10 aprile 2010

Pasqua a Sant’Onofrio. Passaggio dalla sudditanza alle cosche alla liberazione



La notizia che a Sant’Onofrio sono stati sospesi i riti dell’Affruntata, segno di una fede popolare che si rigenera e si tramanda da secoli, è corsa veloce nei nostri territori. I fatti sono ormai noti: l’attuale vescovo della diocesi di Vibo, in piena sintonia con le indicazioni della Chiesa italiana e dello stesso episcopato calabro, ha ribadito la ferma volontà che nelle comunità ecclesiali della sua diocesi i momenti liturgici non diventino occasione per esprimere consenso ai vari clan della ‘ndrangheta. Ed il parroco della comunità di Sant’Onofrio, assieme alla Congrega che cura per tradizione il rito dell’Affruntata, hanno presentato ai fedeli della parrocchia le autorevoli indicazioni del vescovo che, tra l’altro, miravano a tenere lontani i mafiosi dalla partecipazione attiva ai momenti più significativi dell’Affruntata. Infatti per i mafiosi di Sant’Onofrio, ma anche di molti altri centri della Calabria, il portare a spalla San Giovanni, la Madonna Addolorata o il Cristo Risorto, o stare sotto le statue magari solo appoggiando la mano accanto ai portatori delle vare, è una occasione privilegiata per esprimere alla gente del posto dove si celebrano i festeggiamenti il loro potere ed il loro ruolo egemone.

La mescolanza tra religiosità popolare e simbolismi mafiosi ha radici lontane. Per molto tempo, anche grazie alla complicità di una comunità ecclesiale a volte troppo comprensiva e tollerante, si è ritenuto che fosse conciliabile l’appartenenza alla criminalità organizzata con la vita cristiana. I mafiosi si consideravano e si considerano ancora buoni cristiani, addirittura uomini d’onore: le loro mani, con una facilità diabolica, passano così dall’uso delle lupare per distruggere vite umane all’abbraccio di un legno per portare il peso di una statua in processione; mani che prima cercano la mazzetta ai negozianti o che strozzano le vittime dell’usura e che sono anche capaci di cercare le offerte per sostenere le spese per le feste patronali. Mani insanguinate da delitti orribili che tengono schiave della violenza intere comunità di calabresi che avvelenano anche i più antichi e simbolici riti della religiosità popolare.

Alla comunità ecclesiale e ai membri della Congrega di Sant’Onofrio, al Priore ed al parroco, i cristiani calabresi e tutti gli uomini di buona volontà devono essere grati: la loro testimonianza può servire a tutti noi per riscoprire le autentiche radici della nostra fede cristiana che, seppur sempre aperta all’accoglienza e al perdono del peccatore che si converte, si fonda sul messaggio del Cristo, che ha dato la sua vita per la nostra salvezza, che ci ha indicato la via del servizio che si fa dono, dell’impegno che cerca la giustizia, della speranza che si alimenta nella relazioni autentiche e leali, della non violenza che si vive nella quotidianità dei gesti e nel rispetto della vita di ogni fratello. Nella Chiesa del Signore non ci può essere spazio per i violenti e gli assassini, per i mafiosi che collegati ai vari gruppi della ‘ndrangheta seminano solo dolore e morte. Ce lo insegnano i vescovi italiani anche nella loro ultima nota pastorale “Per una chiesa solidale, Chiesa Italiana e mezzogiorno” quando affermano che: “in questa situazione, la Chiesa è giunta a pronunciare, nei confronti della malavita organizzata, parole propriamente cristiane e tipicamente evangeliche, come peccato, conversione, pentimento, diritto e giudizio di Dio, martirio, le sole che le permettono di offrire un contributo specifico alla formazione di una rinnovata coscienza cristiana e civile”. Le mafie, hanno detto i vescovi italiani, “sono la configurazione più drammatica del male, e del peccato (…) una forma brutale e devastante del rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione: le mafie sono strutture di peccato”. Ed è l’indicazione che è chiaramente presentata anche dai vescovi della Calabria nel documento “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo” dell’ottobre del 2007, che deve orientare le scelte pastorali delle comunità cristiane calabresi e che ci fa riassaporare la forza del messaggio di quel documento del 1975 che mons. Giovanni Ferro, vescovo di Reggio, scrisse per i cristiani calabresi e che descriveva la mafia come “disonorante piaga della società”.

Sono fatti, quelli accaduti a Sant’Onofrio, che ci fanno ancora sperare che è possibile una Calabria nuova e libera dalla criminalità organizzata, che possiamo aver fiducia in questa nostra Chiesa che, pur portando il peso della fragilità umana, continua ad illuminare la vita dei cristiani e degli uomini di buona volontà. Le mafie, hanno detto i vescovi calabresi, “di cui la ‘ndrangheta è oggi la faccia più visibile e pericolosa, costituiscono un nemico per il presente e per l’avvenire della nostra Calabria. Noi dobbiamo contrastarle, perché nemiche del Vangelo e della comunità umana”. Sant’Onofrio ci ha dato un grande esempio di cristianità che dobbiamo saper accogliere come un autentico segno di fede. Forse quest’anno a Sant’Onofrio si è celebrata la vera “Affruntata” anche se le statue dei santi sono rimasti nelle chiese.

da Calabria Ora 07/04/2010

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