21 aprile 2010

Reggio Libera Reggio: la libertà non ha pizzo



Periferia nord di Reggio Calabria, patria dei De Stefano. Un imprenditore si rifiuta di pagare il pizzo. La sua azienda che produceva materiali d'informatica è stata fatta saltare in aria. Il titolare di una sanitaria 18 anni fa ha denunciato i boss, anche il suo locale è stato distrutto più volte. A sud di Reggio Calabria il proprietario di una pizzeria è riuscito, grazie a telecamere e polizia, a fare arrestare i suoi estorsori. Storie diverse, ciascuna a suo modo, battaglie per la libertà di impresa in un territorio a sovranità limitata. Storie che in Calabria, nonostante le solitudini e le difficoltà di questi anni, sono diventate il patrimonio civile del nascente movimento antiracket "Reggioliberareggio, che verrà presentato oggi a Reggio Calabria alle 17.30, Auditorium San Paolo, alla presenza di Don Luigi Ciotti, presidente di Libera.

Più di un anno di lavoro per mettere insieme storie, denunce, persone, idee. Oltre 50 associazioni coinvolte: 4 associazioni antimafia, tutte le sigle sindacali regionali e nazionali, 20 associazioni, tre movimenti politici di schieramenti diversi, 11 gruppi ecclesiastici, 9 cooperative sociali che operano sul territorio. Una rete che non ha precedenti si è riunita, su iniziativa di Libera e con la collaborazione della Federazione nazionale antiracket, sotto un unico slogan " libertà non ha pizzo" con lo scopo di sostenere imprenditori e commercianti che hanno avuto il coraggio di denunciare i propri taglieggiatori ed incoraggiare la ribellione al giogo mafioso, creando una rete solidale tra chi non paga o smette di pagare il pizzo. "Per la prima volta - commenta Don Luigi Ciotti, presidente di Libera - a Reggio Calabria, tantissime associazioni diverse insieme dicono No al Pizzo ed al sopruso della violenza criminale. Un grande movimento culturale, una campagna per sostenere le vittime del racket che hanno denunciato, accompagnare la denuncia delle vittime, promuovere il consumo critico e responsabile, sensibilizzare e informare sull'antiracket, fare educazione e formazione nelle scuole e nelle università".

"L'iniziativa nasce dall'ascolto degli imprenditori costretti a pagare il pizzo e di quelli che si sono ribellati al racket - racconta Domenico Nasone, referente per Libera a Reggio Calabria e animatore di questo percorso. Abbiamo scelto di ripartire proprio dall'ascolto di tre storie emblematiche di questa resistenza contro le 'ndrine e che hanno portato avanti con coraggio una scelta di libertà". Nelle parole di Nasone, a poche ore dall'inizio di questo percorso, è possibile percepire la stanchezza di un lavoro costato fatica ma soprattutto la gioia di aver messo insieme tutti, ma proprio tutti, in una battaglia che non ammette assenti o distratti.

"Il probelma del racket in città, come in provincia, c'è da molti anni - dichiara Domenico Nasone - . Tutti sapevamo ma nessuno parlava pubblicamente. E in questo lungo periodo di lavoro abbiamo anche scoperto il perchè . Dall'analisi portata avanti, infatti, è emerso che su cento imprese, cinquanta non pagano il pizzo. Una buona parte paga e pochissimi no. Purtroppo quel 50% di attività che non paga il pizzo, abbiamo scoperto in seguito, appartiene, direttamente o tramite prestanome, alla mafia". "Sono cifre che impressionano, se consideriamo che coinvolgono vari protagonisti dell'economia locale, dalla catena di distribuzione al piccolo commerciante, dalle imprese edili ai negozianti". "Questo dato è allarmante - spiega Nasone - perchè indica una grande capacità delle 'ndrine di riciclare i proventi che derivano da traffici di droga e altra natura, direttamente nelle attività commerciali che concorrono a muovere l'economia locale". Non solo.

In pochi sin ora hanno denunciato. "Un altro aspetto che è emerso da lavoro sul territorio - sottolinea Nasone - è che il 50% degli imprenditori vessati dalla richiesta del pizzo, fa gravare sul costo delle merci il prezzo "aggiuntivo" che serve per poter pagare il pizzo. Ovvero: il pizzo lo pagano in realtà i singoli cittadini che con i loro acquisti finiscono per finanziare direttamente le 'ndrine. "I commercianti - commenta Nasone - lo pagano come fosse semplicemente un'altra tassa. Ad essere penalizzata è l'economia locale: strozzata dal capitale mafioso e dal rincaro dei prezzi". Numeri che fanno riflettere sulla pervasività di un fenomeno difficile da rintracciare e denunciare. Nasone racconta infatti che per chi sceglie di uscire allo scoperto il percorso è ancora difficile e lungo. "Dalle testimonianze delle vitime del racket emerge che - dichiara Nasone - la burocrazia, le istituzioni sono ancora lente nell'intervenire nell'applicazione della legge 44 e in altre fasi della denuncia, mentre le mafie sono fin troppo svelte ad agire. Nonostante ciò, denunciare conviene". Lo dimostrano tutte le storie positive che arrivano dalla Sicilia e dalla Campania, terreno di sperimentazione e lavoro della Federazione nazionale antiracket e del consumo critico di Addiopizzo. Un impegno comune fra imprenditori e cittadini ha portato avanti percorsi capaci di capovolgere questo status quo.

Il "laboratorio siciliano" dell'antiracket ha portato con sè una novità importante. Confindustria con il suo presidente Ivanhoe Lo Bello ha reso pubblica la nuova linea lo scorso anno: fuori dall'associazione di categoria chi paga il pizzo. Una posizione sostenuta anche a livello nazionale. Chiediamo a Nasone qual è la situazione invece in Calabria. "In Calabria Confindustria ha sposato un no pubblico al pizzo - risponde Nasone -. Lo ha fatto lanciando una campagna nazionale che è sembrata lontanta dal radicamento culturale sul territorio, elemento fondamentale per costruire un cambiamento tangibile. Alle associazioni di categoria aderenti a "Reggioliberareggio" abbiamo infatti chiesto in questi mesi - come primo atto - di indicarci chi non paga il pizzo fra gli aderenti e stiamo raccogliendo le informazioni in loro possesso".

Veniamo ad oggi. Nel pomeriggio a Reggio Calabria la presentazione di questo percorso, presso Auditorium San Paolo. " Si tratta di una proposta amministrativa, politica e sociale - sottolinea Nasone. Ad ogni attivita' gestita da imprenditori liberi dal racket sarà dato un logo di riconoscimento da attaccare in vetrina quale segno a garanzia della libertà dal pizzo e dalle logiche mafiose. Abbiamo scelto di consegnarlo simbolicamente a cinque attività: i tre imprenditori che con coraggio hanno detto di no al pizzo e sono l'anima di questo percorso. Ad una cooperativa nata per finalità sociali su un bene confiscato e che in questi mesi rischia di chiudere, la Rom1995 e a Stefania Grasso, figlia dell'imprenditore Vincenzo Grasso, ucciso dalle 'ndrine nel 1989 perchè si era rifiutato di pagare il pizzo, che sta lavorando a Locri per mettere in moto un percorso simile a quello di Reggio Calabria".

Da oggi inoltre avrà inizio il lavoro di un osservatorio antiracket, composto da sette membri, che periodicamente, individuando vari parametri e con l'ausilio delle forze dell'ordine, rintraccerà sul territorio i punti vendita che non sono collusi con la mafia e non pagano il pizzo per continuare questo percorso pubblico di denuncia. Un ruolo importante in questo progetto però spetterà anche ai cittadini. A loro il compito di sostenere la rete di negozi "reggioliberareggio" impegnandosi a fare acquisti solo nei punti vendita che esibiscono il bollino antiracket. La sfida del consumo critico lanciata dai ragazzi di Addiopizzo Sicilia sbarca in Calabria dunque e diventa il vero ponte capace di collegare l'antimafia sociale contro il pizzo e le mafie.

Nessun commento:

Posta un commento