22 aprile 2010

Saviano? Deve restare con Mondadori. E combattere


Wu Ming

Ricapitoliamo: Berlusconi attacca Gomorra . Lo aveva già fatto, ma stavolta è più esplicito. Saviano giustamente fa notare che Berlusconi è proprietario della casa editrice che pubblica il libro, e chiama in causa quest’ultima: «Si esprimano i dirigenti, i direttori, i capi-collana». Si esprime invece Marina Berlusconi, più in veste di figlia che di editrice. Saviano commenta la lettera di Marina senza abbozzare, senza toni concilianti, anzi, chiamando in causa la Mondadori con maggiore perentorietà. Il messaggio è: «Voglio sentire chi in casa editrice ci sta per davvero, voglio sentire chi la Mondadori la manda avanti».

La contraddizione si acuisce. Da autore Mondadori e autore di Gomorra , Saviano occupa una postazione strategica, e più di altri può chiamare al pettine certi nodi, nodi che riguardano anche noi. Far venire i nodi al pettine è tanto un dovere civico e politico, quanto un compito specifico dello scrittore. Pubblicando con Mondadori, Saviano ha generato conflitto. Conflitto non effimero, ma che opera in profondità. Comunque vada, è più di quanto abbia fatto l’opposizione. Se Saviano fosse rimasto in una nicchia di ugual-pensanti, nel ghetto dei presunti «buoni», non avrebbe acuito nessuna contraddizione, né generato alcun conflitto. Stare simultaneamente «dentro» e «contro», diceva l’operaismo degli anni Sessanta. «Dentro e contro» era la posizione, era dove piazzare il detonatore. Sia chiaro: l’alternativa non è mai stata «fuori e contro».

L’alternativa è sempre stata «dentro senza rompere i coglioni», oppure «dentro senza assumersene la responsabilità». Dentro fingendo di star fuori, insomma. Come tanti, come troppi. Un «fuori dal sistema» non esiste. Il sistema è il capitalismo, ed è ovunque, nel micro e nel macro, nei rapporti sociali e nelle coscienze, nelle giungle e in cima all’Everest. Noi abbiamo sempre detto – e ancora diciamo – che tutti quelli che combattono «il sistema» lo fanno dall’interno, dato che l’esterno non c’è. Il potere non è fuori da noi, è un reticolo di relazioni che ci avvolge, un processo a cui prendiamo parte. Ma ovunque vi sia un rapporto di potere, là è anche possibile una resistenza. Sei anni fa WM1 spiegò, per l’ennesima volta, la nostra posizione sul «pubblicare con Einaudi».

Lo fece per filo e per segno su Carmilla. Tra le altre cose WM1 scriveva: «Negli ultimi anni, le polemiche “boicottomaniache” hanno rischiato di fare il gioco degli yes men, dei leccaculo: chi chiede agli autori di sinistra di “andarsene da Mondadori” non capisce che così facendo il loro posto nella casa editrice e nell’immaginario collettivo (una posizione a dir poco strategica) sarebbe preso da autori e manager di destra (i quali non vedono l’ora), con piena libertà di spargere la loro merda incontrastati». Queste frasi risalgono a due anni prima dell’uscita di Gomorra . Sono cose che, in seguito, lo stesso Saviano ha dichiarato in più occasioni, e diversi altri autori hanno ribadito, anche di recente. Da anni difendiamo questa postazione avanzata e scomodissima, esposti sia agli attacchi della destra sia a continue raffiche di «fuoco amico». Oggi tutto è più difficile, ma per noi la sfida, la sfida politica, è ancora «resistere un minuto più del padrone».

L’Einaudi è un campo di battaglia importante, e finché avremo munizioni e fiato continueremo a combatterci sopra. Ce ne andremo solo se e quando, presto o tardi, le condizioni si faranno intollerabili. È la strategia sbagliata? Tutto può essere. Ma è quella che abbiamo scelto e di cui rendiamo conto da sempre. Al di là di alcune mosse e prese di posizione stridenti e da noi non condivise, abbiamo sempre difeso e continueremo a difendere Saviano dagli attacchi stupidi o interessati. Dev’essere ben chiaro che Saviano non può comportarsi in altra maniera: ha davvero bisogno di questa ossessionante presenza pubblica, di questo over–statement di solidarietà anche pelosa, perché gli garantisce incolumità. Il paradosso è che, dietro il cordone sanitario, lo scrittore svanisce e resta solo il testimonial. Saviano dovrà lottare con le unghie e con i denti per ri–conquistarsi come scrittore.

Dal 2006, per continuare a vivere, Saviano ha dovuto agire perché non calasse l’attenzione: gli è toccato essere sempre visibile, essere una presenza costante nella sfera pubblica. In ogni momento, il forte rischio era che questo sovra-apparire lo inflazionasse, gli facesse perdere potenza. Di fronte a un calo di potenza, la tentazione è di rispondere «aumentando la dose», per ottenere un effetto in un’opinione pubblica sempre più assuefatta e «tollerante». Solo che, aumentando la dose, il problema si ripropone a un livello più alto e quindi più impegnativo, meno gestibile. Questo è il dilemma, e Saviano ne è sempre stato conscio: non è un caso che abbia spesso tentato di scartare, che sia sempre tornato a insistere sulla «scrittura», sullo scrittore. Era il suo modo di fare resistenza, di non far chiudere il dispositivo, di non farsi legare definitivamente. Bene, può darsi che Saviano abbia trovato lo spiraglio.

Può darsi che l’acuirsi della contraddizione-Mondadori gli stia fornendo un inedito spazio di espressione non pre-ordinata. Forse il dispositivo è entrato in una crisi almeno passeggera, perché sotto i nostri occhi Saviano «è diventato quel che è». Mai come ora, mai in modo tanto eclatante, Saviano è stato quello che vediamo nella risposta a Marina Berlusconi: un uomo libero. Anche nella reclusione che sconta, un uomo libero. Comunque vada a finire con Mondadori, comunque vada a finire in generale, in questo momento Saviano è libero.

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