un numero di vittime molto inferiore. La quantità di documentari, lungometraggi o programmi televisivi sulle società comuniste è qualcosa di ridicolo in rapporto a quelli sulla Germania nazista e/o sull’Olocausto, e sono poche le università che organizzano corsi sugli stati ancora comunisti e su quelli che non lo sono più. Per la maggior parte degli americani il comunismo e le sue variegate incarnazioni sono rimasti nulla di più di un’astrazione.

Le diverse risposte morali al nazismo e al comunismo in Occidente possono essere interpretate come un risultato della percezione delle atrocità commesse dal comunismo in quanto sottoprodotti di nobili intenzioni. Di propositi che si sono dimostrati troppo difficili da mettere in atto senza ricorrere alle maniere forti. Invece, le oltraggiose violenze naziste sono percepite come un male assoluto privo di giustificazioni elevate e che non gode dell’appoggio di un’ideologia davvero allettante. Esistono molte più informazioni e prove materiali sugli omicidi di massa perpetrati dai nazisti e sui loro metodi di sterminio turpi e premeditati. Ma allo stesso modo molte tra le vittime dei sistemi comunisti sono morte a causa delle impossibili condizioni di vita dei posti in cui erano detenute. La maggior parte delle vittime del comunismo non è stata causata da tecniche industriali avanzate.

I sistemi comunisti hanno spaziato dalla piccola Albania all’immensa Cina, dai paesi dell’Europa orientale a quelli sottosviluppati dell’Africa. Pur se divergenti sotto vari aspetti, tutti avevano in comune la fiducia nel marxismo-leninismo come fonte di legittimazione, il sistema monopartitico, il controllo dell’economia e dei media e la presenza di un'imponente forza di polizia politica. Senza contare il fatto di aver condiviso un impegno verosimile per la creazione di un essere umano moralmente superiore, l’uomo socialista o comunista.

Sotto il comunismo la violenza di natura politica aveva un’origine idealistica, e un obiettivo in qualche modo purificatore. Chi veniva oppresso e ammazzato era considerato moralmente corrotto e pericoloso per un sistema sociale superiore. La stessa dottrina marxista della lotta di classe ha fornito un adeguato supporto ideologico all’omicidio di massa. La gente era perseguitata non per quel che faceva ma per l’appartenenza a categorie sociali che la rendeva sospetta.

In seguito alla caduta del comunismo sovietico molti intellettuali occidentali hanno conservato la convinzione che sia il capitalismo la radice di tutti i mali. La tradizione di una tale animosità è lunga fra quegli intellettuali d’Occidente che hanno concesso il beneficio del dubbio se non la propria totale simpatia a quei sistemi politici che denunciavano il movente del profitto e che proclamavano l’impegno per la creazione di una società più umana ed egualitaria e di esseri umani finalmente liberi dall’egoismo. Il fallimento dei sistemi comunisti nel migliorare la natura umana non significa che ogni tentativo in tal senso debba essere destinato al fallimento, ma che di fatto i miglioramenti saranno modesti e che ottenerli con la coercizione sarà tutt’altro che facile.

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