31 gennaio 2010

La profezia di Derrick de Kerrckhove

Lo studioso dei new media e sistemi digitali Alessandro Mazzeo, dottorando all'Università di Messina pone un interrogativo cruciale nello sviluppo dei social network al massimo esperto di sociologia della tecnologie web Derrick de Kerckhove. "E' possbile considerare, nell'evoluzione di una neo–nata generazione digitale, quella dei nativi digitali, nel confronto tra due player come Facebook, come sistema conchiuso, un "social-media caldo" - caratatterizzato da amcizia ed incontri - e Twitter, un "social-media-freddo"- caratterizzato da news-mondo, gli stessi nativi come continui emigranti digitali?". Questa una domanda cruciale per il futuro dell'informazione e della conoscenza nella prospettiva paninternettiana.

50 anni nella vigna del Signore, dalla parte degli Ultimi


Don Andrea Gallo, fondatore della comunità di San Benedetto è un prete rivoluzionario, a dispetto dei suoi 81 anni, vissuti in un'unica diocesi: la strada.

In questi giorni festeggia i suoi 50 anni di messe celebrate a don Bosco a Sampierdarena a 39 anni esatti dell'insurrezione del quartiere contro il cardinale Siri che aveva deciso che quel viceparroco troppo comunista andava esautorato. Alle sue messe, il sacerdote amico di Manu Chao, invita tutti, atei compresi: "Vengano credenti e non credenti, siamo un popolo di Dio che si vuole sporcare le mani. Vogliamo essere attenti ai diritti di tutti, ripartendo dagli ultimi. E vogliamo parlare di Concilio Vaticano II mica perché abbiamo nostalgia del passato, ma per ribadire che il Concilio è continuità della tradizione, una tradizione che non è ripetizione ma che si vuole nutrire dei bisogni e delle speranze dell'uomo contemporaneo. Per questo Roncalli parla va di perenne giovinezza della chiesa". Insegnamenti ancor più validi in tempi di irrigidimento della dottrina e di cesarismo papale.

29 gennaio 2010

P.r. in Borsa/ PMS prepara la quotazione all'AIM, primo operatore del settore a sbarcare a Piazza Affari


dal sito Affaritaliani.it

PMS, gruppo ai vertici in Italia nei servizi di comunicazione corporate, finanziaria e integrata di alta direzione, si avvia a diventare il primo operatore del settore quotato in Borsa. Fondata nel dicembre 1999 da Patrizio Surace, PMS sta valutando con i consulenti legali e finanziari l’avvio dell’iter di ammissione all’AIM, il mercato di Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese con alto potenziale di crescita.

L’ingresso di PMS nel listino di Piazza Affari rappresenterebbe una novità in Italia, dove il settore della consulenza nei servizi di comunicazione non è ancora rappresentato in Borsa da nessuna società.
PMS vanta una lunga consuetudine con Borsa Italiana, sia per aver accompagnato alla quotazione negli ultimi dieci anni diverse società, compresi grandi gruppi tra i quali Terna, Ansaldo STS, Gruppo 24 Ore; sia per essere stata una delle prima società di servizi ad aver affiancato Borsa Italiana, in qualità di Partner Equity Markets, nell’attività di promozione del mercato dei capitali presso le piccole e medie imprese italiane.

In dieci anni PMS ha registrato la più elevata crescita del settore, con un livello medio annuo di incremento del fatturato di oltre il 30 per cento, molto superiore rispetto alla media del settore.
Con un giro d’affari di circa 9 milioni di euro nel 2008, oltre 400 clienti serviti di cui circa 40 quotati in borsa, 80 risorse umane impiegate, un team di partner e professionisti senior - tra cui Giancarlo Frè Torelli, Cristina Finocchi Mahne, Elena Palacios e Laura La Ferla - un track record di consulenza in 80 operazioni di finanza straordinaria per un controvalore di oltre 64 miliardi di euro, PMS è oggi tra le prime tre società in Italia nel settore della consulenza di comunicazione corporate e finanziaria.

Nel processo di quotazione, UGF Merchant opera come Nomad, l’advisor richiesto da Borsa per il mercato AIM, e anche come global coordinator per il collocamento, mentre lo studio Chiomenti è il consulente legale e Mazars la società di revisione. Non è escluso l’arrivo di un secondo istituto che affiancherebbe UGF in qualità di co-global coordinator.

La quota del capitale sociale da collocare in Borsa non è stata ancora precisata, è certo invece che l’operazione avverrà quasi interamente attraverso un aumento di capitale.
La finalità della quotazione è infatti quella di implementare il piano di ulteriore crescita avviato negli ultimi anni, perseguendo un progetto che mira a fare di PMS il primo gruppo in Italia in grado di coniugare un modello aziendale con quello di boutique di servizi ritagliati su misura del cliente.
Nei piani futuri della società è indicata una crescita per linee esterne, per la quale si prevede l’ampliamento del core business ad attività contigue a quelle in cui attualmente opera, sia attraverso acquisizioni sia tramite lo start up di nuove società focalizzate su segmenti specifici di attività nel settore della comunicazione.

Fiction e realtà nell'uomo Berlusconi


“Definendo la criminalità organizzata ‘una terribile patologia’, Silvio Berlusconi ha criticato le fiction televisive sulla mafia, che danno un’immagine negativa dell’Italia all’estero”, racconta l'Herald Tribune. "Basta con queste trasmissioni, ha detto il premier italiano. Ma se c’è qualcuno che può cominciare a darci un taglio è proprio lo stesso Berlusconi. La sua Mediaset ha mandato in onda la serie tv I Sopranos su uno dei suoi canali a pagamento e nel 2007 ha prodotto una miniserie su un boss della mafia siciliana". Su Canale 5 è andata in onda la miniserie Il Capo dei Capi, una miniserie sicialiana, sulla cattura del boss Totò Riina che avvenne nel 1993, e infine l'Ultimo Padrino sul boss sicialiano Bernardo Provenzano, trasmesso nel 2008. Nessun giornalista presente, ed erano in tanti, ha fatto un'elementare osservazione del genere, che Mediaset ha quantomeno alimentato il genere nel mercato televisivo. Evidentemente quando fanno fare ascolti e regalano spazi di vendita e buoni profitti le fiction sono benvenute, in quanto pecunia non olet. Non a caso il premier ha dichiarato di "strozzerei con le mie mani gli autori della Piovra"...

C'è da dire che in passato anche i magistrati di Palermo Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia avevano criticato, da una differente prospettiva, i prodotti televisivi che parlano di Cosa Nostra cedendo a "indulgenze celebrative o a facili ammiccamenti" e tndono a offrire un'immagine della mafia, ancorata alla lupara e alla coppola, clichés ampiamente superati con l'internazionalizzazione delle mafie.
Sempre in tema di rassegna stampa, l’Economist in edicola conduce un interessante inchiesta sulle ragioni per cui gli italiani hanno votato Silvio Berlusconi (visto dall'estero il fenomeno desta giustamente curiosità). "Quando chiedi perché votano Berlusconi, spesso gli italiani rispondono con una domanda: ‘C’è per caso un’alternativa?". Come biasimarli dopo i penosi spettacoli che sta offrendo il Partito Democratico, dilaniato da scandali sessuali e dimentico della lezione sulla questione morale di Enrico Berlinguer?

28 gennaio 2010

La telepolitica e le emergenze



Una battuta che circola sul web è molto truce, ma rende l'idea della speculazione e dell'uso sapiente dei media in una condizione di accesso favorevolissima. 200.000 morti per il terremoto a Haiti. Berlusca: "Azz, fosse successo in Italia avrei vinto le Regionali alla grande!".

L'assunto serve a spiegare come l'esecutivo riesca a manipolare scientemente le emergenze per fini strettamente propagandistici ed elettorali. Era successo con il terremoto in Abruzzo, si sta tentando la stessa operazione con la Calabria, dove si è tenuto l'ultimo consiglio dei ministri. In questa strana concezione della democrazia lo spazio per il dissenso, la contestazione, il semplice scambio dialettico non esiste. Il premier si è rifiutato di ricevere una delegazione di lavoratori portuali, a rischio licenziamento e già in cassa integrazione, che ha inscenato una manifestazione pacifica. In prima fia campeggiavano gli striscioni benevoli delle organizzazioni parapolitiche e dei circoli. Naturalmente l'immagine è tutto, così il premier Silvio Berlusconi ha stigmatizzato: "Spero che questa brutta abitudine di fare fiction sulla mafia finisca. Queste fiction hanno danneggiato l'immagine del Paese" ha detto il premier.

Tra i manifestanti c'era anche il rappresentante della De asi costruzioni: "La nostra azienda non ha più accesso al credito e sta per chiudere. Siamo un centinaio" ha spiegato il capo delegazione della De Masi costruzioni. E un portuale di Gioia Tauro: "In due anni 500 persone hanno perso il posto di lavoro. Siamo qui a chiedere un intervento serio al governo. La 'ndrangheta si sconfigge con il lavoro, non solo con le chiacchiere e potenziando le forze di polizia. Se non c'è occupazione la manovalanza della mafia crescerà". Queste cose non si devono dire e soprattutto non si devono vedere, sono poco funzionali alla logica del "ghe pens mi" e dell'iperoperatività del governo. Succede nella deomcrazia telecomandata del consenso.

27 gennaio 2010

Santità e autoflagellazione


L'ultimo Papa, Giovanni Paolo II, a quanto pare ha molte più possibilità di essere fatto santo, dopo le rivelazioni di un libro pubblicato dal Vaticano che ha svelato che il Pontefice, anche prima di essere eletto dal conclave nel 1978, si flagellava regolarmente per imitare la sofferenza del Cristo e sentirsi più vicino a Dio..

"Nella sua stanza, tra i suoi paramenti, vi era appeso a un attaccapanni al particolare tipo di cintura che ha utilizzato come una frusta", afferma il libro "Perché è santo", scritto dal postulatore monsignor Slawomir Oder, un funzionario vaticano incaricato di sorvegliare il processo che potrebbe portare alla santità di Karol Wojtyla. Tra le abitudini ascetiche di Papa Giovanni vi era anche quella di dormire nudo sul pavimento, al fine di praticare l'abnegazione.

26 gennaio 2010

In un’oliva la Calabria di domani


tratto da Micromega.it


Croce amava spesso ripetere, a proposito di tutto il meridione: “Il Sud è un paradiso abitato da diavoli”. Ecco una storia positiva di come “fare impresa” in Calabria possa diventare una “battaglia per un nuovo modello di sviluppo” e un progetto di riscatto sociale. Quella di Domenico Cristofaro e della 'sua' Ecoplan.

di Ilaria Donatio

La prima cosa che Domenico Cristofaro dice al telefono, è che è un geometra calabrese figlio di due sarti, “per chiarire subito che lui è partito da zero”, che “se in Italia fare gi imprenditori è difficile anche quando si eredita un’impresa bell’e avviata”, partire da zero, può rivelarsi un “handicap”, perché “sei un pioniere, nel bene e nel male”.

La seconda è spiegare perché lo ha fatto: la “volontà di uscire fuori dai soliti schemi assistenzialistici”, la “voglia di dimostrare a se stessi e al territorio di poter fare qualcosa di diverso” e l’idea di “creare ricchezza e sviluppo con l’autoimprenditorialità”. Il territorio: tornerà spesso durante tutta la conversazione, per dire che non è solo teatro o sfondo, ma la chiave di tutto, perché “nulla sarebbe potuto essere fuori dalla Calabria”, questo è “fuori discussione”.

È subito chiaro, dunque, che questo pioniere di Polistena - nella parte orientale della Piana di Gioia Tauro, alle pendici dell’Aspromonte - ha grinta da vendere. Di lui e della sua impresa, Ecoplan, si è molto parlato negli ultimi mesi: un’“idea-progetto” concepita 17 anni fa ma ancora unica e rivoluzionaria per l’industria ambientale: da un impasto realizzato con la sansa esausta di olive (solo nella Piana se ne producono due milioni e mezzo di quintali ogni anno) – risultato dell’ultima spremitura delle olive - e con polipropilene riciclato, ottenuto con i residui della lavorazione di pannolini per bambini, Domenico ha costruito pannelli ecologici molto resistenti, con uno spessore che può arrivare fino a trenta millimetri (tanto che in un comune vicino Milano, ci hanno pavimentato i percorsi pedonali all’interno di un parco pubblico).

Ma le lastre dell’imprenditore calabrese sono adatte a una miriade di utilizzi: pavimenti, scaffali, mobili, arredi scolastici, allestimenti di soppalchi, strutture balneari, pianali di veicoli industriali o di container: tutto senza tagliare un albero. Una plastica speciale – la Ecomat - riciclabile all’infinito (l’azienda ritira e ricicla i propri prodotti a fine ciclo vita, abbattendo i costi di acquisto dei nuovi), ma priva di formaldeide o di altre sostanze cancerogene - spesso contenute nelle colle con cui si producono i pannelli in legno - che potrebbe scompaginare totalmente l’industria dei pannelli e dei laminati.

Così, è nata Ecoplan. Dopo “dieci anni di ricerca e sviluppo, spesi per mettere a punto il prodotto”, la linea di produzione è stata definitivamente messa a punto nel 2007 e già ha fatto notizia in tutto il mondo tanto che “cinesi e coreani” - produttori mondiali di container – “sono venuti a vederla” (ma, con un pizzico di orgoglio, Domenico ci informa che i campioni li ha chiesti anche un big come Norman Foster, grande architetto e designer britannico e L’Oréal li sta esaminando con attenzione, per i pavimenti e gli arredi “ecologici” dei suoi nuovi show room in giro per il mondo).

E la ‘ndrangheta? “Non si è fatta vedere, ancora, forse perché è un settore ad alta tecnologia che per ora non produce ricchezza,”. Ma se bussasse alla sua porta, Domenico non ha dubbi: “Se cedessi alla richiesta del pizzo, sarebbe come cederle un pezzo di mio figlio”. Lui, che di figli ne ha due (di dodici e quattordici anni), ha scelto una gestione sempre trasparente della sua impresa, a qualsiasi prezzo: come quando ha “restituito allo Stato oltre 250 mila euro dei finanziamenti ottenuti” (perchè non li aveva potuti spendere come inizialmente previsto, a causa di problemi legati alla ritardata messa a punto dell'impianto), su un totale di un milione e 300 mila euro di finanziamenti a fondo perduto, cui ha avuto accesso grazie alla legge 44 per l’imprenditoria giovanile (l’investimento complessivo realizzato è pari al doppio, circa due milioni e mezzo).

Neanche la malattia ha piegato questo calabrese vitalissimo e coriaceo che, per curarsi, qualche anno fa se n’è andato da solo a Milano, per poi tornare a occuparsi dell’azienda, “la sua medicina migliore”. E trova, di tanto in tanto, anche la forza di rassicurare chi gli sta accanto: “Mia moglie ha avuto, giustamente, momenti di stanchezza durante tutti questi anni” perché “non è facile seminare sempre e attendere il momento della raccolta: a un certo punto ti chiedi anche se arriverà, prima o poi”.

In futuro, dovrebbe partire un’altra sfida: quella di utilizzare al posto della sansa, la lolla di riso, cioé la parte dell’involucro che contiene il riso e che viene scartata durante il ciclo di lavorazione dello stesso. Nell’ambito del programma di cooperazione ambientale tra Italia e Cina, è allo studio il “progetto Ecomat”: nel dragone rosso la quantità di lolla presente, è talmente elevata da costituire un serio problema per il suo smaltimento. Ed ecco che Domenico pronto a scommettere: quella di realizzare, in Cina, uno o più impianti per la produzione di pannelli, utilizzando scarti industriali di origine vegetale, la lolla del riso, alternativi ai pannelli in legno tropicale perché, spiega, “la produzione di legname per scopi industriali è tra le cause principali della deforestazione nelle aree tropicali”.

La verità è che Italia è piena di progetti innovativi (che non fanno rumore) ma quando “fare impresa” diventa una “battaglia per un nuovo modello di sviluppo” (Ecoplan è stata premiata dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, presieduta da Edo Ronchi), quando “investi in una terra” la cui economia è governata, in troppi settori, dalla ‘ndrangheta, e sorretta da braccia clandestine, come gli immigrati di Rosarno (a dieci chilometri dai padiglioni della Ecoplan), dove sfruttamento e illegalità sono all’ordine del giorno, allora si tratta di vera “resistenza” condita da un po’ di “sana utopia”.

“Questa, oltre ad essere una missione imprenditoriale”, è anche una “missione sociale, etica, responsabile, stimolatrice”, legata al territorio di cui vuole sfruttare in maniera positiva, peculiarità e caratteristiche. Ma “senza stravolgerne l’assetto, con lo sguardo rivolto al futuro in maniera glocale e, al tempo stesso, ecologica e sostenibile, con l’ambizione di eccellere in innovazione e in qualità”.

In quella Calabria, dove di “aziende produttive vere e proprie ce sono davvero poche; dove, se vuoi fare le cose per bene e nel rispetto della legge trovi difficoltà, mentre se vuoi tagliare per il ‘corto’, magari, tutto diventa più facile e fattibile”. A cominciare dal rapporto con le amministrazioni pubbliche, con le istituzioni, con le banche, con i fornitori con i clienti, con il tessuto sociale e imprenditoriale... “Quante volte mi hanno chiesto di entrare in politica! Ma io mi sentirei incoerente: posso essere parte della classe dirigente anche facendo l’imprenditore”.

Lui che “don Pino De Masi, l’ha visto crescere” ed ha sempre con sé “la tessera di Libera in tasca” (impegnata nella lotta contro tutte le mafie), riferisce il commento del sacerdote (referente dell’associazione per la Piana di Gioia Tauro) ai fatti di Rosarno: “Il problema immigrati non esula dal problema delle mafie perché è la ‘ndrangheta che gestisce tutto ed è sempre la criminalità organizzata che stabilisce i movimenti, le paghe ed il compenso dei caporali”. Per poi citare quel detto antichissimo, che Benedetto Croce amava spesso ripetere a proposito di tutto il meridione: “Il Sud è un paradiso abitato da diavoli”. E chiudere con le parole del “più grande scrittore calabrese di sempre”, Corrado Alvaro, che nel suo diario, all’inizio di un viaggio che lo avrebbe portato a Torino per insegnare, scriveva “… è anche troppo quello che sono riuscito a combinare con tutti gli inconvenienti con cui sono partito: meridionale, povero, scrittore”.

(21 gennaio 2010)

25 gennaio 2010

Quel fine dicitore di Gasparri

Valanga Vendola, Nichi è Palese




Nichi vince a valanga col 70% delle preferenze nelle primarie per il candidato alle elezioni regionali. Nichita Vendola ha stravinto, anche contro i tatticismi e i bizantinismi del Partito Democratico. In Puglia sarà il candidato per il centrosinistra. lezioni regionali con oltre il 70% dei consensi, contro circa il 30% per Francesco Boccia (nomen omen, anche i creativi però ci hanno messo del loro), candidato sostenuto dal Pd, surclassato per la seconda volta. Una vittoria non scontata, contro gli apparati di partito, costruita in mezzo alla gente, come spiega in questo pezzo Luca Telese. Se la vedrà con Rocco Palese, lo sfidante messo in campo dal Pdl.

24 gennaio 2010

A volte ritornano. Riecco i No Tav

La vicenda Val di Susa è tornata di attualità. È la storia della linea Lione-Torino, con traforo del Frejus (un tunnel di 52 Km sotto le Alpi) e i valligiani che si oppongono a un'opera ritenuta ambientalmente e socialmente incompatibile.

20 gennaio 2010

Eretici digitali - Il video ufficiale

"Cosa voglio di più" alla Berlinale



'Cosa voglio di più', nuovo film di Silvio Soldini, sarà Fuori Concorso al Festival di Berlino (11-21 febbraio). Dopo Ozpetek ('Mine vaganti', Fuori Concorso) e Guadagnino ('Io sono l'amore' sarà presente nella sezione 'Culinary Cinema' col titolo 'In the Food of Love'), un altro italiano dunque entra nel cartellone della kermesse tedesca, che giunge quest'anno alla sua 60esima edizione.

Il film di Soldini, interpretato da Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher racconta del rapporto burrascoso tra una donna (la Rohrwacher), già legata sentimentalmente, e un uomo (Pierfrancesco Favino) a sua volta sposato. Una storia d'amore tormentata sullo sfondo della Milano del nostro tempo.

"Siamo felici di riscontrare l'interesse di un importante Festival come quello di Berlino per l'ultimo lavoro di Soldini. - ha commentato il presidente della Warner Italia Paolo Ferrari, che distribuisce 'Cosa voglio di più' - E proprio per dare al film l'opportunità di tenitura ed esposizione che merita abbiamo deciso di spostarlo al 30 aprile, per uscire dall'imbuto di film italiani proposti al mercato nei primi tre mesi dell'anno e quindi dare al pubblico il tempo di apprezzarlo e di poterlo scegliere. Nell'interesse di Soldini e del migliore sfruttamento del cinema italiano in generale". Per Silvio Soldini è la seconda volta a Berlino: nel 2002 aveva presentato 'Brucio nel vento'.

13 gennaio 2010

Calabria, dove «nulla è come sembra»


di Giuseppe Chiellino da Il Sole 24ore.it

Intervista a Gioacchino Criaco,
lo scrittore di Africo (RC) che racconta la mafia dal di dentro e spiega i perché della bomba alla Procura di Reggio e degli scontri tra italiani e immigrati a Rosarno

«Ora arriveranno i blitz anti-ndrangheta, un po' di malavitosi finiranno in galera l'opinione pubblica avrà soddisfazione, lo stato avrà mostrato i suoi muscoli in Calabria e poi tornerà il buio. E come accade da secoli, il sistema ha funzionato alla perfezione». Giocchino Criaco, scrittore, è nato e vive ad Africo, alle pendici dell'Aspromonte sulla costa jonica reggina e più volte nelle cronache per fatti di ‘ndrangheta. Della ‘ndrangheta conosce ogni risvolto, c'è cresciuto dentro e ne paga personalmente le conseguenze.

Criaco ha raccontato la ‘ndrangheta da dentro, in due romanzi, Anime Nere e Zefira, editi da Rubbettino, narrando impietosamente la Calabria e i calabresi. Gli abbiamo chiesto cosa pensa dei fatti di Rosarno ("Una guerra tra poveri con la regia delle cosche" abbiamo titolato da subito) e dell'ordigno fatto esplodere qualche giorno prima davanti alla Procura di Reggio Calabria.

Il pensiero levantino
"Nulla in Calabria è come sembra, nulla è scontato" risponde. "Una vecchia leggenda dell'Aspromonte racconta che gli abitanti del versante orientale, dopo aver goduto del tepore del sole lo aspettavano sulla cima al monte e lo coprivano con una maschera, sempre più mostruosa. Gli abitanti del versante occidentale non avevano mai potuto godere del suo calore. Anzi erano terrorizzati dall'aspetto orripilante. Scappavano via o si consegnavano schiavi agli artefici dell'inganno. Sin quando uno schiavo arguto, scoperto il trucco, non si nascose a levar la maschera apposta al sole dai levantini". La morale? "Se vuoi sapere chi è il colpevole devi individuare la vera vittima di un fatto e capire a chi, quel fatto stesso, giova".

Da Reggio a Rosarno, una successione non casuale di eventi
E' cosi' è anche per la bomba di Reggio e per i disordini di Rosarno, scoppiati proprio mentre nel capoluogo si riuniva il Comitato per la sicurezza e l'ordine pubblico, con due ministri del Governo centrale. Per Criaco la successione di eventi non è affatto casuale, fa parte dello stesso disegno. Così come non è casuale che bomba e rivolta degli immigrati siano esplose all'inizio della campagna elettorale per il voto delle regionali. "Il disegno di chi – spiega – ha bisogno di creare confusione per serrare le fila, e riconquistare la fiducia di quei calabresi che stavano cominciando a rendersi conto dell'inganno e ad abbandonare le logiche mafiose". La risposta "scontata quanto scomposta" dello stato centrale, come un "rullo compressore" schiaccia tutti, "i più cattivi, i meno cattivi e gli ex cattivi. Lo stato torna ad essere un nemico, per tutti, e tutti tornano disciplinatamente al vecchio ordine". In questo modo "si combattono gli effetti della mafia, la manovalanza, non le origini e, dunque, i suoi vertici".

La risposta scomposta dello Stato
Uno stato forte "dovrebbe dare risposte serie, non forti, regole normali, non speciali. Dovrebbe individuare e punire singoli colpevoli e non sparare nel mucchio. Dovrebbe dare libertà e risposte alle comunità territoriali. Non accendere fugaci meteore, fatte solo di divise e manette. Dovrebbe supportare le voci locali e non soffocarle solo con parate militari. La Calabria – sostiene lo scrittore - ha bisogno di sentire la presenza dello stato nella quotidianità, nella normalità, non nell'emergenza. Lo stato centrale invece ha delegato la propria rappresentanza alle dinastie che da decenni qui controllano politica, istituzioni, economia, sanità. Fino a quando il potere resterà nelle mani di queste dinastie, la ‘ndrangheta e le mafie non potranno essere sconfitte". Perché? "Perché chiunque venga qui per combattere il malaffare, poliziotto o magistrato che sia, non può fare a meno di appoggiarsi alle istituzioni locali. Ma se queste sono controllate in modo capillare dalla ‘ndrangheta, tutto è inutile".

Quando toccano i poteri forti le inchieste si fermano
Nessuna inchiesta seria, afferma Gioacchino Criaco, "ha mai fatto luce sui mali di questa terra e quando qualche magistrato, come Cordova qualche anno fa o De Magistris, più di recente è andato a guardare da vicino politica o massoneria, sappiamo come è andata a finire. Cordova trasferito a Napoli, De Magistris fuori dalla magistratura".

Le vere vittime
Tornando ai levantini, dunque, chi è la vittima e a chi giova tutto quello che è successo? "La vittima è la Calabria e l'intera comunità calabrese, oggi sotto i riflettori, domani di nuovo dimenticata nel buio. Le vittime sono le imprese, gli imprenditori sani annichiliti, come con i sequestri negli anni 70, dalle dinastie. E oggi, come allora, la Calabria rischia di perdere un'altra occasione di sviluppo". I beneficiari? "Sono i cattivi veri, quelli che comunque vogliono continuare ad avere un ruolo sperando di restare gli interlocutori unici. Coloro i quali per trent'anni è stata garantita una totale immunità da istituzioni controllate da falsi servitori dello Stato. Oggi viene presentato anche a loro il conto da pagare e non ci stanno più. Gli andava bene quando a pagare per le loro malefatte erano poveracci, illusi di far parte di una fratellanza onorata e solidale".

La speranza, i piagnistei e il ricatto
Quindi una terra senza speranza? "No, la speranza è dell'uomo, ma i calabresi devono mettere fine a secolari piagnistei, devono osservare le regole e chiedere il rispetto dei diritti. Se si accetta anche solo una volta di tradire lo stato e la legalità si diventa ricattabili ed è finita. La libertà ha un prezzo, è una conquista che costa dolorosa fatica". Criaco continua a vivere ad Africo. Suo fratello è in carcere, in regime di 41bis, condannato a 20 anni. "Ha sbagliato, deve pagare e lo fa senza vittimismi. Io prendo le distanze dal fatto, ma non dall'uomo. Non posso abbandonare mio fratello, se lo abbandono io – dice senza ipocrisie - non avrà alcuna speranza di essere recuperato alla società civile". Da due anni ha lasciato il lavoro di consulente legale che svolgeva grazie alla sua laurea in legge. "Sono solo, mi basta poco, mi accontento di quello che riesco a guadagnare con i miei libri". Anime Nere ha venduto 20mila copie, sono stati ceduti i diritti cinematografici e di traduzione in francese alla Métailié, casa editrice che ha pubblicato tra gli altri Andrea Camilleri.

Fuga dal Sud



La transumanza Sud-Nord non conosce tregue. L'esercito di disoccupati che si sposta in massa dalla regioni meridionali nel guado padano ha raggiunto in cinque anni percentuali stratosferiche. Tra il 2000 e il 2005, in particolare, oltre 80mila laureati (l'1,2% dei residenti con tale titolo di studio) hanno abbandonato le regioni d'origine per emigrare in cerca di un'opportunità lavorativa. La ricerca è stata condotta da Bankitalia. Al di là del previsto e plausibile "impoverimento di capitale umano che, a sua volta, potrebbe riflettersi nella persistenza dei differenziali territoriali in termini di produttività, competitività e, in ultima analisi, di crescita economica", è la dimostrazione che la constatazione che la questione meridionale esiste, è congenita, ma è passata di moda, specie lontano dalle elezioni. La capacità inclusiva del Nord appare piuttosto compromessa in questi ultimi tempi. Il Nord comunque sembra pre meno in grado di assolvere le richieste anche per via del cambiamento del mercato del lavoro con il boom del precariato che certo non incentivava le persone, soprattutto i giovani, a spostare la residenza per seguire un lavoro a termine. Paradossalmente esiste un fenomeno antitetico, quello del downshifting, ossia dei manager, uomini d'affari, commercialisti, professionisti stressati dai ritmi centrifuga delle metropoli che si trasferiscono in contesti meno alienanti e più a misura d'uomo. Non raggiunge certamente le cifre del flusso migratorio dei meridionali, ma andrebbe analizzato diffusamente.

12 gennaio 2010

Ma non è razzismo


di Mimmo Gangemi - La Stampa

La migliore definizione di ‘ndrangheta che oggi mi viene sono gli occhi preoccupati di mia madre, 88 anni, e la lacrima che le si è staccata al primo battito di ciglia, appena ha scoperto che scrivo di ‘ndrangheta.

Mi tocca rifarlo. Non posso tacere Rosarno.

I due giorni di guerra civile sono stati per lo più etichettati come fatti di ‘ndrangheta. E di razzismo. Non condivido in parte la prima e non condivido del tutto la seconda. Da noi la ‘ndrangheta c’è sempre, sia chiaro. È padrona del territorio, si sostituisce allo Stato, impone le sue leggi non scritte. Non tutto però è per forza ‘ndrangheta.

Con la necessaria premessa che la violenza è sempre e comunque da condannare e che mi piange il cuore per quei poveri Cristi che tanto mi ricordano i nostri nonni diretti alla Merica, quando sfidarono il mare Oceano - così lo chiamavano, confidenzialmente, forse nella speranza di ammansirlo, convinti che Oceano fosse il nome - dico che a Rosarno non si è trattato di un accadimento di ‘ndrangheta. A Rosarno si è raccolta una sfida - «tu, nero, ti ribelli e vieni a fare il prepotente in casa mia e io ti mostro che non lo puoi fare». La sfida conteneva il senso di appartenenza, dell’onore, dell’ominità, la necessità di non restare sconfitti e scornati, tutte cose che sanno di ‘ndrangheta ma che non sono necessariamente ‘ndrangheta. È stato insomma il risultato di un costume sociale che è anche impregnato di ‘ndrangheta e che, essendolo, non poteva digerire la rivolta dei neri - peraltro violenta e che ha coinvolto una madre con i suoi bambini - la rivolta di ospiti, assistiti da un solerte volontariato locale, che non erano rimasti entro i limiti che competono agli ospiti. E la ‘ndrangheta? Era tra i facinorosi della reazione violenta e spropositata, magari fianco a fianco con cittadini già sue vittime. Ha cavalcato la battaglia, trovandosi a suo agio, come i vermi dentro il formaggio. Rischiava altrimenti di incrinare il suo potere di controllo del territorio, di frantumare l’alone di complicità, di connivenza, di affiliazione ideologica, di consenso a volte, che l’hanno radicata alla terra e a una fetta non marginale della popolazione.

«Finché sono Papa, papijo» dice don Mico Rota, capobastone, nel mio «Il giudice meschino». Papa, don Mico, lo era diventato sul campo, per meriti ‘ndranghetisti. Per papijare a un Papa occorrono però il completo controllo del clero e dell’intera comunità e nessuna ombra che offuschi la sua autorità di Papa. Lo stesso a Rosarno.

La ‘ndrangheta si è associata alla reazione della popolazione perché non poteva consentire a forestieri - siano neri o della civile Svezia - di fare la voce grossa in casa sua e intaccare così l’immutabilità. Sarebbe stata una debolezza.

Un fenomeno complicato, la ‘ndrangheta. È radicata. Non è facile estirparla. Ha occupato spazi che erano dello Stato, riesce talvolta a farsi preferire anche da chi è lontano dall’idea del delitto. Una guardia giurata, che non è prettamente forza dell’ordine ma che in qualche misura ne è affine, «bello, bello assai, giusto, tutto giusto» mi disse riguardo il pezzo in cui rivendicavo a noi calabresi il diritto di non essere eroi. Poi, «però, ingegnere, un po’ di ‘ndrangheta ci vuole, sennò come si fa a governare X?» poggiò lieve, in punta di lingua. X è un paese del reggino ad alta densità ‘ndranghetista. Non lo cito per purgarmi in salute, e restare coerente al diritto, che riconosco ai calabresi, di avere paura. Non ho riportato un episodio isolato. Questa è un’opinione abbastanza diffusa. Non si riconosce allo Stato la capacità di governare il territorio, di essere Stato. E molti pensano alla ‘ndrangheta come all’unica struttura in grado di garantire un certo ordine, il suo ordine.

Non la ‘ndrangheta, quindi, alla radice dei fatti di Rosarno: ha solo fatto pure sua la reazione. E niente razzismo. Come può attecchire il razzismo nell’animo di chi è vittima di simili discriminazioni, anche dal «civile» Nord, e nel cui sangue ci sono tanti di quei miscugli da aver fatto di noi un ibrido meticcio? Poi il calabrese ha il senso dell’accoglienza, basti ricordare gli esempi di Badolato con i Curdi e di Riace.

Chi raccoglierà adesso le arance?

Molti non le raccoglieranno affatto, essendo mutate le modalità di erogazione del contributo europeo, non più in base al prodotto ma con un tot a ettaro, e questo ridurrà il già scarso utile. Per il resto provvederanno ancora e sempre i neri. Altri neri. Si raggiungerà un nuovo equilibrio. Magari saranno alloggiati nelle case coloniche dei proprietari, ‘ndranghetisti compresi, senza consentire che facciano massa e il rumore della massa. Non c’è altra soluzione. Certo non lo farà mano d’opera locale, le grandi folle di presunti disoccupati. Non a quelle cifre, non a venticinque euro a giornata. Neppure a quaranta, ché oltre non si può andare, solo dieci euro in più sconsiglierebbero la raccolta, meglio lasciare tutto a marcire, io stesso già lo faccio, a causa del mercato degli agrumi che è crollato. Ma forse i lavoratori locali non li raccoglierebbero comunque. Le classifiche che danno la Calabria con il più basso reddito pro capite della nazione sono carta straccia. Qui c’è il lavoro nero, qui c’è chi vive nel lusso e nell’abbondanza e percepisce il sussidio di disoccupazione, qui ci sono laureate che mai hanno preso in mano un’oliva, se non per mangiarla, eppure risultano raccoglitrici, qui la fame e la miseria sono solo sui numeri. Chi le pativa davvero, fame e miseria, è andato via.

Nemmeno mi convince l’assunto secondo cui i disordini sarebbero stati fatti scoppiare ad arte, per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla bomba alla Procura generale di Reggio. La ‘ndrangheta è una struttura orizzontale, tante piramidi, di dimensione e prestigio diversi, messe in serie. È difficile perseguano strategie comuni e condivise.

Né sono più tanto certo che si sia trattato di un gesto di intimidazione della ‘ndrangheta, di quella più potente almeno, particolarmente colpita dalla Legge negli ultimi tempi e preoccupata per i primi sintomi di un risveglio della società civile. Mi ha reso dubbioso la novità che parrebbe esserci stata una donna alla guida del motorino da cui è sceso il giovane che ha piazzato l’esplosivo. Se davvero era una donna - e non piuttosto un uomo camuffato - allora comincio a non raccapezzarmi: la ‘ndrangheta, quella che conta, quella «seria», quella che si può permettere passi autonomi, anche se scellerati e dannosi per tutti loro, mai prima d’ora ha affidato simili compiti a una donna, ne avrebbe perso in onorabilità, per come la intendono loro. Può però essere che abbia mutato pelle e strategie, mettendosi alle spalle il passato. Possibile ma difficile da digerire, questo. Alla San Tommaso, ne prenderò atto se e appena lo riscontrerò. Perché tendo a escluderlo. La ‘ndrangheta sta bene com’è, non intorpidisce le acque e conosce i rischi che comporta sfidare faccia a faccia lo Stato, lo ha già visto con Cosa Nostra. Poi restare ancorati al passato, ai comportamenti e alle «regole» del passato, è vitale per la ‘ndrangheta. Se alle spalle delle nuove leve senza scrupoli non ci fossero i vecchi capibastone, quelli sopravvissuti ai tanti invece morti con le scarpe ai piedi, per strada cioè, in un agguato, e non di malattia nel letto di casa, se non ci fossero loro e il loro carisma, che ancora inganna di passato, scomparirebbero l’umore di condivisione, la quota di omertà che non è paura, la tranquilla convivenza, il consenso di una fetta della popolazione, e resterebbero nudi delinquenti facili da abbattere. Rimango con il dubbio.

Ho finito. Ho l’amaro in bocca. Se in questo momento mi chiedessero che cosa fare del nostro futuro, risponderei «andiamocene, mai riusciremo a sconfiggere la ‘ndrangheta». Poi penso alla stragrande maggioranza di persone perbene, alle radici che non è giusto recidere per le colpe di pochi, a questa mia terra bellissima e martoriata, penso che non saremmo noi stessi nel posto scelto per fuggire, penso che qui c’è l’aria che già fu fiato di mio padre, che qui riposano i miei morti, che incatenano più dei vivi. E resto.


«Ma perché da Rosarno non hanno cacciato i calabresi?». (Fabrizio Rondolino, ex consigliere di Massimo D'Alema)

Fino a qui tutto bene dal blog Spinoza.it

Rosarno, scontri fra cittadini e immigrati. I cittadini sono quelli che sparano.

(E poi dicono che gli italiani sono uniti solo quando ci sono i mondiali)

Nella cittadina calabrese alcuni extracomunitari sono stati feriti da colpi di fucile. I primi timidi tentativi di integrazione.

Stranieri gambizzati, pestati con spranghe o investiti da auto. Non si placa la protesta della società civile.

La fondazione FareFuturo denuncia: "Gli immigrati svolgono lavori ingrati e massacranti, che gli italiani non vogliono più fare". Come protestare contro le ingiustizie.

Gli immigrati: "Intollerabili le condizioni in cui ci fanno vivere". Possibile che la 'ndrangheta non si possa permettere di meglio?

Fucili, barricate, cassonetti dati alle fiamme, folla armata di bastoni e spranghe; a volte giriamo il mondo e non conosciamo ancora le bellezze dell'Italia.

Fermato dalla Polizia l'uomo che ha sparato in aria: "Guardi, si impugna così".

Panico per la reazione degli extracomunitari: una donna a bordo di una Punto è stata aggredita e salvata solo dall'italica compattezza del mezzo.

Immigrati contro polizia, cittadini contro immigrati, polizia contro cittadini. Eppure ci dev'essere un modo per dare la colpa a internet.

Secondo gli investigatori non c'è stato nessun coinvolgimento della criminalità organizzata: sono stati dei comuni stronzi.

Numerosi i feriti nei violenti scontri tra meridionali ed extracomunitari. Dopo aver visto le immagini molti leghisti sono corsi a chiudersi in bagno.

Ora per molti clandestini il timore è di essere rimpatriati. In una bara.

Maroni: "La polizia era sul luogo degli scontri fin dal primo momento". Con i popcorn.

Secondo Maroni è stata l'immigrazione clandestina ad alimentare il degrado a Rosarno. Certo che si stava da dio finché c'era soltanto la mafia.

(Maroni dà la colpa all'immigrazione clandestina. Tanto valeva darla alla deriva dei continenti)

Il Pd dichiara: "Il ministro riferisca in Parlamento". Ehi, stavolta si sono incazzati sul serio!

Centinaia di africani schiavizzati e ridotti a vivere come bestie, raccogliendo agrumi per pochi euro al giorno. Adesso sapete perché la vostra spremuta ha un sapore strano.

(Pensateci: lavorare quindici ore al giorno per venti euro, senza nessuna tutela, spesso nei campi gestiti delle mafie. Che, tra l'altro, non esistono)

Aggredita una troupe de La vita in diretta, in un sussulto di civiltà.

All'origine dell'episodio la domanda scomoda dell'inviato: "Allora, come vanno i saldi quest'anno?".

Sassi anche contro una troupe del Tg2, senza conseguenze. Quelle saranno aggiunte in post-produzione.

(Sassi contro i tg Rai? E poi dicono che al sud non lottano contro l'omertà)

Sugli scontri Feltri ha titolato polemicamente... no, un momento, ma chi cazzo se ne frega di come ha titolato Feltri!

(A onor di cronaca, il titolo del Giornale è "Hanno ragione i negri". Praticamente un'edizione straordinaria)

Ora gli abitanti di Rosarno stanno tornando alla normalità. Si sa, non è gente abituata a sparare agli sconosciuti.

Il cardinal Bertone si è detto preoccupato per le gravi condizioni di lavoro degli immigrati: le arance poi arrivano tutte ammaccate.

Dura omelia del parroco del paese: "Chi è pronto alla violenza contro i più deboli non venga in chiesa". È giustificato.

"I cristiani aiutino chi sbaglia". Mira.

Maroni: "A poco a poco porteremo la situazione alla normalità". Entro il prossimo raccolto.

11 gennaio 2010

Belgio, lo show del ministro ubriaco in aula

Mimmo Calopresti: "A Rosarno politica svolga opera di mediazione"

intervista ad Articolo 21

''Conosco bene Rosarno perche' vicinissimo a Polistena, citta' nella quale sono nato: in quella zona c'e' il nulla. Questi ragazzi africani che vivono la' fanno una vita terribile: lavorano duramente e in condizioni difficili. La Calabria, nell'immaginario collettivo, la regione del mare e del sole.. a Rosarno invece in questa stagione fa freddo e questi ragazzi vanno nei campi a raccogliere arance e mandarini , non hanno la possibilita' di lavarsi decentemente, non hanno bagni e vivono una vita da schiavi''. Mimmo Carlopresti, regista, sceneggiatore e attore cinematografico italiano, in un'intervista a Articolo21.

''In piu' -prosegue- non hanno nessun rapporto con la popolazione se non quella di lavorare venendo pagati poco e male. Vengono anche vessati, chiamati abitualmente negri...dopo un po che subisci alzi la testa e succede l'irreparabile, questa storia iniziata per una stupidata (forse?) qualche idiota spara a questi giovani con carabine o pistole ad aria compressa ed chiaro che non puoi sempre sopportare ''.

''Nessuno interviene a loro difesa anche se tutti sanno che molti di questi ragazzi sono clandestini. Cosa bisogna fare per uscire da questa emergenza? Bisogna dialogare -dice Calopresti- e consentire che la politica svolga la sua funzione di mediazione di due situazioni emergenziali''.

10 gennaio 2010

L'enigma Calabria e il cattivismo


"Per combattere l'immigrazione clandestina non bisogna essere buonisti, ma cattivi, determinati". (Maroni dixit)

09 gennaio 2010

L'Inferno di Orange Town, le ragioni dei "negri", la bomba, Rosarno e la pazzia


Voci e brandelli di giornali

Gli africani si ribellano ai clan, sono più coraggiosi di noi....La bomba alla procura di Reggio è il segno che la 'ndrangheta alza il livello dello scontro. È una bomba artigianale, quindi un segnale di misura contenuta e simbolica ancora, un messaggino. La famiglia Condello possiede bazooka ed esplosivi C3 e €4, capaci di far saltare l'intero edificio della procura. È credibile che l'attentato sia stato deciso da una riunione di tutti i capiclan Mi pare più probabile che l'abbia deciso una famiglia e abbia ottenuto il silenzio-assenso delle altre. (Roberto Saviano, Il Sole 24ore)


Trattati peggio delle bestie, provocati sistematicamente, privi di dignità e di ogni elementare diritto. E' quasi inevitabile che situazioni di questo genere, alla fine, generino la violenza. "A Rosarno c'è sempre stata una forte rete di solidarietà tra residenti e immigrati". C'è una sola linea. Quella di liberare il territorio dalla criminalità organizzata, sradicare le attività gestite dagli esponenti delle famiglie dell'ndrangheta. Per farlo, è necessaria un'azione concorde di tutte le istituzioni dello Stato, non solo di segmenti isolati della società civile. Non è una guerra, questa, che si combatte una tantum, sull'onda emotiva di un fatto spiacevole o sanguinoso. L'eco della rivolta di Rosarno presto si spegnerà. Ecco. L'azione di contrasto deve proseguire senza arrestarsi, sino a quando non saranno spazzati via i caporali e chi li comanda. Potranno liberarsi dalla mafia solo attraverso la bonifica di questi vasti territori. Distruggere il male alle radici. Togliere una volta per tutte alle cosche il controllo delle attività economiche. (Intervista a don Luigi Ciotti, La Stampa)

...una donna di Rosarno Antonella Bruzzese, intervistata dal Tg2: «Tornando a casa, sono stata bloccata da questi extracomunitari che mi sono venuti addosso letteralmente sulla macchina, cominciando a colpirmi con sassi e spranghe di ferro, spaccando i finestrini. I bambini urlavano. Sono riuscita a fare altri pochi metri con la macchina, questi mi venivano dietro e mi hanno sbattuto con tutta l'auto contro il muro; la macchina si e' fermata...». Rosarno, Italia, per ora un inferno. (Il Messaggero p. 2)

Hanno ragione i negri. I clandestini non dovrebbero entrare in Italia. Ma una volta che sono qui, non li si può sfruttare in modo vergognoso e prendere a fucilate mentre fanno lavori che i nostri disoccupati disdegnano. Gli immigrati invadono il Mezzogiorno perché accettano di fare lavori che i giovani disoccupati rifiutano. Ma la cultura del lamento è una piaga. I ragazzi si aspettano sempre un aiuto dallo Stato. E, se non c'è, dalla criminalità (Il Giornale)

«Si parte da questa bomba a basso potenziale, dalla novità antropologica di una donna che guida la motoretta, e si arriva ai fatti di Rosarno. Sono eventi nuovi di un conflitto molto complesso tra 'ndrangheta e Stato. La 'ndrangheta vuole incendiare la Piana». (Intervista a Paride Leporace, Il Riformista)

«Fermate le violenze, qui a Rosamo potrebbe scoppiare la guerra» II vicario della Diocesi di Oppido-Palmi don Pino Demasi: il rapporto con la popolazione potrebbe incrinarsi. La reazione rischia di essere controproducente Sfruttati e vessati la vita infame dei «neri» nella terra dei caporali Venticinque euro al giorno per spezzarsi la schiena e raccogliere arance nei campi controllati dalla 'ndrangheta. Tutti sanno e in troppi tacciono. (Marco Revelli, L'Unità)

A Rosamo esiste un gioco chiamato «andare per marocchini», altri lo chiamano «il gioco della Nazionale». Per partecipare bisogna andare in gruppo sugli scooter con i bastoni - appunto lungo la via Nazionale - sfrecciare accanto ai migranti che la percorrono a piedi di ritorno da lavoro, prendere la mira e picchiarli, proprio come i giocatori di polo con la palla. (Celeste Costantino, Il Manifesto)

Sono profondamente addolorato da quanto sta avvenendo a Rosarno. Mi vergogno di essere calabrese, perché è indegno che i migranti siano buoni quando devono raccogliere agrumi e, per il resto, sono maltrattati e vilipesi come esseri umani. Ad ogni modo, a Riace e Rosarno ci sono due Calabrie diverse. Se Wim Wenders ha definito utopia quella di Riace, il mondo, compreso Rosarno è una pazzia (Intervista al sindaco di Riace Mimmo Lucano)

Mandiamoli a quel paese. Maroni ha ragione: è ora di fare rispettare le leggi. Troppa tolleranza. Tutti - a maggior ragione gli europei - si sforzano di respingere prima che gli immigrati la troppa tolleranza. Sene faccia una ragione il dolce Agazio. Diversamente, di questo passo, un giorno o l'altro si ritroverà un sindaco leghista anche a casa sua. A Reggio Calabria (Maurizio Belpietro, Libero)


Rosarno, Italia cinquemila immigrati, in gran parte irregolari, pagati (quando va bene) 18 20 euro al giorno per 12-14 ore di lavoro a raccogliere a grumi, ammucchiati in ex fabbriche senza acqua e senza luce, sfruttati da imprenditori e mafiosi, dimenticati da enti locali e istituzioni regionali e nazionali. Val di Non, Italia settemila immigrati, tutti regolari, pagati 6,90 euro all'ora per 8 ore di lavoro a raccogliere mele, con vitto e alloggio assicurato dai datori di lavoro, sotto il rigoroso controllo della provincia di Trento e dei Comuni della zona Dietro alla drammatica rivolta degli immigrati africani della Piana di Gioia Tauro, dietro la reazione degli abitanti, sfociata ieri sera m due feroci gambizzazioni, c'è ancora una volta questa Italia spaccata in due, in questo Paese che, come ha denim ciato più volte il capo dello Stato, viaggia a velocita diversissime (Tony Mira, L'Avvenire)

08 gennaio 2010

"A casa sti niri"...E a Rosarno si è aperto il vaso di Pandora


La rivolta degli immigrati in Calabria: miseria, violenza e disperazione

di Domenico Naso Farefuturoweb

Bando ai buonismi e alle cose non dette: in Italia esiste la schiavitù. E più precisamente a Rosarno, cittadina di quindicimila abitanti nella piana di Gioia Tauro. Questo piccolo lembo di Calabria ospita ben cinquemila extracomunitari, che ne fanno, secondo un rapporto di Medici senza frontiere, la terza zona in Italia per densità di stranieri in rapporto alla popolazione residente dopo Napoli e Foggia. Ventitré nazionalità diverse per un popolo di disperati che affolla le campagne. Raccolgono agrumi e pomodori, gli immigrati di Rosarno, svolgendo un lavoro massacrante che gli italiani non vogliono più fare. Poco male, se non fosse che le condizioni di lavoro e di vita di questa gente sono ben al di là del limite accettabile in un paese civile. Una giornata lavorativa dura molte ore, troppe. E il compenso non supera mai i 20 euro. E poi, finito il lavoro nei campi, nel buio della campagna calabrese migliaia di immigrati tornano a casa a piedi, affollando le strade come un esercito di zombie. E di casa, in realtà, nemmeno l’ombra, visto che vivono in capannoni industriali in disuso, senza materassi, acqua, luce e gas. Né servizi igienici.

Come se non bastasse, e in realtà basterebbe eccome, a volte passa una macchina piena di giovanotti calabresi che sparano sugli immigrati. E non è razzismo, o almeno non solo. Spesso è una vendetta dovuta al mancato pagamento dell’obolo richiesto dalla criminalità. Ed è quello che è successo ieri sera. Qualche colpo da una macchina in corsa, un paio di immigrati feriti e poi la rivolta.

Centinaia di extracomunitari si sono riversati per le strade di Rosarno, mettendo a ferro e fuoco la cittadina. Macchine rovesciate e danneggiate, una serata di paura e di violenza. Vetrine infrante e negozi saccheggiati, sembrava il Far West. Sbagliato, sbagliatissimo. Nessun motivo, nemmeno il più valido, giustifica l’uso della violenza. Tantomeno quando a farne le spese è la gente comune, i cittadini che con lo sfruttamento dei lavoratori africani di Rosarno c’entrano davvero poco.

Però il problema esiste, è enorme e forse una conclusione del genere era inevitabile. Anche perché quella di ieri sera non è stata la prima rivolta rosarnese. Ma senza dubbio è stata la più violenta. E allora, in una terra già reietta e maledetta, questi paria dalla pelle nera rappresentano la degenerazione di una società che non riesce a diventare integrata e multietnica. Ed è una coincidenza significativa anche la concomitanza tra la rivolta di Rosarno e la parata di ministri che a Reggio Calabria si impegnavano, giustamente, a investire di più nelle forze dell’ordine dopo la bomba al tribunale della città dello Stretto.

Ma la schiavitù degli africani di Rosarno è un problema che va affrontato con decisione. Perché in uno Stato civile, moderno e democratico, non si può tollerare che migliaia di persone vivano nell’indigenza più totale, senza il minimo di dignità che dovrebbe essere garantita non tanto da leggi, fondi pubblici o piani di integrazione, quanto dalla civiltà di ognuno di noi.

Chi conosce la realtà rosarnese, sa perfettamente che il vaso di Pandora scoperchiatosi ieri sera può ancora produrre molti effetti negativi. La disperazione e la miseria generano la violenza, ed è un assioma incontestabile confermato da millenni di storia dell’uomo. Niente, dicevamo, può giustificare una rivolta così cruenta. Niente può legittimare tutto questo. Ma se mentre parliamo di cittadinanza, integrazione, generazione Balotelli e via cantando, a Rosarno succede quello che è successo ieri, allora forse c’è ancora qualcosa che non va. È un problema culturale, prima di tutto. E, ça va sans dire, di criminalità organizzata.

Le prospettive future, però, non sembrano rassicuranti. Soprattutto se ci sarà ancora chi, come è successo ieri sera a Rosarno, inciterà le forze dell’ordine a sparare addosso ai rivoltosi. Più di un secolo dopo le cannonate milanesi di Bava Beccaris, in alcune zone del nostro paese non si è ancora capito che il disagio sociale e la violenza vanno sconfitti con buonsenso e giustizia, non repressi con altrettanta violenza.
Qualcuno si occupi dei servi della gleba di Rosarno, dunque, se vogliamo che il nostro paese sia davvero e definitivamente, un paese normale e civile.

La Calabria sprofonda




Nel breve volgere di poche ore viene fuori tutta la complessità della situazione socioantropologica in terra bruzia. E' una lady 'ndrangheta a posizionare l'ordigno dimostrativo alla Procura generale. L'attacco al cuore della magistratura fa rumore. Si mobilitano brandelli di società responsbile. La parlamentare del Pdl Angela Napoli denuncia con nomi e cognomi i trasformisti in predicato di fare il salto della quaglia alle prossime regionali. Dopo poche ore dall'annuncio dei provvedimenti eccezionali varati dal governo con il potenziamento degli organici e l'invio di 8 magistrati in città, a pochi chilometri dal capoluogo di provincia scoppia la rivolta dei migranti, prettamente impiegati nel settore agricolo e nella raccolta degli agrumi che vivono in condizioni di degrado e di sopraffazione e sono sottoposti ai soprusi e alla sopraffazione 'ndranghetista. Sono molti di più di 1500, quelli ufficialmente censiti. Le violenze della ribellione naturalmente sono ingiustificabili e figlie di del degrado e del ricatto in cui vivono gli immigrati. E' successa una rivolta, impensabile da queste parti. Si è ripetuto l'episodio di Castelvolturno, naturalmente amplificato ed esasperato da anni di angherie subita e retiterata.

Naturalmente la coabitazione sarà impossibile, dopo le scene di guerriglia urbana. Prevarrà la risposta muscolare del law and order, quella del sensazionalismo, oltre che della rappresaglia per ritorsione, della propaganda politica. Da mesi è attivo un cordone sanitario-sociale di volontari che agiscono dove lo Stato e gli Enti locali latitano. La guerra etnica è sbarcata in Calabria. Ci saranno sempre meno margini di dialogo e chiunque tenterà di fare ragionare sarà tacciato di fare il gioco dei migranti che devastano la città. E pensare che viene magnificata l'accoglienza dei calabresi. Tutta letteratura. Il presente è una terra straniera, aspra, inospitale.

07 gennaio 2010

LA BOMBA A REGGIO CALABRIA, LA CAMPAGNA ELETTORALE, IL PONTE, LA QUESTIONE MAFIOSA



di Danilo Chirico e Alessio Magro (daSud onlus)

La ‘ndrangheta è in difficoltà, sente addosso tutto il peso dell’attività della magistratura reggina. E reagisce. Non in maniera disordinata e avventata, come qualcuno vorrebbe far credere. Ma in maniera ragionata. Le cosche reggine alzano il livello dello scontro – a costo di pagarne le conseguenze in termini di esposizione mediatica – perché pensano di poter raggiungere dei risultati. Spetta a tutti, nessuno escluso, impedire che questo accada.
L’attentato di Reggio è certamente un attacco diretto alla magistratura reggina che sta colpendo in maniera sistematica gli uomini e i patrimoni delle cosche: catture di latitanti, sequestri e confische di beni (in tutta Italia), inchieste su droga e appalti. E probabilmente non è un caso che l’obiettivo sia la procura generale, uno dei centri nevralgici dell’intero sistema: dalle mani del procuratore generale Salvatore Di Landro e dei suoi sostituti passano i provvedimenti per le confische e arriveranno importantissimi processi (dall’omicidio Fortugno al porto di Gioia Tauro).
A tutti i magistrati reggini che lavorano con passione, serietà e impegno vanno pertanto la nostra solidarietà e il nostro sostegno. Non rituali.

Una sfida a tutti
La bomba alla Procura generale di Reggio Calabria è contro i magistrati, ma colpisce tutti. E’ una bomba contro la democrazia. Si sente, seppure ancora lontano, l’eco delle bombe di Cosa nostra che cercava (e a volte trovava) sponde nello Stato, qualcuno avverte l’eco delle trame eversive di questo Paese che hanno trovato in Calabria e nella ‘ndrangheta significativi punti di riferimento.
Soprattutto si percepisce un clima strano, pericoloso, al quale siamo già stati abituati (il pensiero corre alla bomba inesplosa al Comune di Reggio Calabria, nel 2004). Purtroppo. E forse è significativo che la bomba sia stata piazzata in un momento cruciale per i destini della Calabria: a poche settimane dalle elezioni regionali, a poche settimane dall’apertura dei cantieri del Ponte sullo Stretto.

Nel 2005.

Facciamo un passo indietro. Una campagna elettorale molto tesa quella di cinque anni fa, preceduta da un lungo anno di veleni ed ulteriori tensioni. Dall’agguato all’allora assessore del centrodestra Saverio Zavettieri, il clima diventa pesante. Una campagna elettorale lunghissima, tanto che l’attuale governatore Agazio Loiero annuncia la sua discesa in campo nella primavera del 2004. Tanti mesi di preparazione, forse troppi. Si respira aria da scontro all’ultimo sangue, si intuiscono movimenti sotterranei e attriti nell’universo della ‘ndrangheta.
È in quel clima che nasce nell’estate del 2005 l’idea di daSud, un laboratorio culturale, un punto di vista per recuperare la memoria della nostra Calabria e interpretare il presente. Volevamo capire cosa stesse succedendo, ci aspettavamo che accadesse qualcosa. Era nell’aria. L’omicidio di Franco Fortugno arriva prestissimo. Un terremoto. Un big bang. Quella tragedia ha prodotto un effetto positivo: di ‘ndrangheta oggi si parla. Solo dal 16 ottobre del 2005 la ‘ndrangheta è l’organizzazione criminale più potente d’Europa. Libri, reportage, inchieste, documentari, il livello di attenzione è certamente cresciuto.

Oggi.
Oggi, come nel 2005, si avvertono movimenti e tensioni tra le organizzazioni criminali, che hanno perso per strada boss e capobastone, che devono trovare la forza di riorganizzarsi, che sono in difficoltà sotto i colpi della magistratura. E che, nonostante ciò, continuano a determinare i processi economici, politici e sociali di interi pezzi di territorio. Come nel 2005 la situazione è esplosiva. Il consiglio regionale uscente è stato scosso dall’attentato di Locri, si è trovato a dovere affrontare una situazione di emergenza. Il consiglio regionale che verrà ha una responsabilità in più: dopo la bomba di Reggio Calabria - ultimo anello di una serie di segnali preoccupanti e inquietanti - nessuno può fingere di non vedere e non capire.
Eppure questa consapevolezza sembra di pochi: la questione ‘ndrangheta è ai margini del dibattito politico (persino di Fortugno quasi nessuno parla più) e purtroppo le vuote parole di circostanza di queste ore non fanno altro che confermare lo smarrimento generale della classe dirigente e politica.

Alcune questioni in campo.

Al governo, che pure con i ministri Maroni e Alfano ha manifestato preoccupazione per quello che è avvenuto in punta allo Stivale, vorremmo segnalare che non sono sufficienti le missioni reggine a sostegno di chi sequestra e confisca i beni mafiosi se poi si votano provvedimenti che ne facilitano il ritorno nelle mani dei boss. Così come vorremmo sapere perché si fanno orecchie da mercante di fronte alle reiterate richieste dei magistrati di più uomini e risorse per combattere la guerra contro la ‘ndrangheta.
Ai dirigenti politici di questa regione chiediamo invece che la futura assemblea calabrese venga eletta con un voto chiaro e consapevole. Sarebbe un perseverare diabolico il ricorso al clientelismo, che gioco forza da noi si traduce in voto di scambio con la ‘ndrangheta. Dopo l’omicidio Fortugno, dopo la bomba alla procura generale non si può più dire di non sapere. Ecco perché chiediamo alla politica e ai partiti di fare una scelta di trasparenza, di indicare i criteri di scelta dei candidati, di usare le forbici dove occorre, di non tapparsi il naso e quindi costringere gli elettori a farlo. Di pronunciare parole chiare e non equivoche e di essere conseguenziali nelle azioni. Non è antipolitica: il nuovo spesso è peggio del vecchio, quello che chiediamo è assunzione di responsabilità e non demagogia. Perché l’errore più grave è pensare di poter governare la Calabria senza la partecipazione costante della gente. Lo si è fatto e lo si potrebbe fare ancora, ma ad un prezzo altissimo: la politica non è più credibile. La partecipazione c’è se la politica è credibile, e la politica sarà credibile solo se, oggi più che mai, saprà indicare con trasparenza e responsabilità le liste dei candidati alle prossime regionali. Quelle del dopo Fortugno, del dopo attacco ai magistrati.

Il Ponte.

Un’altra riflessione. In questo periodo pre-elettorale sembra passare sottotraccia la questione mafiosa legata ai lavori per il Ponte sullo Stretto. Ma non era stata proprio l’annuncio dell’avvio dei lavori una delle ragioni a fare scoppiare la seconda guerra di mafia nel 1985?
Il nuovo avvio dei lavori è stato annunciato il 23 dicembre scorso, i cantieri potrebbero effettivamente partire in piena campagna elettorale. Ancora poco è stato detto sul modo in cui la politica calabrese intende impedire alla ‘ndrangheta di fare quello che ha fatto in quasi tutti gli appalti pubblici degli ultimi 40 anni, e cioè infiltrarsi e speculare, così come è stato per i lavori di ammodernamento dell’A3 e della statale 106.
Come? Un quesito che rivolgiamo ai partiti del centrodestra che il Ponte lo vogliono, e a quelli del centrosinistra che ufficialmente si oppongono – e che si avviano, peraltro in maniera goffa, a partire dalle primarie del 17 gennaio, a scegliere il candidato governatore – alle associazioni e alle grandi organizzazioni, alla magistratura, al mondo della cultura, agli addetti ai lavori, e non certo per ultimi ai cittadini.

Noi il Ponte non lo vogliamo.
Al quesito rispondiamo subito, per trasparenza e correttezza: sposiamo la scelta del movimento No Ponte. L’associazione daSud è scesa in piazza il 19 dicembre a Villa San Giovanni per tre motivi. Il Ponte non lo vogliamo perché non c’è spazio nella nostra idea di futuro per un’opera inutile e dannosa come il Ponte, perché pensiamo che sia la risposta sbagliata ai tantissimi giovani emigrati che fuggono dalla Calabria, quei tantissimi giovani che animano la nostra associazione un po’ ovunque nelle città della diaspora calabrese del Centro-Nord. E il Ponte non lo vogliamo perché crediamo che la società calabrese, e la politica che ne è lo specchio, non abbia sviluppato gli anticorpi necessari per evitare che, parafrasando una celebre frase, il Ponte unisca due cosche piuttosto che due coste. Qualcosa di simile è già successo al tempo del Quinto centro siderurgico: un megaimpianto calata dall’alto e di dubbia efficacia, appalti da record, poi il fallimento, le promesse disattese, i miliardi a finanziare la “cosa nuova” della ‘ndrangheta reggina e calabrese. Come abbiamo ricordato con un dossier speciale sull’archivio web Stopndrangheta.it (di cui siamo co-animatori), all’epoca venne in pompa magna Giulio Andreotti per la posa della prima pietra a Gioia Tauro (con tanto di caffè nell’hotel dei Piromalli). Quella prima pietra è poi tornata a Roma, con una manifestazione di protesta al seguito. Non vorremmo ripetere la scena, ed è purtroppo questa la nostra previsione. Non tocca a noi dare ricette e non lo facciamo, diciamo però che bisognerebbe trovare le risposte partendo dal basso, dai giovani che sono rimasti e da quelli che sono andati via ma continuano ad amare la nostra terra, dalle idee.

Ponte sullo Stretto, al centrodestra l’onere della prova.
Al centrodestra, che con il candidato governatore Giuseppe Scopelliti è pienamente in linea con la strategia delle grandi opere di Silvio Berlusconi, chiediamo di spiegare ai cittadini – ma nel dettaglio perché quei miliardi sono davvero tanti, una cosa mai vista – come si intenda vigilare, in una regione che da quanto emerge dalle inchieste giudiziarie appare assolutamente permeabile alle penetrazioni criminali. Scartata d’ufficio la lunardiana convivenza con la mafia, il Pdl ha l’onere della prova: dimostrare che è possibile evitare le infiltrazioni delle cosche. Un’assunzione di responsabilità da prendere prima del voto, con tutto quello che ne discende.

Ponte sullo Stretto, il centrosinistra e le primarie

Al centrosinistra le richieste sono molteplici. I partiti dell’area sono schierati ufficialmente contro la costruzione della megaopera. Ma alla manifestazione del 19 dicembre c’erano vuoti inspiegabili e incolmabili. Perché? Un quesito che è rivolto in primo luogo ai candidati che corrono per le primarie: è una scelta importante, e i cittadini devono scegliere conoscendo le posizioni dei partiti e dei candidati sulla questione del Ponte.
Un tema che riteniamo prioritario in questa campagna elettorale. Ecco perché chiediamo ai partiti del centrosinistra di essere conseguenti, coerenti, di esprimere con forza e costanza le proprie posizioni, di spiegare agli elettori in che modo intendano portare avanti l’opposizione al Ponte. Impegni precisi in campagna elettorale (a prescindere dalle alleanze future) e responsabilità dopo il voto.

Un appello generale.
Ma l’appello è generale: partiti, sindacati, associazionismo e terzo settore, movimento antimafia, società civile, singoli e comunità, vorremmo che la discussione sulla bomba a Reggio, le elezioni regionali e il Ponte fosse plurale e quanto mai varia. Vorremmo che ci fosse un dibattito su di noi, su una nuova identità meridionale. Molto c’è ancora da fare per esempio per recuperare la memoria della migliore Calabria che è stata, della meglio gioventù calabrese come amiamo definirla: una sfida che daSud percorre fino in fondo per colmare una lacuna storica della società calabrese, quella di dimenticare se stessa. Un percorso condiviso con diversi pezzi della realtà calabrese, come la Cgil, Libera, l’associazionismo, il mondo degli artisti e tanti ancora. Un percorso che altri portano avanti in parallelo, con grandi meriti.
Molto è cambiato, anche se gli effetti della nostra dimenticanza continuano a produrre enormi distorsioni. Capita ancora di leggere sulle cronache nazionali ricostruzioni miopi e fuorvianti della società calabrese, che non colgono quello che di buono c’è. E non aiutano. Come se l’anti-‘ndrangheta non fosse mai esistita prima dell’omicidio Fortugno. E invece la nostra terra ha una lunga tradizione di lotte antimafia, nella Locride e nella Piana di Gioia Tauro, tante e tante battaglie civili dal dopoguerra ad oggi. È da lì che bisogna ripartire. Una Calabria che ancora nessuno racconta. E non c’è più tempo.

questo articolo è stato ospitato oggi dal Quotidiano della Calabria in prima pagina

05 gennaio 2010

Il Fantamorto e l'ironia esorcizzata del Web



Per chi non si lascia impressionare dal tema escatologico della morte, è nato spontaneamente su Internet il Fantamorto. Il gioco è semplice. Dal 15 dicembre al 15 gennaio è possibile scommettere dal 15 dicembre al 15 gennaio: ogni giocata deve comprendere i nomi di dieci personaggi famosi delle quali si pronostica la morte entro la fine dell'anno. Vince chi alla fine dell'anno ha totalizzato più punti, azzeccando più morti celebri. Se non vi lasciate andare ai facili scongiuri.

04 gennaio 2010

A Reggio Calabria le cosche contro i magistrati



di Roberto Galullo "Sole 24ore"

Dal 30 novembre 2009 nella Procura generale di Reggio Calabria il vento è cambiato. Quel giorno si è insediato il nuovo procuratore generale, Salvatore di Landro, il primo reggino a ricoprire quel ruolo dopo oltre 20 anni. Il primo, soprattutto, che non sarà un capo di passaggio.
Quel giorno le cosche reggine – che da sempre puntano le proprie carte sul tavolo dei poteri politici e giudiziari – hanno capito che il vento non avrebbe più soffiato a favore, come spesso accadeva, ma sempre contro.
In contemporanea con l'arrivo di Di Landro, una serie di magistrati esperti e capaci ha arricchito gli uffici della Procura portando una linfa nuova e diversa rispetto al passato.
La prima cosca a capire che il vento è cambiato è stata quella di Teodoro Crea, di Rizziconi, detto Zio Paperone per l'enorme ricchezza accumulata nei decenni dalla sua famiglia. Una ricchezza accumulata senza avere paura di uccidere e seminare terrore. Neppure un mese fa la Dia di Reggio Calabria ha assestato a questa cosca l'ultimo colpo economico: tre milioni di euro sequestrati. Bazzecole ma comunque uno sgarro inaccettabile per chi tiene più al portafoglio che ai familiari.
E' presto per dire se dietro l'attentato di ieri notte presso gli uffici giudiziari (una bomba ad alto potenziale fatta esplodere intorno alle 5 della mattina dopo che le telecamere a circuito chiuso avevano ripreso due uomini in moto) ci sia la mano della famiglia Crea, le cui diramazioni nel Nord Italia sono sempre più articolate, ma con il passare delle ore prende quota la matrice ‘ndranghetista.
A spaventare le cosche reggine è un piccolo cambiamento del codice di procedura penale. Una modifica piccola all'articolo 599, passata inosservata agli occhi dei più ma non agli occhi delle raffinate menti della ‘ndrangheta e delle mafie. Dal 27 maggio 2008, infatti, non è più possibile il patteggiamento in appello che, prima, era possibile con il consenso della Procura generale.
Un riga cancellata con l'approvazione del pacchetto sicurezza che ai boss di mafia da più fastidio di un colpo di pistola, perché li priva del potere di trattare la pena e strappare, come nel passato, sostanziosi e incredibili sconti. E le conseguenze di quella piccola ma vitale (per la Giustizia) modifica cominciano a farsi vedere ora.
Se ne sono accorti subito i Crea, a esempio, l'8 giugno 2009, allorchè è stata confermata in appello a Reggio Calabria la condanna a 10 anni di reclusione per il reato di estorsione al superboss Zio Paperone e sono state confermate le condanne a 9 e 10 anni ai figli.
E se c'era una Procura in Italia in cui si assisteva a incredibili sconti di pena in appello, ebbene quella era la Procura di Reggio Calabria. Il 26 aprile 2001 sette magistrati – tra cui Nicola Gratteri che della lotta alla possibilità di patteggiare le pene in appello ha fatto una battaglia personale, ma anche Roberto Pennisi, Salvo Boemi, Alberto Cisterna e Vincenzo D'Onofrio – spedirono al Csm e alla Procura di Reggio Calabria una missiva dai toni durissimi in cui si stigmatizzava la riduzione di pena ai due boss della cosca Piromalli della Piana di Gioia Tauro. Giuseppe, che in primo grado aveva ottenuto una condanna a 21 anni se la vide ridotta a 11 mentre suo nipote Gioacchino da 11 anni scese a 4,5 anni.
Dopo quella lettera ce ne furono altre, così come in precedenza (correva il 1997) era stata la Procura di Palmi a criticare pesantemente l'atteggiamento della Procura generale di Reggio Calabria.
Il vento cominciò a cambiare ma le resistenze interne erano più forti delle spinte centrifughe di ortodossia processuale.
Si è dovuto attendere il 30 novembre 2009 per capire che in una città perennemente battuta dal vento come Reggio Calabria, il vento della Giustizia avrebbe soffiato nella stessa direzione: nessuno sconto di pena e, soprattutto, indirizzi univoci dal capo della Procura affinchè quello che i magistrati costruiscono di giorno, soprattutto quelli impegnati nella lotta alle ‘ndrine, non venga distrutto di notte dal lavoro oscuro di chi in Procura seguiva magari in precedenza altri venti e venticelli.