06 aprile 2010

Saviano e il Pd


Luca Mastrantonio per "Il Riformista"

Al Pd serve un «papa straniero», da cercare in «libertà», «fuori» dai parametri di «età, appartenenza e nomenklatura». Così Ezio Mauro su Repubblica. Ieri Emanuele Macaluso ipotizzava una discesa in campo di Carlo De Benedetti. Il quale avrebbe invece un sogno proibito: Roberto Saviano. Lo scrittore di successo che il gruppo dell'ingegnere ha trasforato in star politica. Giovane, profeta in patria, libero da schemi partitici.

Saviano ha pose ieratiche, è costretto a vita claustrale, esercita su molti un magistero morale fuori dagli schemi politici, ma fin dentro il cuore delle Istituzioni, il Quirinale. Forse è davvero a lui che De Benedetti pensa per quel trono vacante del Pd. Mediatica figura Christi, nella personale lotta alla criminalità, Saviano oggi è esposto più come attore politico-civile che come scrittore. L'ultimo libro è un cofanetto di Stile libero con il dvd del monologo da Fabio Fazio, e il penultimo, "La bellezza e l'inferno" (2009) è una raccolta di scritti di Repubblica.

S'è intensificata, invece, l'attività politica, attraverso Repubblica che lo usa come polena. L'appello dello scrittore del 15 novembre 2009 contro il processo breve, rivolto a Berlusconi, è arrivato a mezzo milione. Trentamila adesioni sono invece arrivate a Facebook in seguito all'articolo di Saviano su Repubblica («Per un voto onesto ci vorrebbe l'Onu»), contro il voto di scambio. Ma come è nato questo amore?
saviano -manifestazione per la libertà di stampa

Fondamentale l'Espresso diretto dall'abile Daniela Hamaui, e la mediazione di Gianluca Di Feo, per consacrare Saviano alla galassia debenedettiana. Il settimanale ha trasformato l'autore di Gomorra nell'Hunter Thompson italiano, dedicandogli copertine su copertine (foto di Mario Spada) per i suoi reportage-inchiesta su droga e altri crimini, in uno stile Gonzo che ha nell'io il baricentro della narrazione. Ma da osservatore scomodo - prima sul campo, poi fuori campo, sotto scorta - di questo Paese in guerra contro la camorra, vive una condizione di schizofrenia politica-editoriale. Come il Joker di Full Metal Jacket, che ha sull'elmetto il motto dei marines «born to kill» e lo stemma della pace.

Sul piano politico-civile è un prodotto del Gruppo Espresso-Repubblica, organo dell'antiberlusconismo di massa, sul piano editoriale è figlio, legittimo, del gruppo Mondadori. Non solo perché pubblica i suoi libri con la casa di Segrate, ma perché è mondadoriana la rivista-palestra di Saviano, Nuovi argomenti. Per Saviano, a differenza di De Benedetti, Mondadori non è un lodo, ma un nodo, giudicato gordiano, da tagliare, da quanti gli chiedono di cambiare editore per i libri, come il poeta Vincenzo Ostuni e altri scrittori su Facebook.
Daniela Hamaui Paolo Scarpellini Licia Granello

Politicamente, è un enigma. Corteggiato da tanti, non cede, per ora. «Devo essere super partes, come scrittore», dice. Mediaticamente, Saviano nasce il 26 settembre del 2006, quando l'autore di Gomorra (all'epoca quota 100mila copie), durante le giornate di mobilitazione contro la camorra, fa nomi e cognomi dei padrini dalla piazza centrale di Casal di Principe. Le Iene registrano gli insulti che ricevette dal padre del boss Sandokan. Accanto, sul palco, c'era Fausto Bertinotti. Sui tetti, invece, cecchini per la sicurezza. Tema che, da quel momento, diventa il testo che Saviano ha tatuato addosso.

Poche settimane dopo, su ordine dell'allora ministro degli Interni Amato, l'autore ottiene la scorta. Walter Veltroni ha provato inutilmente a portarlo nell'alveo Pd. L'ultima proposta politica è del socialista Claudio Fava, Sinistra Ecologia Libertà, che lo aveva indicato alla guida della Campania per il 2010, incontrando favori nel Pd e qualche scontento, per vecchi mal di pancia. Rosa Russo Iervolino nel 2008 provò a minimizzare l'opera dello scrittore, sostenendo che «Scampia non è Gomorra».

Ma anche Nichi Vendola, difensore di Saviano e come lui cultore di alcuni stilemi pasoliniani, sottolinea che non è tutto Gomorra, la sua Puglia, per esempio. «Non è Gomorra», dice.

Il dato più interessante, sul piano politico-antropologico, è però la stima di cui gode a destra. Negli ambienti ex An, orfani del faro Borsellino, è molto apprezzato. Non sono mancati gli scontri, in particolare con l'ex ministro Mario Landolfi, parlamentare del Pdl, inquisito per concorso in corruzione. In Sgmorra attacca la sinistra in Campania e i professionisti dell'anti-camorra (cortocircuito tra Sciascia e Saviano).

Per FareFuturo, però, Saviano è un classico. Lui stesso non si vergogna di rivendicare maestri letterari a destra, così come in tempi non sospetti ha elogiato l'attività antimafia del ministro Maroni. Ai leghisti non è andato giù l'intervento all'Accademia di Brera dove parlava di Milano come della più grande città del Sud Italia. Saviano divide. Piace, dispiace.

Per molti, con la recente partecipazione allo scorso no B-day, c'è stata la svolta. A sinistra. Saviano piace alla luttuosa machina da guerra politica del popolo viola. Come autore porta in dote, solo in Italia, più di due milioni di lettori, con un solo romanzo. Allettanti.

Ma fedeli nelle urne? Lui è uno scrittore serio, come ha ricordato Francesco Piccolo sull'Unità, di cui c'è bisogno per raccontare l'Italia. Per governarla, servono politici seri, magari meno romanzieri. Se i politici-scrittori, d'altronde, sono usciti fallendo, da Veltroni a Franceschini, e la neo-giallista Bresso, gli scrittori in politica, da Camilleri a Carofiglio, non fanno vincere le elezioni.

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