20 settembre 2010

Onore

Saviano e l'onore. L'inedito che apparirà su Satisfiction in anteprima su Affaritaliani.it

C’è un’accusa, delle tante che mi vengono mosse nella mia terra, che mi fa male. A Casal di Principe i ragazzi mi accusano di avere infangato la loro terra, perché, dicono, ho elaborato un materiale che era noto solo a polizia e magistratura, e ne ho fatto un libro. Un materiale fatto di carte processuali e linguaggio tecnico che ho raccontato con una lingua comune, rendendolo non solo pubblico, ma anche comprensibile, accessibile, persino interessante. E così facendo, dicono, ho portato alla luce quello che doveva restare sepolto. E a Casale, alla loro terra, a loro stessi, ho tolto l’onore. Onore è una parola con cui, io, figlio del Sud, sono cresciuto. L’ho sentita ripetere da bambino e da adulto, nei processi e nelle strade, da amici e nemici. E l’ho usata anch’io.

Eppure ho visto che molte persone, persone oneste, persone che stimo, hanno difficoltà a usarla. La sentono come una parola che hanno monopolizzato le cosche, facendola diventare sinonimo del loro codice mafioso.

Le mafie si sono abusivamente appropriate di questo termine, ne hanno saccheggiato il significato associandolo a concetti come il terrore, la paura. L’uomo di onore è l’affiliato, l’uomo di mafia. Ma io voglio riscattare la parola onore, voglio restituirle il suo significato originario, sequestrato dalle mafie.

L’onore, quello vero, è quello che ti fa andare avanti a prescindere dalle conseguenze, solo in virtù di un fortissimo senso di giustizia. L’onore è qualcosa che va al di là della tua reputazione, che va al di là del fatto che esiste un codice della tua terra. No, l’onore è qualcosa che esiste indipendentemente da cosa sei costretto a fare, da cosa ti dicono. Onore è il sentire violata la propria dignità umana dinanzi a un’ingiustizia grave, è il seguire dei comportamenti indipendentemente dai vantaggi e dagli svantaggi, è agire per difendere ciò che merita di essere difeso. E io l’onore l’ho imparato qui a Sud. Per meglio spiegarmi, mi sovvengono le parole di Faulkner: “Tu non puoi capirlo, dovresti esserci nato. In realtà essere del Sud è una cosa complessa. Comporta un’eredità di grandezza e di miseria, di conflitti interiori e di fatalità, è un privilegio e una maledizione. Vi è il senso aristocratico dell’onore e dell’orgoglio”.

E il Sud questo te l’insegna. Io sono meridionale e in qualche modo ho imparato dalla mia terra questo. E ho usato la parola onore, questa parola considerata ormai impronunciabile e che invece fa riferimento a qualcosa che ti porti dentro e che segui al di là delle dinamiche del calcolo dei costi e dei benefici.

Agisci perché è giusto. E comprendi che l’onore è qualcosa che esiste dentro di te.

Io ho usato la parola onore quando ho parlato di don Peppe Diana, trucidato perché aveva voluto parlare invece che tacere.

Ho usato la parola onore a proposito dei lavoratori africani, immigrati, che soli hanno osato ribellarsi al potere delle mafie, scendendo in piazza per difendersi, a Castel Volturno, a Rosarno.

L’ho usata a proposito dei soldati italiani, morti a Kabul, giovanissimi e con famiglia, partiti soldati dal meridione verso terre lontane e pericolose per un calcolo saggio e dissennato, alla ricerca di benessere e dignità.

L’ho usata anche per parlare dei pugili, dei campioni del mondo Domenico Valentino e Roberto Cammarelle, della loro forza disciplinata dalla ragione e piegata dalla volontà, ma anche per i ragazzi che si allenano nelle palestre per dilettanti, senza promesse di soldi, tra rinunce e fatica, rispetto della sconfitta e lenta costruzione della vittoria. Ho usato la parola onore e intendo usarla ancora. Ma onore non è l’unica parola che abbiamo smesso di usare.

La mafia per esempio ha saccheggiato tantissime parole. Anche la parola amico, «lui è l’amico degli amici», dicono. La parola famiglia. Ci sono altre parole, di cui ci vergogniamo, di cui abbiamo perso il significato, e che devono tornare a essere nostre. Perché la parola è il bene più grande, per uno scrittore, il più potente. La letteratura è un atleta, scriveva Majakovskij, e anche per me le parole dei veri scrittori hanno sempre la forza di correre, superare ostacoli e non smettere mai di combattere.

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