30 ottobre 2009

Le tragiche fatalità nel Belpaese



Il caso di Stefano Cucchi, ragazzo morto in circostanze, a dir poco misteriose, è semplicemente allucinante, lascia interdetti e non è degno di un paese civile.

Il trentatreenne romano, un corpo scheletrico, provato da una tossicodipendenza d, arrestato all'alba di venerdì 16 ottobre e restituito alla famiglia giovedì 22 morto, in possesso di 22 grammi di mariujana con il corpo tumefatto, pieno di fratture. La famiglia ha diffuso le foto, raccapriccianti nella loro truce crudeltà: faccia gonfia, mascella .

Processato per direttissima è già un'altra persona, si dichiara colpevole in quanto consumatore e il giudice lo spedisce all'ambulatorio. Il referto denota fratture alla schiena e problemi alle vertebre, danni permanenti e visibili. Ma viene portato nella casa circondariale di Regina Coeli. Dopo una serie di visite negate alla famiglia che viene rimbalzata con pretesti del tipo: "Niente visite, non sta bene, ma non è nulla di grave". Il corpo esanime viene restituito ai genitori che chiedono giustizia e di chiarire cosa sia avvenuto dentro un perimetro che coinvolge carabinieri, infermieri, secondini, medici. Uno Stato di diritto non può accettare pestaggi e trattamenti inumani a prescindere dal reato commesso. Molti elementi accomunanano la vicenda di Stefano Cucchi a quella di Federico Aldrovandi. Il corpo torturato parla da solo e non lo si voleva far vedere.

29 ottobre 2009

Scudi di carta


dal blog di Maurizio Crosetti "Rimbalzi"

Da un po’ di tempo vedo solo gente, più che altro donne, strofinarsi le mani con l’amuchina. Aprono la bottiglietta, versano sulle dita il liquido pastoso, spalmano, smanettano e si sentono al riparo. Da cosa, poi? Cerchiamo solo esorcismi, scudi di carta trasparente. Siamo minacciati da malattie terrificanti (altro che l’influenza), ci spariamo (o ci sparano) porcate nello stomaco e nei polmoni ogni cinque minuti, respiriamo atomi vaporizzati della nostra futura morte e intanto cerchiamo di tenere lontano uno starnuto con una bottiglietta piena di niente. Forse siamo quella bottiglietta.

La Camorra giustizia in diretta

28 ottobre 2009

Il no dei magistrati alle intimidazioni: "Rispondiamo solo alla legge. E alla Costituzione"

Le assemblee di protesta e dibattito convocate domani dall’Associazione nazionale magistrati in tutta Italia, nascono dalla profonda e sincera preoccupazione per i continui tentativi di delegittimare e intimidire sia la giurisdizione nel suo complesso, sia i singoli magistrati in relazione a processi specifici o in ragione delle sentenze pronunciate. Perfino il rapporto tra istituzioni e organi di garanzia è stato messo in discussione.
Mentre la tensione e l’attenzione si concentrano su una impropria contrapposizione, di cui la magistratura è vittima, nulla di serio, concreto e duraturo viene proposto per restituire efficienza all’organizzazione giudiziaria e per ricondurre il processo alla ragionevole durata.
A questo appuntamento la magistratura arriva compatta: sia nelle componenti associative, sia con la spontanea e massiccia adesione agli appelli in favore del collega Mesiano. Ciò testimonia il sentimento di solidarietà a un collega attaccato violentemente solo per aver fatto il proprio dovere, e che ha poi tenuto un comportamento esemplare; ma testimonia soprattutto il rifiuto verso qualsiasi forma di intimidazione.
Forse certe strategie non nascono a tavolino. Ma neppure nascono dal nulla: dal “cappello in mano” del magistrato che si vuole parte, al calzino stravagante del giudice che si vorrebbe dimezzato più che terzo, alla stucchevole reiterazione di epiteti nei confronti di magistrati, ogni occasione sembra buona per denigrare l’ordine giudiziario e descrivere i palazzi di giustizia come sezioni di partito, frequentate da magistrati militanti. Nessun ufficio giudiziario merita queste in-fondate e ridicole definizioni, tanto meno quello di Milano. Da Milano, e dall’intero Paese, la magistratura ribadisce che intende continuare a vestire solo la toga e a rispondere solo alla legge. In primis alla Costituzione.

Associazione nazionale magistrati

25 ottobre 2009

La transpornopolitica nella Repubblica delle banane


In attesa che si delinino meglio i contorni della vicenda Marrazzo è possibile fare una serie di considerazioni generali sul clima da basso impero che si vive in questo paese. Marcello Veneziani scrive su Il Giornale non senza una punta di machismo virile: "È permesso dire che preferisco essere governato da un donnaiolo incontinente piuttosto che da un abituale frequentatore di trans, in festini di coca e sesso? E che preferisco chi denuncia i ricattatori e li attacca in pubblico a chi li asseconda, li paga di nascosto e poi nega tutto in pubblico?".

Va detto che pur con i distinguo delle singole fattispecie Piero Marrazzo non è colpevole di frequentare trans, come Silvio Berlusconi non è colpevole di frequentare escort. Purtroppo la vita privata di un uomo politico oltre che nei comportamenti si sostanzia nell'immagine che proietta nell'agone politico ed è inscindibile da quella pubblica.

La vita sessuale non può essere sindacata con categorie moralisteggianti, sebbene le condotte sessuali cui ci stiamo abituando negli ultimi giorni siano sempre mediate dal versamento di corrispettivi. Ed è lecito quindi interrogarsi del rapporto tra sessualilità e potere. Certo se si utilizzano soldi pubblici per coprire i ricatti e se le prebende sessuali (rivolte a minorenni in alcuni casi) sconfinano nella contropartita di ciontraccambie elettorali e ministeriali, è chiaro che i costi della deregulation libidica vengono scaricati sul voyeurismo della collettività.

Scrive Ida Dominijanni sul Manifesto: "Se la politica, ripetutamente, inciampa nel sesso, in un sesso siffatto, qualcosa s'è rotto nel segreto legame che unisce qualità delle relazioni interpersonali e qualità del legame sociale, passioni personali e passioni collettive, desiderio individuale e felicità pubblica. C'è un brutto nodo che stringe questione maschile, questione sessuale e crisi della politica.

Per quanto riguarda le quattro «mele marce» dell'Arma dei Carabinieri hanno provato a rivendere ai giornali il filmato hard con Marrazzo smutandato, tenendo sotto scacco il Governatore di una regione e cercando approcci con i giornali con estorsioni sotto forma di scoop sul modello Corona. Non sono che l'espressione di una degenerazione torbida del nostro vivere democratico.

24 ottobre 2009

...di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente

La borghesia mafiosa


di Tonino Perna, Il Manifesto 23 ottobre

I calabresi, come i sardi, sono un popolo di montagna circondato dal Mediterraneo. Dalle coste sono fuggiti, a partire dal IX° secolo d.C., in seguito alle incursioni saracene.
E hanno vissuto abbarbicati sulle montagne per mille anni, con l'eccezione di pochi piccoli centri rimasti sul mare: Scilla, Reggio, Pizzo, Crotone. Per secoli i calabresi hanno visto il mare come un pericolo, il vettore su cui passava l'invasore, una distesa acqua e sale di cui non coglievano il senso (anche la letteratura calabrese fino al Novecento ignora il mare). Poi, improvvisamente, la svolta.
Dalla metà del secolo scorso, i calabresi hanno abbandonato in massa colline e montagne e hanno occupato gli 800 e passa chilometri di coste. L'hanno fatto spesso in modo selvaggio, come testimoniato dalla estetica delle costruzioni, in modo illegale - la gran parte delle costruzioni hanno usufruito dei vari condoni edilizi - e senza quella cura e quel senso di appartenenza, quel genius loci che lega gli abitanti alla storia di un territorio. Ma, le nuove generazioni sono in gran parte nate sul mare ed hanno imparato ad amarlo, a viverlo come parte costitutiva della loro identità.
Il film di Mimmo Calopresti «Preferisco il rumore del mare» può essere assunto come il punto di svolta, un messaggio emblematico che segna il salto culturale compiuto dalle nuove generazioni.

In questi ultimi venti anni sono sorti decine e decine di circoli e centri di vela, canottaggio, wind surf, immersioni e foto subacque, pesca sportiva. Sono decine di migliaia i giovani calabresi emigrati, per ragioni di studio e lavoro, che tornano ogni anno per questo mare e queste spiagge che adorano, che non cambierebbero con nessun altro posto.

Molti di loro saranno ad Amantea domani, parteciperanno con rabbia e convinzione a quella che sarà sicuramente una grande manifestazione che ha una valenza storica: si tratta della prima rivolta di massa contro la 'ndrangheta. Mai sono state scritte, dal cittadino calabrese medio, parole di disprezzo così dure e cariche di rabbia contro i signori della 'ndrangheta e della politica che hanno prodotto il più grande disastro ambientale nella storia calabrese.

In pochi giorni, sono più di trentamila le firme raccolte dal Quotidiano della Calabria per protestare contro l'inerzia del governo e chiedere la bonifica integrale dei fondali marini a Cetraro, Vibo e Capo Bruzzano, e la ricerca delle altre navi affondate. sindaci della costa dell'Alto Tirreno calabrese, di qualunque colore politico, sono andati a Roma a protestare e saranno centinaia i sindaci che da tutta la Calabria verranno ad Amantea. Niente aveva prodotto tanto sdegno, rabbia, ribellione. Non i 700 morti ammazzati nella guerra di 'ndrangheta dal 1985 al '92, non i centinaia di sequestri di persona che colpirono anche molti professionisti locali , non le decine di scandali che coinvolgono una parte significativa della classe politica calabrese.

Nemmeno l'efferato omicidio Fortugno, malgrado il clamore nazionale e la nascita di un movimento di giovani «ora ammazzateci tutti» che ebbe un forte lancio mediatico, riuscì a coinvolgere tutta la Calabria e, soprattutto, tanti giovani.

Chi ha trasportato e fatto affondare decine di navi cariche di rifiuti tossici e radiotattivi, ha prodotto un disastro ecologico che rischia di fare concorrenza a Chernobil per le conseguenze sulle catene alimentari.
La 'ndrangheta ci ha messo la faccia e ne è uscita a pezzi, ma gli 'ndranghetisti hanno fatto solo i manovali di questa impresa criminale. I mandanti si trovano nelle sedi delle multinazionali, tra i manager delle centrali termonucleari, i dirigenti dell'Enea di Rotondella, pezzi importanti dello Stato, a partire dai servizi segreti.
Un intreccio di interessi che vanno al di là dell'immaginabile e che fa emergere sulla scena della storia una nuova classe dirigente: la borghesia mafiosa. Di fatto è una classe sociale già arrivata al potere in molti paesi - Colombia, Messico, Russia... - e non c'è da stupirsi se in questo bel quadretto sia già finito il nostro paese.

D'altra parte, studiosi di lungo corso come Umberto Santino o il procuratore generale della Repubblica Piero Grasso da anni parlano di «borghesia mafiosa» e non più di mafia, camorra e 'ndrangheta. Per la prima volta si va a uno scontro aperto con questa «nuova borghesia» che farà di tutto per insabbiare le indagini, impedire che i fusti vengano ripescati, che altre navi affondate vengano individuate. E' una lotta impari.

Ma questa volta, statene certi, il popolo calabrese non si farà ricacciare sulle montagne. Qui non si tratta di saraceni selvaggi e violenti, di OttoMani che razziavano e fuggivano, qui si tratta di una SolaMano, una Mano Nera che ha messo in discussione il diritto alla vita nel mare e fuori. Per questo sarà una battaglia epocale.
Non una questione calabrese, ma una questione nazionale e internazionale perché il mare non conosce frontiere.

21 ottobre 2009

L'accento meridionale, il sindaco e la vigilessa


Con un titolo simile questo post potrebbe essere la parafrasi di un film della commedia sexy all'italiana. Di risibile però è solo la pochezza culturale delle questioni sollevate. L'accento è un indice di provenienza geografica, quanto più è marcato, tanto più segnala la collocazione geografica. Dove sono abituati a usare la doppia denominazione Bergamo-Bèrghem, Varese-Varés, non si può tollerare un accento di derivazione meridionale. Avviene a Tradate, piccolo comune in provincia di Varese. Una vigilessa viene rimproverata dal sindaco Stefano Candiani perché risponde al telefono con l'accento meridionale. Sembra una vicenda degli anni cinquanta, eppure si tratta di un episodio realmente accaduto.

Era stato lui a telefonare in Comune, "ma non avevo capito cosa era stato detto al telefono". Candiani aveva poi chiesto formalmente al comandante dei vigili urbani, Claudio Zuanon, "maggiore attenzione da parte di chi risponde al telefono". La vigilessa ha chiesto al comandante di essere esentata dal servizio di risposta alle chiamate. La Lega è uno dei partiti più attivi in tema di promozione dei dialetti, a Como un call center risponde nella lingua madre, ma non tollera che il verbo padano istituito per infusione divina ad Arnaldo da Brescia venga sporcato da dizioni ereticamente provenienti da latitudini a sud. Toglietele pure una regione, ma non l'orgoglioso dialetto lumbard. Ma va da via el cul.

20 ottobre 2009

Mao Tremonti e le posizioni rovesciate



Forse ha ragione Vauro Senesi, l'uscita di Giulio "Mao" Tremonti (già noto per le sue retromarcie sulla globalizzazione) sul posto fisso come valore può spiazzare solo gli sprovveduti o qeulli che credono che la coerenza sia propria dei politici e di chi governa la cosa pubblica. L'implementazione di politiche di natura ultraliberista negli anni è stata apportata a ondate quale panacea per movimentare il mercato del lavoro. I focus e i sondaggi parlano d'altro. Peccato che dal '94 in poi al governo abbia operato politiche diametralmente opposte, come sostiene Brunetta che è fautore della liberalizzazione del limite limite massimo, per sommatoria dei diversi contratti a termine con mansioni equivalenti, di 36 mesi) E sul dopo Berlusconi si sta giocando una partita aperta, anche e soprattutto a colpi di demagogia.

Il paradosso è che Pietro Ichino, insigne giuslavorista eletto sotto le insegne del Pd, critica la sortita del titolare di via XX settembre : "Se intende dire che la sicurezza del lavoro e del reddito è un bene della vita, dice una ovvietà. Se ha inteso dire che quel modello divide in due la forza-lavoro tra protetti, scaricando su questi ultimi tutto il peso della flessibilità di cui il sistema ha bisogno". Un rovesciamento della realtà effetuale insomma, cui però spetta l'onere della prova. Poi dicono perché il centrosinistra non ha identità e perde le elezioni.

17 ottobre 2009

La lettera delle Brigate comuniste combattenti




Ecco il testo della lettera di minacce a Berlusconi, Bossi e Fini inviata al «Riformista» da sedicenti Brigate Rivoluzionarie per il Comunismo Combattente, Sezioni Giustizia e Rivoluzione. La missiva è giudicata «il delirio di un folle» da Fini e considerata inattendibile in ambienti investigativi. Solidarietà ai tre destinatari è stata espressa da tutto il mondo politico.
Vi si legge: «La Corte Costituzionale ha fatto la sua scelta e siccome il presidente del Consiglio non vuole dimettersi, noi diciamo basta. Questa volte però siamo intervenuti non per fare esplodere bombe qua e là colpendo innocenti o uomini costretti con una pistola alla tempia a fare quello che hanno fatto ma una vera e propria rivoluzione armata come a Cuba e come i nostri partigiani dopo l’8 settembre del ‘43». E ancora: «Diciamo al premier di preoccuparsi perché non saremo i soliti quattro gatti ma un esercito nazionale di resistenza e liberazione che rovescerà questo governo arrivato all’estremo dell’illegalità a costo della nostra stessa vita e fino alla vittoria finale». Una lotta che ha come obiettivo anche «lo zeramento (sic) della disuccupazione».
A Napolitano è dedicato un passaggio dalla sintassi incerta: «Non abbiamo nulla da dirle se non quello di fare lo stesso appello a colui che dirige la stanza dei bottoni per evitare stragi di civili inermi, e non certo da parte nostra».
Quanto al «Dottor Bertolaso», «vogliamo rassicurarlo che da parte nostra non saranno toccate nei combattimenti le zone dell’Aquila e di Messina e tutte quelle dove c’è allarme ambientale».
C’è anche un appello al Presidente Obama: «Non intervenite questa volta perché ce la caveremo da soli. Per quanto riguarda le basi Nato, se i suoi soldati le lasceranno liberamente non sarà fatto loro alcun male ma sarà dato loro un lasciapassare per la Svizzera».
Al Papa «non chiediamo appelli né altro ma solo di preparare le valigie perché il Vaticano per noi è come Guantanamo: la breccia di Porta Pia potrebbe essere “riaperta”».
Infine l’ultimatum (già scaduto) ai tre: «Dimettetevi, lasciate la politica e Berlusconi si consegni alla giustizia comune perché in quella comunista la sentenza sarà inevitabile».

16 ottobre 2009

Italian soldiers, brava gente


Malgrado le smentite della prima ora. Un comandante talebano e due alti funzionari afghani hanno confermato ieri che le forze italiane pagato il pizzo per prevenire attacchi contro le loro truppe in Afganistan. Tutto il mondo è paese. La pratica poi non è certo nuova in Italia.

Ishmayel Mohammed, comandante talebano, ha detto che un accordo è stato raggiunto lo scorso anno, in modo che le forze italiane nella zona di Sarobi, a est di Kabul, non vengano attaccate da ribelli e miliziani locali. Pare che dei soldi siano stati versati anche a Herat.

L'analisi del potere vuole che chi investa o sta per installarsi in un territorio, prima di compiere i primi passi compia una rassicurante ispezione. Al di là dei facili sociologismi, ci si deve assicurare della presenza dei rapporti di forza, più o meno occulte che operano in un determinato contesto territoriale. Pare che solo gli inglesi e gli americani non abbiano pagato per essere esentati da imboscate e garantirsi le protezioni del caso.

I duri e puri come il ministro della Difesa Ignazio La Russa non accetteranno pubblicamente mai queste regole tacite. Gli eroi di guerra, pardon i missionari di pace, così celebrati da certa retorica nazionalista non possono cedere moralmente al ricorso a questi paracaduti di protezione. Del resto, nel caso di agguati o carneficine in serie si invoca costantemente il ritiro delle forze di interposizione di pace o dei soldati. Le bare e i funerali di Stato sono momenti di commozione che richiamano ai sentimenti filiali e alla sacralità della famiglia non solo italica (anche negli Usa i feretri non vengono mai filmati e mostrati all'opinione pubblica), quindi per evitare bagni di sangue, meglio far ricorrere a mezzi sporchi. Pecunia non olet in bello.

14 ottobre 2009

Addio alle Edizioni Paolini



E' struggente abituarsi all'idea che il disturbatore per eccellenza Gabriele Paolini non comparirà più a inquinare le dirette dei vari Tg. A spingere alla funesta decisione Il renitente profeta del Condom, comunicata al giudice che lo stava processando per interruzione di servizio pubblico la pubblicazione di una tesi di laurea dedicata elle sue incursioni, intitolata: "L'audience performativa: il caso di Gabriele Paolini" (avesse detto la Fenomenologia di Mike Bongiorno). Poteva dirlo prima, magari avrebbe trovato subito qualche studente di Scienze della Comunicazione pronto ad immolarsi per interrompere le sue apparizioni in tv.

Paolini ha così parlato dei suoi contatti diretti con le redazioni delle maggiori televisioni; di avere ricevuto da Rai e da Mediaset 130 mila euro in nero "perché io non pago le tasse" per le sue "prestazioni". Certo che, dopo aver sbeffeggiato Berlusconi, ricevuto calci da Paolo Frajese, battibeccato con Emilio Fede, essere stato accusato di molestie da una giornalista del Tg1 sarà difficile abituarsi al bello della diretta senza le sue intrusioni.

13 ottobre 2009

Saramago e la "cosa Berlusconi"


"Nel paese della mafia e della camorra che importanza potrà mai avere che il primo ministro sia un delinquente? In un paese in cui la giustizia non ha mai goduto di buona salute, che cosa cambia se il primo ministro fa approvare leggi a misura dei suoi interessi, tutelandosi contro qualsiasi tentativo di punizione dei suoi eccessi e abusi di autorità".

Per queste ed altre frasi di tenore analogo, il premio Nobel per la letteratura del 1998 José Saramago, non ha potuto pubblicare il libro Il Quaderno con Einaudi, in quanto la casa dello Struzzo, nella fase di gestazione, non ha digerito i pesanti giudizi dello scrittore, contenuti nel blog dell'autore che poi avrebbero preso forma letteraria cartacea. Il saggio ha visto la luce con Bollati Boringhieri.

Saramago non usa certo il fioretto, come si conviene a un blogger tagliente, paragona Berlusconi a Catilina. E nelle presentazioni del libro appena pubblicato in Italia, lo scrittore del Vangelo secondo Gesù è ancora più corrosivo contro la classe intellettuale italiana e lo strapotere della "cosa Berlusconi": "Una società che non è impegnata, non può che produrre un'intelighentia poco impegnata. L'intellettuale italiano non si schiererà mai apertamente contro Berlusconi, per paura di ritorsioni. Berlusconi lotterà per mantenere il potere, nulla potrà la decisione della Corte Costituzionale. La deliberazione va corroborata, non con una manifestazione, ma con uno sciopero generale. Per destituire il primo ministro servirerebbe un provvedimento sanitario, una derattizazione. Ecco tra le varie cose a cui ho paragonato Berlusconi, c'è il ratto. Bisognerebbe scacciarlo via alle prossime elezioni come si fa con un topo che si insinua in casa". Saramago critica radicalmente il premier, senza rinunciare mai all'ironia nel suo pamphelet politico: "Perché non farlo papa, trasformerebbe il Vaticano in un bordello. In Italia questa - continua nei suoi pensieri - vergogna deve finire, non c'è castigo, non c'è impunità. La signorina Patrizia può passare da un letto all'altro nella residenza del primo ministro, ma non può parlare in televisione. E' incomprensibile, agli occhi di uno straniero, come l'Italia si sia potuta cacciare in una situazione del genere".

Nonostante gli scandali e le critiche, Berlusconi è ancora molto popolare tra gli italiani, sia perché le critiche non raggiungono in profondità la società civile italiana, sia perché l'alternativa politica non appare assolutamente credibile e decisa. E' tempo di rompere l'incantesimo o i poteri sciamanici della manipolazione prevarranno vita natural durante e la soluzione biologica diverrà l'antidoto contro il male assoluto? Ci vorrebbe uno scrittore alla Saramago per immaginare il seguito di questa storia italiana.

12 ottobre 2009

Mimmo Lucano, ovvero una Calabria che resiste



Il Sole24ore ha dedicato una pagina intera a "Mimmo il curdo", alias Domenico Lucano, sindaco eletto a Riace da una lista civica, proveniente dal mondo dell'associazionismo. Mimmo Lucano, oltre a essere il primo cittadino della primavera del piccolo comune ionico e un interprete dell'antimafia sociale è il volto dell'altra Calabria, quella dell'accoglienza. Lucano ha dato vita a un piano di ripopolamento del paese, ha fatto cedere alla disponibilità del comune gli edifici delle famiglie nobili del paesino al prezzo simbolico di 3 euro al mese. Il suo programma alle elezioni si può esemplificare in una semplice frase: trasformiamo i rifugiati politici e i migranti in cittadini di Riace. I primi 300 curdi irakeni e del Turkistan sbucarono dal mare una mattina del primo luglio del 1998. Da allora Riace è diventata un laboratorio, il modello di un'amministrazione inclusiva che si schiera in favore dell'accoglienza, un posto in cui si fa la raccolta differenziata con gli asinelli, ci si occupa della valorizzazione del territorio e della promozione delle tipicità, organizzandosi in cooperative multietniche.

In fondo il Lucano pensiero si può tradurre in una frase: "Nei migranti riconosco l'antropologia di noi calabresi: dal mare arrivano i miei antenati, i fondatori della Magna Grecia, dal mare arrivano i bronzi e dal mare arrivano i migranti. Mio fratello è emigrato in America, un altro a Santena, nella cintura di Torino, dove ci sono più riacesi che a Riace. Noi e i migranti siamo la stessa identica cosa. Cacciarli sarebbe un gesto inutilmente crudele, un po' come cacciare noi stessi".

11 ottobre 2009

La 'ndrangheta a Cento Passi dal Duomo



L’argomento criminalità organizzata, con la sua iconografia anacronistica veicolata dalle fiction televisive, è sparito dalle cronache milanesi. La metropoli meneghina rappresenta l’Eldorado è il narcotraffico pert le 'ndrine calabresi. La diffusione della cocaina è tale che i traders guadagnano montagne di soldi, che contano a peso. A Milano ci sono 120mila consumatori di cocaina, 25mila abituali. Ogni giorno si consumano circa 10mila dosi di polvere bianca, come si riscontra dalle analisi effettuate nei depuratori. Un chilo di cocaina pura all’80% viene acquistata a circa 15mila euro e rivenduta a 35mila euro. Gli ‘ndranghetisti intrattengono rapporti privilegiati con i cartelli colombiani, ma anche con i narcos messicani. I proventi rientrano nei circuiti legali dell’economia attraverso il riciclaggio, facilitato da una rete di colletti sporchi. Se l’attenzione si concentra sul microcrimine, sui writers e sul consumo delle bottiglie di birra, la lotta ai clan è una battaglia persa in partenza.

A Milano comanda la 'ndrangheta è un libro di due giornalisti coraggiosi, Davide Carlucci e Giuseppe Caruso, edito da Ponte delle Grazie. Il volume racconta la pervasività delle mafie nel cuore della Lombardia, grazie anche a decenni di penetrazione silenziosa, accompagnata dalla sottovalutazione e dall'ignavia e l'indolenza del tessuto sano della città. Milano è stata eletta a principale snodo dei traffici illeciti che assumono sempre dimensioni finanziarie più globali. Con buona pace di chi si ostina a dire la Mafia non esiste e non è nemmeno caricaturale come Cetto Laqualunque, il personaggio ideato da Antonio Albanese.

09 ottobre 2009

Venditti e...idiozie



Prima di tutto i fatti. Durante un concerto in Sicilia del 2008 Antonello Venditti, si è abbandonato a alcune considerazioni benevole nei confronti dell'Isola, mettendo in cattiva luce, per contraltare, la Calabria: "Ma perché Dio ha fatto la Calabria? Io spero che si faccia il ponte, almeno la Calabria esisterà. Qualcuno deve fare qualcosa per la Calabria". Venditti ha rincarato la dose: "Ho conosciuto un ragazzo calabrese che prendeva il traghetto per la Sicilia, dove trovava una ragione, la cultura. In Calabria non c’è veramente niente, ma niente che sia niente". Ora, trattare Antonello Venditti, con le sue diaspore dal veltronismo a Sinistra e libertà e i suoi vocalizzi stantii (che nascondono solo una vena creativa sbiadita), alla stregua di un intellettuale o di un meridionalista è poco costruttivo. Nell'aprile 2008, il nostro predicatore sul palco di Reggio Calabria magnificava il lungomare più bello d'Italia. A parte il paraculismo d'essai e la delusione che può generare un voltafaccia. Meglio valutare la polemica come merita, cioè considerandole le offese gratuite, fango inspiegabile e inutile, indice della visione xenofoba che si manifesta dietro le parole.



Si sono sprecate le analisi e l'indignazione ha trovato un canale di sbocco grazie alla diffusione virale di un video caricato su Youtube che inchioda inevitabilmente Antonello Venditti (al di là di qualunque smentita peggiorativa). Parole in libertà che stonano come le sue stecche e la sua ugola appannata da un inutile ripetersi, come se avesse cantato una lunga canzone da vent'anni. Lo scoop del sito di informazione Strill.it dà adito a qualche semplice considerazione. Non per gettarla sempre in politica, ma la classe dirigente nel complesso, che insorge per le parole del cantautore romano, corredata dalla parte dei calabresi onesti, più che rispondere al vaniloquio impazzito di un artista sul viale del tramonto dovrebbe elaborare politiche capaci di pianificare una rinascita, una svolta nella percezione dell'opinione pubblica, che non si fa con le campagne di Oliviero Toscani. Cercare di risolvere senza insabbiare la vicenda delle navi dei veleni potrebbe essere un punto di partenza. Del resto il pregiudizio antimeridionale, sedimentatosi in decenni di leghismo inveterato e di esportazione dell'egemonia criminale, non si estinguono con facilità. Venditti ha espresso in maniera sbagliata un sentiment diffuso a livello planetario. Non si può contrapporre, a parte l'inevitabile livore del momento, soltanto il sole, il mare e le belle giornate per rispondere all'accusa di mancanza di cultura nella terra dei Bruzi. Il rischio è di diventare patetici, queruli e autoreferenziali. Questo non significa che si debba scadere ai livelli del cantautore romano in evidente declino artistico. Alla fine il Venditti migliore è quello che è restituito dall'imitazione di Corrado Guzzanti. Se si usasse, però,la stessa energia e orgoglio identitario per difendere diritti negati, combattere le piaghe del territorio, in Calabria forse non si vivrebbe in condizioni di emergenza democratica.

08 ottobre 2009

Dietrologia o scenari plausibili?



estratto dal blog di Paolo Guzzanti

La vera domanda è: non ci sarà per caso una manina o una manona dietro preciso e micidiale che ha ridotto SB un colabrodo?). Bocciato il lodo Alfano, SB è ora nudo davanti ai giudici. Scenari? Il più traumatico: reitererà sotto forma di decreto legge lo stesso lodo e allora Napolitano gli dirà che non lo può firmare. Allora SB lo farà votare lo stesso, Napolitano rifiuterà e SB lo presenterà ancora una volta costringendo Napolitano (la seconda volta è obbligatorio) a firmare. A quel punto Napolitano firmerà, ma contestualmente scioglierà le Camere e si andrò ad elezioni anticipate accorpate alle Regionali, che molto probabilmente Berlusconi vincerà, ma tallonato dai giudici che potrebbero anche chiederne l’arresto avviando la procedura parlamentare.

Secondo scenario (quello consigliato oggi dal PD): Berlusconi fa buon viso a cattivo gioco e accetta di essere imputato e presidente: un giorno va al processo Mills e un giorno va al Consiglio dei ministri. Il Processo Mills d’altra parte deve ripartire da capo e si trascinerà per qualche anno. Nel frattempo SB può far ripartire il lodo Alfano sotto forma di legge costituzionale, con i suoi lunghi tempi di doppia lettura Camera e Senato e aspettare con pazienza che venga approvato. A quel punto la Corte Costituzionale dovrebbe accettarlo perché oggi lo ha respinto sostenendo, a ragione, che una legge costituzionale non può essere sostituita da una legge ordinaria. Il PD spinge in questa dirzione perché non è pronto ad andare al voto. Ragione per SB per tentare la carta delle anticipate.

Terzo scenario. Lo sfracello. Bossi e i pasdaran del presidente decidono di lanciare una serie di manifestazioni oceaniche a Roma, Milano, Napoli. Tensione alle stelle, possibilità di incidenti. Se ci scappa il morto la tensione può diventare qualcosa di peggio.

COMPLOTTO: come sapete non ho mai creduto al complotto. Comincio a ricredermi nel senso che vedo una trama molto ben cadenzata: la vicenda papi, la D’Addario, l’uno-due del Lodo Mondadori e del Lodo Alfano. Se è così, si può pensare che il partito americano abbia cadenzato con cura un’agenda composta di un lavoro al corpo progressivo e significativo, fino alle mazzate finali oltre le quali si intravede lo sfacelo. Se esiste una manina, o una manona, noi non lo sappiamo. Ma sappiamo che se c’è dietro un arto guidato da una intelligenza, tutte le contromosse sono state calcolate, insieme alle contro-contromosse.

L’Italia entra in una fase di grandissimo turbamento con conseguenze che a prima vista mi sembrano difficilmente calcolare.

Commenta Berlusconi: Viva gli italiani, viva Berlusconi. Fantastico. Il punto è che il governo delegittima la Corte Costituzionale definendola un organo politico in mano alla sinistra, ma in compenso Berlusconi si dichiara pronto ad affrontare i giudici e a non andare alle elezioni anticipate. Bossi non ripete che porterà il popolo in piazza e sembra che non abbia capito un cazzo di nulla. Per lui le escort sono manovrate dalla mafia. Aggiungo io: viva l’Italia, viva la democrazia, viva la libertà, viva i liberali italiani di tutti i partiti.

07 ottobre 2009

Lodo Alfano incostituzionale


Il verdetto della Consulta è arrivato: il Lodo Alfano è incostituzionale. I 15 giudici della Corte si sono riaggiornati ed hanno comunicato la bocciatura dell'immunità per le quattro più alte cariche dello Stato. Questi i procedimenti in cui è ancora implicato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Caso Mills
Procedimento All Iberian per il reato di corruzione in atti giudiziari. Secondo l'accusa, Berlusconi avrebbe «comprato» le testimonianze dell'avvocato inglese David Mills

Diritti Tv
Il premier è imputato di frode fiscale perché, secondo l'accusa, avrebbe creato fondi neri gestendo i diritti tv di Mediaset. Prescritti invece il falso in bilancio e l'appropriazione indebita.

Mediatrade
Parte dall'inchiesta sui diritti tv e questa volta l'accusa sostiene che Berlusconi insieme ad un socio occulto, l'egiziano Frank Agrama, si sarebbe appropriato di fondi della società.


Compravendita
La procura aveva chiesto l'archiviazione, ma il Gip in virtù del Lodo Alfano ha deciso di sospendere il giudizio. Si tratterebbe di una presunta offerta di vantaggi a senatori per far cadere il governo Prodi.

No more Veltroni...again

06 ottobre 2009

Legalizzare la mafia sara la regola del duemila sarà il carisma di mastolindo a organizzare le fila



De Gregori profetico

Chernobyl a bassa intenistà



" Basta essere furbi , aspettare delle giornate di mare giusto, e chi vuoi che se ne accorga? "E il mare?" "Ma sai quanto ce ne fottiamo del mare?
Pensa ai soldi che con quelli, il mare andiamo a trovarcelo da un'altra parte..."
Intercettazione di un dialogo tra due boss
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Quando un anno fa Angelo Surace, ex sindaco di Cosoleto, un paesino della provincia di Reggio Calabria, parlò di scorie radioattive in Aspromonte e di aumento spropositato di morti per cancro, mancò poco che non venisse internato nelle cliniche manicomiali, sovvertendo qualunque principio antecedente la legge Basaglia. Non c'era nessun incidenza tra i decessi per tumore, era un allarmismo gratuito. Le rivelazioni del pentito della 'ndrangheta Francesco Fonti hanno dimostrato che qualunque finzione fantascientifica può essere nulla di fronte alle speculazionio senza scrupoli della criminalità organizzata.

Ora a metà strada tra Cetraro (dov'è stato trovato il relitto del Cunsky) e Amantea (luogo dello spiaggiamento della jolly Russo) su 12.590 pazienti, la percentuale di ammalati di tumori tra i 30 e i 24 anni è quattro volte la media nazionale, secondo quanto rivela una ricerca medica, corredata da elementi statistici.

L'Italia ha scelto di tornare al nucleare. Nella localizzazione dei siti e per i sistemi di stoccaggio delle scorie e lo sversamento dei veleni tossici, piuttosto che bonificare e denuclearizzare l'esistente, si potrebbe tenere in debito conto l'opzione dei fondali della Calabria o dei cunicoli aspromontani per smaltire i rifiuti. Soluzione economica, non c'è che dire. In fondo lo Stato potrebbe prendere spunto dal pragmatismo dei boss della 'ndrangheta.

05 ottobre 2009

La parata e il paese in bilico. Rassegna online sulla tragedia di Messina


La tragedia di Messina, con i suoi morti e gli appelli inascoltati sui pericoli derivanti da un territorio devastato avrebbe potuto accadere, pressoché uguale, in qualsiasi altra zona d’Italia, al nord come al sud (il 70% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico). (Il Manifesto)

Papi corre subito a Messina contento come una Pasqua per un'altra occasione per mettersi in mostra: “Non vi preoccupate, avevamo previsto l’evento e lanciato l’allarme (?!?) ma come all’Aquila costruiremo tante belle case per voi. Inoltre potrete non pagare mutui e tasse”. Gli sfollati: “Vogliamo essere trattati come l’Abruzzo!”. Intanto i morti sono saliti a 25 e i dispersi a 40, ma la Sicilia è senza controllo: mafia con imprese e comuni conniventi (oltre agli stessi inquilini) hanno devastato il territorio. Come del resto quasi tutto il sud. (Il Mucchio)

Berlusconi ha preferito entrare da una porta secondaria. Il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli invece si è beccato le urla dei manifestanti. "Assassini, Assassini", gli hanno gridato. "Aspettavano i morti per discutere del ponte". "Una situazione disastrosa, anche se poteva andare molto peggio", ha detto oggi il ministro intervenendo a La telefonata su Canale 5. Matteoli ha però assicurato che il Ponte sullo Stretto si farà. Anzi, ha sottolineato, se fossero già inziate le opere collaterali alla realizzazione del ponte vero e proprio, con le "migliorie al territorio previste" forse "il disastro sarebbe stato inferiore". (Repubblica)

In caso di allerta massima deve essere avviata una procedura standard, invece qualcosa non ha funziona­to. E dunque non sarà difficile per chi indaga stabilire l’identità di chi doveva far scattare il pia­no, visto che i ruoli sono indivi­duati in una direttiva firma­ta nel febbraio del 2004 dal presidente del Consiglio che al­l’epoca era Silvio Ber­lusconi. (Corriere)

02 ottobre 2009

Cronaca di una tragedia annunciata



Venne Sarno e saggi, esperti e amministratori furono concordi: "Mai più morti per le alluvioni". Da allora colate di fango, detriti, case crollate come se fossero di cartapesta. Lo scenario di Giampilieri e Scaletta Zanclea, flagellate dal maltempo nel messinese è tanto apocalittico quanto simile a quello che si è presentato ai soccorritori in tante altre tragedie. Gli edifici crollati sono 20 e ci sono 415 sfollati. Purtroppo il bilancio dei morti è destinato a salire. Dopo il diluvio, c'è sempre prontezza nel proclamare lo stato di emergenza e nel piangere i morti. Gli strumenti per di pianificazione che danno la cifra di una situazione quasi in diretta esistono, non si interviene mai in maniera preventiva. I comuni non hanno nemmeno i fondi per fare la pulizia di canali, fiumi e tombini. Gli allarmi degli esperti sono ignorati per questioni di vincolo di bilancio.

Le costruzioni edilizie, che hanno beneficiato di condoni e sanatorie, nonché di una scarso rispetto delle norme edilizie e dell'urbanizzazione. C'è una certezza, passata l'onda emotiva e la perturbazione e l'inevitabile ondata di retorica e dietrologia, ci si dimenticherà della tragedia. Solo l'opzione sismica e di dissesto idrogeologico fanno pensare alla pericolosità e alla scelleratezza nel costruire gli edifici, rilasciare le licenze e non effettuare i lavori a regola d'arte. Nella filiera del malaffare palazzinaro e delle spianate di calcestruzzo vanno ripratite tra insipienza amministrativa e incuria. Ma partirà il consueto gioco tutto italiano allo scaricabarile. E' invece giunto il momento di innalzare i piloni di cemento della Grande Opera. Il Ponte diventa improcrastinabile. Cosa importa delle vittime e degli alluvionati?

3 ottobre, manifestazione nazionale per la libertà di stampa

01 ottobre 2009

L'economia e i colletti sporchi, come la mafia affonda il Sud



di Roberto Galullo/Nicoletta Cottone (Sole 24 ore.it)

Criminalità e affarismo sono la principale zavorra per lo sviluppo meridionale: deprimono l'etica e la legalità collettiva, distorcono i mercati creando monopoli di fatto, bloccano l'iniziative di chi agisce nella legalità. Fondamentale, dunque, sottrarre ai mafiosi i patrimoni illegalmente accumulati, rinnovare la classe dirigente locale e sensibilizzare la popolazione al rispetto delle regole. Giunge a queste conclusioni il rapporto del Censis "Il condizionamento delle mafie sull'economia, la società e le istituzioni del Mezzogiorno", realizzato su incarico della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia.
Al Sud un comune su tre (per la precisione il 37,9%) è permeato dalla presenza mafiosa. Su 1.068 Comuni, infatti, 610 hanno un clan o almeno un bene confiscato o, ancora, sono stati sciolti negli ultimi tre anni. Il record della provincia di Agrigento non deve sorprendere. Qui Cosa Nostra ha una lunga tradizione. "Ancora oggi – si legge nell'ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, consegnata a dicembre 2008 al Parlamento - l'articolazione agrigentina di "Cosa Nostra" è da ritenere un pilastro per l'intera organizzazione regionale".

Tra le regioni è la Sicilia ad avere la maggior quota di comuni coinvolti (195, pari al 50% del totale); seguita dalla Puglia, dove 97 comuni, pari al 37,6% del totale registra la presenza di organizzazioni criminali, dalla Campania (203 comuni, pari al 36,8%) e dalla Calabria (115 comuni, pari al 28,1%).