27 dicembre 2010

Dignità e diritti

di don Luigi Ciotti

No a definizioni come “prete antimafia”, e neppure “prete antidroga”, “prete di strada”, “di frontiera”. Etichette di questo tipo rischiano di far passare per “eccezionale” ciò che invece è – o almeno dovrebbe essere – normale e quasi scontato. Un sacerdote non può che schierarsi, con forza, contro le mafie e tutto ciò che le alimenta: dalla corruzione alle ingiustizie sociali, dalla violenza all’illegalità diffusa. Perché fra mafie e Vangelo c’è un’incompatibilità irriducibile, assoluta. Il Vangelo è parola di vita, di libertà, di speranza: è promessa e annuncio di quello che il crimine organizzato, con la sua cultura di morte, invece nega e cancella. E insieme al Vangelo, a fare da riferimento ai sacerdoti come ad ogni altro cittadino, ci sono la Costituzione italiana e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: testi che su piani diversi affermano lo stesso impegno per la verità, la giustizia, la dignità della persona umana.

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