23 marzo 2010

Vincenzo e le verità nascoste



Milano. Un rosario lunghissimo fatto di 900 nomi, storie di drammatica ordinarietà. Giornalisti, sindacalisti, servitori dello Stato, magistrati, ecco la macabra colonna sonora delle vite spezzate dalle mafie. L'interminabile elenco scandito dagli altoparlanti ogni 21 marzo è un'agonia, un supplizio che scava solchi amari nell'anima e dilania ogni coscienza civile.

Alla 15esima giornata della Memoria e del ricordo delle vittime di Mafia, organizzata da Libera erano presenti, come accade in principio di ogni primavera, anche Vincenzo Agostino e la moglie Augusta. Una foltissima barba canuta, le gote lanose, il consueto aspetto monacale per ricordare una decisione assunta vent'anni fa da Vincenzo: ovvero di non tagliare la barba, fino a quando non verrà scoperta la verità sulla morte del figlio Antonio.

Qualche anno addietro minacciò di rivolgersi direttamente alla mafia per avere riposte al suo dolore sordo, destinato a invecchiare. Fu persuaso da don Luigi Ciotti, un riferimento per le famiglie.

Suo figlio venne freddato a Villagrazia di Carini con la moglie Ida Castelluccio, sposata appena un mese prima. La sua consorte era incinta di cinque mesi di una bambina. Era il 1989.

Al suo fianco altri parenti mostrano alle istituzioni fotografie del figlio nel giorno delle nozze. Trucidati per mano della criminalità. Attendono ancora giustizia e verità da parte dello Stato.

"Che paese è quello in cui vivere onestamente è un rischio?", esclama una signora attonita. Un paese senza memoria e senza futuro, quello appunto dove le mafie costituiscono l'azienda più in salute.

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