18 maggio 2010

Quando le cosche condannarono il dirigente del Pci Giuseppe Valarioti



Il giovane professore di lettere di Rosarno fu assassinato nella notte del 10 giugno 1980

di Filippo Veltri
Fu un giugno drammatico quello del 1980 in Calabria. Un giugno di sangue e di fuoco. Due dirigenti del Pci assassinati dalla mafia nell'arco di due settimane, uno nella piana di Gioia Tauro e l'altro sul Tirreno cosentino. Si chiamavano Giuseppe Valarioti e Giannino Losardo.
Io c'ero. Cronista per conto dell'Unità delle due esecuzioni mafiose, dei movimenti successivi, di quello che non accadde dopo, delle ingiustizie e delle giustizie negate soprattutto. Delle verità nascoste, oscurate.
È la notte tra il 10 e l'11 giugno del 1980 e Giuseppe Valarioti, giovane professore di lettere con la passione per l'archeologia e la tessera del Pci di Rosarno in tasca (è il segretario di sezione) è al ristorante con i compagni. Il partito ha vinto le amministrative e c'è da festeggiare. Finita la cena esce dal locale, arriva una pioggia di fuoco: Peppe Valarioti muore tra le braccia del suo compagno (e padre politico) Peppino Lavorato. Aveva 30 anni. È la conclusione drammatica di settimane ad alta tensione, di minacce e intimidazioni, miste ad entusiasmo e, a volte, incoscienza. Si va avanti, anche se di notte gli 'ndranghetisti tentano di incendiare la sezione del partito e distruggono le auto dei militanti. Anche se i manifesti elettorali vengono capovolti. Non strappati o coperti, capovolti. Non è la stessa cosa. Il Pci para i colpi: comizi e manifestazioni, volantinaggi e porta a porta.
Dopo la sconfitta elettorale del 1979 il Pci non si può permettere di perdere ancora. Le cosche però non possono accettare che si parli apertamente dei loro traffici e affari. Peppe e Peppino, i compagni della sezione, lo sanno e vanno avanti: condannano i tentativi della mafia di controllare le cooperative agricole, difendono il territorio dalla 'ndrangheta, dalla speculazione edilizia e dalle infiltrazioni. Peppe è un passo avanti agli altri e non smorza i toni nonostante i compagni di partito, i parenti, la fidanzata gli chiedano prudenza...
... Vince il Pci, gli uomini dei clan non vengono eletti. La 'ndrangheta reagisce e lo uccide. Durante la festa, perché sia chiaro per tutti.
Peppino Lavorato terrà aperta la sezione del Pci di Rosarno. E dieci anni dopo diventerà sindaco del paese. Nel nome di Valarioti. Che non ha avuto giustizia.
Ma Valarioti non diventò subito un simbolo. Per il suo omicidio – chiaro, per chi voleva vedere, fin dalle primissime battute – furono scomodate vendette interne al movimento, agitati confusi moventi. Il vero è che durante la gestione di Valarioti, il Pci avviò una campagna di moralizzazione interna, soprattutto nella cooperativa Rinascita, che era collaterale al partito. Come in tutta l'Italia meridionale, le cooperative agricole erano spesso obiettivi sensibili e la 'ndrangheta puntava a drenare i sussidi europei e nazionali garantiti ai produttori. Per negligenza, perché corrotti, perché ingenui o semplicemente per paura, alcuni dirigenti della Rinascita (che saranno sospesi e poi espulsi, non appena le indagini chiariranno le loro posizioni) non avrebbero arginato i tentativi di inquinamento portati avanti dalle cosche rosarnesi. Un punto di discussione questo che restò aperto per anni, dentro il Pci e la Lega delle Cooperative.
Valarioti certamente provò a invertire la rotta. Un tentativo che lo espose notevolmente. Nonostante la gran parte del partito seguisse il segretario cittadino nel nuovo corso politico, all'esterno Peppe figurava, infatti, come elemento centrale dell'attacco alla 'ndrangheta, nel bene e nel male.

Nessun commento:

Posta un commento