09 giugno 2011

Corpo Celeste e realtà morente



Corpo Celeste è uno stupefacente film d'essai di Alice Rohrwacher sull'inquietudine di un'adolescente emigrante di ritotno nel passaggio dell'età puberale, ambientato nell'etrema periferia sud, tra Reggio Calabria e Roghudi, metafora di un abbandono in un'arida terra di confine verso il nulla, in cui la chiesa deborda dalla sua missione.

Marta, tornata dalla Svizzera, cerca di trovare nella Chiesa e nel catechismo le risposte ai suoi interrogativi. Trova un'umanità dolente e squallida, in disfacimento morale, indaffarata e distratta da meschinerie, arrivismo e piccinerie varie. A parte il tema del precariato e della crisi dell'Occidente che produce emigrazione di ritorno colpisce il grettume di un'umanità che ha smarrito il senso di vivere antico, per quanto perpetui stanche liturgie.

Parole e concetti vuoti e astratti in un paesaggio sociale sfregiato, involgariato. "Eli eli lama sabactani" (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato, l'urlo sibilato da Gesù Cristo sul punto di morte in croce) si sente ribadire spesso durante lo svolgimento del plot narrativo, come un refrain stranito.

E' come se ci fosse un pessimismo cupo e irredimibile per una regione in cui non filtra luce, che somiglia alla coda di una lucertola: si muove come per miracolo, staccata da un corpo vivente.

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