16 marzo 2010

La carica degli impresentabili


In Calabria a rischio 'ndrangheta 21 candidati:ma i nomi chiacchierati sono di più

di GUIDO RUOTOLO INVIATO A REGGIO CALABRIA per LA STAMPA

Agazio Loiero, il governatore uscente, conta i mesi come sanno contare i bambini, strusciando le dita di una mano. «Sette», dice. Era il 16 ottobre del 2005, giorno di «Primarie» e Franco Fortugno, consigliere regionale della Margherita, venne freddato sul portone di Palazzo Nieddu, a Locri, dove si stavano svolgendo le primarie del Pd. A sette mesi dal voto delle Regionali, appunto. Cinque anni dopo, un processo ha condannato killer e mandanti lasciando molta insoddisfazione in giro. «Resto convinto - dice Loiero - che era un messaggio rivolto a me, come ha ripetuto il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso».

E oggi qual è la partita che si sta giocando in Calabria? Cinque anni dopo, la ’ndrangheta è più forte che mai. Più forte anche della politica. Ha un bel dire Agazio Loiero che «per fortuna la sede della Regione è a Catanzaro», quasi a sottolineare che se fosse a Reggio città governerebbe la ‘ndrangheta. Come se a Vibo, Crotone, Cosenza non esistesse la malapianta. L’Antimafia di Beppe Pisanu ha imposto ai partiti di sottoscrivere un Codice etico delle candidature. Adesso che liste sono state trasmesse a palazzo San Macuto, in attesa che le Prefetture comunichino ufficialmente le candidature non in regola con il Codice, all’Antimafia sono arrivate informative e segnalazioni. Per la Calabria, sono 21 i candidati a rischio: 16 sostengono la candidatura Scopelliti, 5 Loiero. Ma i nomi chiacchierati sono di più, arrivano a una trentina. Naturalmente non tutti perché sospettati di collusione con la ’ndrangheta.

Come è cambiata la Calabria in questi cinque anni? Al di là degli eserciti in campo, dei sondaggi e delle illusioni dei candidati e degli schieramenti che brandiscono la bandiera del cambiamento?

Un rapido flashback sul quinquennio alle spalle: omicidio Fortugno, inchieste «Why Not?» e «Poseidone» del pm Luigi De Magistris, metà consiglio regionale inquisito, assessori e consiglieri arrestati o indagati per mafia, la strage di Duisburg, e poi le retate anti ’ndrangheta e i morti di malasanità, le frane, gli smottamenti, la Salerno-Reggio Calabria e i suoi lavori di rifacimento. E le guerre tra pezzi di istituzioni, con la Procura di Salerno che accerchia il Tribunale di Catanzaro e viceversa. De Magistris che lascia la toga e va all’Europarlamento con Di Pietro. E poi i Moti di Rosarno, le rivolte contro i clandestini e la rabbia nera che fa da contraltare al bullismo mafioso.

Si illude Pippo Callipo, l’imprenditore di Pizzo, candidato dell’Idv e dei Radicali a governatore della Calabria, che denuncia «i poteri forti al governo», che parla di «casta politica» e di «mafia con la penna», di «burocrazia dei colletti bianchi che fanno più morti della mafia con la pistola». Si illude Callipo che sogna un «cambiamento rapido, una rivoluzione per la normalità». La condanna terribile dei calabresi è quella di sentirsi appagati soltanto con l’illusione di poter cambiare.

Adesso è il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, Pdl, che si propone a sindaco più che a governatore della Calabria. Anche le sue gaffes sembrano rispondere a questa carica di riscatto, desiderio di cambiamento dei reggini - stuzzicando i ricordi di quella stagione che non c’è più dei Boia chi molla -, che vogliono contagiare il resto della regione con una logica quasi imperiale. Non è un caso che ben otto assessori comunali oltre che il presidente del Consiglio comunale, lo stesso sindaco (e altri tre consiglieri comunali) abbiano deciso di candidarsi alla Regione.

Disarmante Scopelliti quando risponde alla giornalista di «Libero» alla domanda sui catanzaresi del Pdl che remano contro il candidato del Pdl di Reggio: «Si vede che gli rode, ma gli passerà». Qual è la montagna più alta della Calabria?, gli chiedono a una trasmissione radiofonica. E Scopelliti: «L’Aspromonte». Cancellando così il Pollino. E con quali regioni confina? «La Basilicata e la Puglia». Dimenticandosi che Metaponto è Basilicata. Poi professa il suo errore: «Ho dimenticato la Sicilia». Come se lo Stretto fosse ormai coperto dal Ponte che non c’è.

Una parentesi. Aula bunker del Tribunale di Palmi. «Cent’anni di storia», si chiama il processo contro le cosche della Piana, Piromalli e Molè. L’ultimo pentito è un imprenditore, Cosimo Virgiglio, che aveva un’azienda nel porto di Gioia Tauro e si occupava di movimentazione merci.

E’ il processo dove sono depositate le intercettazioni del faccendiere italiano latitante in Venezuela, Aldo Micciché, e il senatore Marcello Dell’Utri per taroccare i risultati elettorali nella Circoscrizione America Latina per le politiche del 2008. Parla del boss, di Rocco Molé, poi fatto fuori dai cugini Piromalli nel febbraio de 2008. E dei politici al servizio della ‘ndrangheta. Dei sindaci della Piana (quello di Gioia Tauro è imputato e sta ad ascoltarlo con molta diffidenza), degli assessori regionali o del presidente della provincia da consultare per la nomina dell’autorità portuale.

Tra i nomi che fa il pentito in aula c’è anche il capolista dell’Udc (che qui in Calabria appoggia la candidatura Pdl a governatore), l’ex assessore regionale Udeur Pasquale Tripodi. E già, in queste elezioni regionali c’è anche il partito degli opportunisti, di quelli che respirano l’aria e cercano di salire sul carro del (presumibile) vincitore, cambiando casacca. E sono una decina i candidati impresentabili e non ripresentati dallo schieramento di Loiero che hanno trovato ospitalità nelle liste pro Scopelliti. Quanto sa di vecchio, questa campagna elettorale calabrese.

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