23 febbraio 2012

Gotica e certa stucchevole retorica nei dibattiti antimafia

Nei dibattiti e nelle presentazioni antimafia in AltItalia - per farsi un'idea di quanto sia percepito da un uditorio il tema in esame - una buona cartina di tornasole sono le domande poste dagli astanti: un pubblico sovente colto e impegnato, mosso da uno spirito civico sopra la norma.

Non è raro in questi casi cogliere una sottovalutazione del tema (del resto fino al 2010 il Prefetto di Milano sosteneva che la mafia non esisteva sotto le guglie del Duomo), atteggiamento che ha lasciato il passo a una crescente volontà di alfabetizzazione, di conoscenza. Certe domande, al limite del grottesco, lasciano sempre di stucco.

A quella tipica: "Come si fa a riconoscere uno 'ndranghetista?", se ne può aggiungere un'altra ancora più sconcertante: "Ma se a San Luca proliferano i malavitosi, non si può togliere la patria potestà alle famiglie in odore di mafia?".

Ora, senza entrare nello specifico, questi quesiti, ancorché ingenui, perché, come tutti i luoghi comuni, prefigurano un pregiudizio antropologico manicheistico-lombrosiano sui malviventi del terzo millennio, riflettono una certa superficialità nella percezione dell'argomento mafie, figlio dell'indottrinamento da mafia folk coppola e lupara, amplificata dal veicolo fiction/narrazione mitologica.

Ovviamente interrogano anche chi fa antimafia su certa autoreferenzialità sterile e su come possa essere percepito il fenomeno delle organizzazioni criminali nel momento in cui aumenta a dismisura il filone, la pubblicistica in materia.

Detto questo un libro come "Gotica" di Giovanni Tizian è uno squarcio nella coltre perbenista di un Nord Italia che si ritiene immune dalla penetrazione mafiosa e invece è un incubatore di attività illecite, che si mischiano nei gangli dell'economia legale con le compiacenze della zona grigia. Non è un testo che fa copia e incolla delle ordinanze dei giudici, ma permette di capire come si articola la holding leader del crimine globale, che ha trasformato il suo business nella terziarizzazione del suo agire criminale, nella fornitura di servizi, nel porsi come un canale parallelo con meno diseconomie di scala. E' ancor più utile leggerlo adesso che Giovanni, figlio di un funzionario di banca integerrimo, ucciso a Bovalino nel 1989, vive sotto scorta per via delle sue rigorosissime inchieste giornalistiche. Sulla sua testa pende una taglia messa dai clan. Fa piacere sentire dal vivo la sua forza tranquilla, la volontà di non arrendersi alla protervia mafiosa, la sua normalità grondante di mancanza di autocmpiacimento meridionalista. Leggerlo e aderire alla seconda fase della campagna dell'associazione daSud, servirà a sgombrare il campo dal cielo padano plumbeo, denso, incantato e incredulo, costruendo buone pratiche. Un universo dominato dalle mafie, né più e né meno del Mezzogiorno, com'è stato fatto credere ad arte.

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