31 luglio 2009

Tintarella con il morto



















La scena è macabra. Un cadavere, disteso sull'arenile e ricoperto da un lenzuolo bianco, così giunge la morte circondata dall'indifferenza. Tutti intenti a prendere la tintarella, corpi discinti, nessun momento di raccoglimento. Teatro della scena Mappatella Beach, Napoli. Ma in passato scene simili erano capitate in altri angoli d'Italia. L'ordinarietà dei bagnanti che si tuffano non può essere scalfita.

Invece di soccorrerlo, hanno hanno pilatescamente chiamato il 118, perché ci pensassero i medici del Pronto Soccorso. "Neanche i sassi che circondano la Mappatella Beach sembrano capaci di tanta indifferenza di fronte a un uomo morto", scrive Paolo di Stefano sul Corriere.

Una salma accantonata e schermata da un ombrellone per non turbare il quieto vivere. Qualcuno almeno sarebbe potuto andare a posare per una foto ricordo, magari per mandarla a Italia, con tanto di sketch.

30 luglio 2009

Il ritorno della dottrina di Marx






















Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro di Karl Marx. Da qualche tempo parlare di marxismo è tornato meno demodé del solito. I libri del filosofo di Treviri (in special modo il Capitale) vanno a ruba in Germania. Nuove ristampe hanno rimpolpato gli scaffali dell'Islanda.

Plusvalore, rendita, lotta di classe, rapporti di produzione sono diventati di nuovo attuali. A due decenni dalla caduta del Muro di Berlino, il padre fondatore del comunismo, Karl Marx, è tornato vivo e lotta insieme a noi, si glorificano, i militanti e altermondialisti. Ringalluzziti per la riesumazione del loro nume tutelare, si cercano risposte alla crisi dei mercati finanziari e il pensiero marxista sembra idoneo a fornirne.

"Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse". (Manifesto del partito comunista, 1848)

Certo se anche questa profezia dovesse avverarsi, altro che ripresa.

29 luglio 2009

Il cinema dell'impegno di Mimmo Calopresti. Intervista





Milano al Sud continua a essere vista come la città dove ci sono i soldi, dove si lavora. Magari con contratti scassati, però almeno quelli ci sono. Chi arriva adesso, rispetto alla generazione di mio padre, ha il vantaggio d’aver studiato. Ma è meno forte. Gli immigrati degli anni Sessanta erano forti perché partecipavano a un avvenimento collettivo che ha cambiato l’Italia. Emigrare dal Sud ora è un’esperienza vissuta individualmente.
(Mimmo Calopresti, Intervista al Manifesto 17/07/2009)

Pochi giorni fa, sulle pagine del Manifesto aveva commentato amaramente i dati diramati dallo Svimez, che ritagliano un quadro desolante per il Mezzogiorno d'Italia. Dalle valigie di cartone ai trolley di nuova generazione, la storia non fa salti. Preferisco il rumore del mare, secondo lungometraggio del regista calabrese Mimmo Calopresti, aveva analizzato il fenomeno dei flussi migratori e dell'incomunicabilità tra le due Italie, oggi, mentre si ritorna a parlare di questione meridionale, la pellicola (oltre a essere uno spot dei luoghi di origine delle riprese) rimane di grande attualità e mantiene inalterato il messaggio profondo dell'appartenenza individuale di ogni singolo destino. Al di là del fatalismo, spesso nichilista che circonda le esistenze dei Sud del mondo. In vacanza promozionale in Calabria, Calopresti si concede una chiacchierata distensiva a tutto tondo.

Fino a qualche tempo fa si accusava il cinema italiano di non voler fare i conti col presente e con la realtà contemporanea. Film come Gomorra, Il Divo, prima ancora Il Caimano, documentari, come la Fabbrica dei tedeschi denotano quanto sia claustrofobica questa visione. C’è una ripresa del cinema impegnato, oppure è un filone mai interrotto?
Il cinema cerca di entrare nel dibattito del paese in qualche maniera. È una fase particolare in cui il cinema cerca di stare nella realtà, di capire i chiaroscuri. Non è più il momento in cui il cinema è trascinante come nel neorealismo, però è pur vero, che vengono fuori delle cose che coinvolgono tutti e fanno discutere. L’immaginario, la trasformazione della realtà, l’approfondimento del reale fanno parte della potenza del mezzo cinematografico. In fondo, il cinema sovrasta, racconta la storia delle persone. Prende le persone e cerca di metterle al centro del mondo.

Il regista che va in fabbrica è un esempio di cinema di responsabilità. C’è, in questo, un recupero rispetto alla mission originaria quando il cinema raccontava i luoghi della produzione?
I parametri della qualità della vita non possono essere legati alla legge dei “rulli”, esclusivamente al Pil. Prima di girare La Fabbrica dei Tedeschi ho vedevo in Tv quello che stava succedendo a Torino e, senza interrogarmi sul da farsi, mi sono catapultato, mi sono lasciato travolgere da questa storia. Ho visto il movimento l’energia, le proteste. È inammissibile che in una multinazionale si muoia per inadempienze. La vita va vista nella sua complessità. Il livello di emotività, di coinvolgimento sentimentale vale meno forse di quello che si produce? Alla fine un film è l’espressione della soggettività di un dato momento. Si recupera l’idea dell’artista che mette al primo posto la parte emozionale. Il problema nei film è quello che tu sei. Dopo di che devi essere in grado di farli i film. Alla fine continui a raccontarti. Un tramonto è quello che sei in quel momento lì. In un’inquadratura si inserisce quello che si avverte in un determinato istante, filtrato attraverso la propria soggettività. Improvvisamente ho visto un posto in cui c’è la bellezza della vita e la possibilità di raccontarla, qui e ora.

Rispetto ai primi lavori, è cambiato lo stile narrativo dei film di Calopresti. È un’esigenza narrativa di sfrondare di liberarsi di alcuni fardelli, o una scelta deliberata?
In genere il regista ha un rapporto contraddittorio, sono entrato in un momento della mia vita in cui qualche volta mi piace andare verso gli altri. In maniera diretta, senza costruzioni mentali, senza sovrastrutture, voglio dirigermi e guardare il mondo in maniera asciutta. La realtà è quello che ti si presenta davanti, senza filtri. Sono molto curioso dalle dinamiche delle vite degli altri.

In una delle molteplici chiavi di lettura della scena finale del film Preferisco il rumore del mare, nulla pare aver senso tranne che il libro della sapienza che Rosario va a recuperare. Solo allora stagliandosi dalla società (nella quale è possibile adombrare le plaghe disperate del Mezzogiorno) acquisisce una sua ragion d’essere. Ritieni davvero che la cultura possa essere l’ancora di salvataggio del Sud?
In questi posti di deserto culturale, in qualche maniera desolati, in cui sembra che Cristo si è fermato ad Eboli ci sono persone che vogliono fare altre vite, andare in cerca di cose diverse, pur essendo numericamente in minoranza. Il loro modo di essere cattura la mia attenzione. Noi saremo sempre una minoranza diceva Nanni Moretti in un film. Io scelgo le persone che mi piacciono, hanno un modo di essere di rapportarsi al mondo che secondo me è più gratificante. Senza pensare che questo debba essere dominante. Esiste e deve esistere quanto un altro mondo che è soddisfacente per altre persone. Tra questi mondi non deve per forza esserci una contaminazione, ma un confronto.

Le decurtazioni ministeriali al mondo della cultura sono un’aberrazione. Si taglia un bene che viene ritenuto accessorio. Che conseguenze potranno avere su larga scala?
I tagli alla cultura sono molto gravi. Noi i film continueremo a farli, non è questo il problema. Si lancia però il segnale che quell’ambito lì non serve, è trascurabile. Invece la tensione, la voglia di fare di esistere tiene unito un mondo più grande, fatto di tante persone che hanno l’esigenza di esprimersi. Non si può pensare che la gente comune non abbia bisogno di vedere un film, di andare a una rappresentazione teatrale, di soffermarsi a guardare una cosa che si crea. L’impoverimento dell’industria culturale rende impossibile tutto questo. Questa logica rivela che un settore è improduttivo, ma è importante. La Marcegaglia dice: “Dovete darci soldi veri” e glieli si concede, idem per le banche. Si interviene in un settore, di cui la gente ha davvero bisogno. Poi si può dibattere su come la cultura abbia disatteso le aspettative. In una serata televisiva che fa un buco quanto spreco c’è? In una serie che fa flop. Attuando lo stesso ragionamento quanto si dovrebbe tagliare nell’ambito televisivo?

L’intellettuale Fulvio Abate ha criticato la tempistica dei corti che avete girato nell’Abruzzo (Calopresti ha girato Perfect Day, n.d.r.) , sostenendo che nei luoghi del sisma dovessero essere presenti ruspe e volontari, non registi o intellettuali. È ingeneroso?
L’iniziativa dei corti sull’Abruzzo è stata una bella pensata . È un’idea con cui si è provato a realizzare delle cose diverse. Ha funzionato, anche se non è cinema nel vero senso della parola. I film bisogna andare a vederli al cinema. Bisognava documentare quello che era successo. E più passa il tempo, più quelle testimonianze assumeranno valore, anche a futura memoria, perché è difficile e complicato e ricostruire. Così tra un anno si potrà vedere se avevamo ragione o torto. Stiamo nel mondo e andare nei luoghi è un modo pasoliniano di intervenire.



24 luglio 2009

23 luglio 2009

Pietro Ciucci, il signore del Ponte























"Più che unire due coste, il Ponte di Messina unirà due cosche" (Nichi Vendola)

Ci sono uomini per tutte le stagioni e uomini della Provvidenza, Guido Bertolaso. Se Berlusconi non è un santo, Pietro Ciucci rischia di incarnare il novello Padre Pio, bilocazioni annesse.

Ma il dono dell'ubiquità potrebbe non bastare, se venissero convocati consigli di amministrazione in simultanea.

Ciucci assomma l'incarico di presidente-direttore dell'Anas, di commissario straordinario per il Ponte sullo Stretto di Messina e di amministratore delegato della società Stretto di Messina. Praticamente è uno e trino. Intanto il movimento che si è schierato contro la realizzazione della della Grande Opera, a suo tempo bramata da Licio Gelli, riprenderà le mobilitazioni a manifestare l'8 agosto, risvegliandosi dal torpore, sperando che non sia troppo tardi.

22 luglio 2009

Di questa vita menzognera


Non importa che una cosa sia vera, che cazzo, lo diventerà col tempo (Gabriel Garcia Marquez)

I dettagli intimi degli audio dell'Espresso tra Silvio Berlusconi e Patrizia D'Addario aggiungono poco a livello giornalistico. Che la sodomizzazione, in senso metaforico e non, fosse una pratica dall'invasività estremamente dolorosa gli italiani avrebbero potuto immaginarlo, quindi la conversazione telefonica tra Patrizia D'Addario e il premier possiede un valore giornalistico relativo ("Che dolore, all'inizio mi hai fatto un dolore pazzesco (PDA)"; "Ma dai! Non è vero!" (SB), "Ti giuro, un dolore pazzesco all'inizio").

Anche il fatto che Berlusconi potesse copulare senza le dovute precauzioni è un affare che non innescherà le reazioni allarmate delle alte sfere vaticane. Specie dopo che il premier ha scelto di abdicare all'etichetta paradisiaca di Santo, di Unto del Signore in odore di venerazione celestiale. Dove risiede l'importanza dei nastri?

"L'interesse pubblico della vicenda (chi frequenta il premier? come si accede alla sua residenza? paga o fa pagare le donne che incontra? è ricattabile da chi conosce i dettagli della sua vita privata?) è evidente; e solo in un paese mitridatizzato si può discutere se lo sia", scrive Antonio Polito sul Riformista, che poi bacchetta il parossistico ricorso al gossip che scruta pruriginosamente dal buco della serratura, violando i principi più basilari della privacy.

Il fatto è che la tendenza a spiegare mentendo, banalizzando, minimizzando e lanciando discredito, fa parte delle tecniche di dissimulazione ed edulcorazione della realtà del berlusconismo, affinate con l'uso sapiente e sproporzionato dei media. E il metodo Goebbels si dimostra sempre più efficace in questi casi. Il sistema politico anglosassone non avrebbe tollerato un simile scempio. In Italia i sussuri del gossip con implicazioni ed effetti destabilizzanti, vengono depurati preventivamente e oscurati dai Tg. Anche se appare chiaro che, malgrado lo spiegamento di megafoni e ventilatori, il premier, incalzato, non è più in grado di dettare l'agenda politica. Da un pezzo. E la popolarità di Berlusconi all'estero scivola.

21 luglio 2009

Carlo Giuliani, ragazzo. Otto anni dopo

....quando vedo un ragazzo con una maglietta ribelle, e magari solo ironica, come ad esempio all’Aquila, durante un altro G8, quelli che organizzano forum, cucinano per tutti, vivono in comune, studiano le mosse del governo e le contromosse, allora so che l’ingiustizia che ha mandato assolti gli assassini non ha cancellato le ragioni di Carlo. (Pierluigi Sullo, Carta)


20 luglio 2009

Papelli e confratelli d'Italia

Riina è l’artefice della strategia stragista di Cosa nostra, sotto il suo comando la mafia ha ucciso, ha seminato terrore, ha soggiogato imprenditori e commercianti. Quando afferma che non vuole essere più il parafulmine di tutti, dice esplicitamente che sta pagando per colpe e responsabilità non sue. Siccome da indagini e processi si sono percepite altre corresponsabilità, che però non sono mai state messe a fuoco, solo lui, depositario di queste verità, ci può indicare, spiegare, dire di chi è stato il parafulmine......Se vi fu trattativa, certamente non fu solo interesse di Cosa nostra a chiuderla. Tutti, da subito, sin dal 1992, hanno avuto la sensazione che vi fossero altri mandanti esterni a Cosa nostra, dietro lo stragismo di quel biennio ‘92-‘94. (Antonino Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo)

C'è crisi dappertutto anche in quel gran pezzo dell'Emilia

A guardare le cifre, il mito del produttivismo emiliano è stato spazzato via dai venti nefasti della crisi globale. Marchi storici, primato del welfare cittadino, 32mila euro di reddito pro capite, crescita del PIL oltre la media. Questo era il quadro d'insieme di una regione che è stata additata per decenni come prototipo socialmente accettabile di istanze territoriali che ben si conciliavano rispetto alla crecita economica.

Ebbene i 329 chilometri del versante emiliano stanno pagando dazio alla recessione come nessun altra plaga padana (in particolare i distretti del Nord Est, tutelati dalla Vergine del fatturato)- Il modello della Terza Italia è falcidiato dalla globalizzazione.

La cassa integrazione è la norma anche tra le grandi aziende, ma quello che attualmente fa paura è che gli imprenditori emiliani sono sprovvisti di liquidità, anche laddove c'è un'inversione di tendenza negli ordinativi. Il ricorso agli ammortizzatori è sempre più massicccio.

E se gli effetti della recessione si faranno notare oltre ottobre (la cosiddetta coda della crisi), con il mantenimento del 5% di decremento del Pil, non saranno i giornali a seminare pessimismo, né gli imprenditori a fare i menagrami. Lo sfaldamento di un modello si presenterà nella sua effettiva gravità.

A scricchiolare è un modello che si è consolidato come vincente anche a livello di integrazione, dove il Pd tiene a fatica le roccaforti, ma non gode più di maggioranze bulgare, sebbene la Lega abbia fatto breccia nelle insicurezze di una ceti medi riflessivi, rassicurati dall'ideologia del protezionismo.

E' la stampa bellezza

Il giornalista deve fare domande, formulare ipotesi, apparire carogna, non cullarsi sulle prime evidenze empiriche, accettandole come verità indiscusse.

Senza scomodare categorie politiche, rompere le scatole. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti (in questo frangente, astioso e verosimile rispetto al suo celebre alter ego, ideato da Corrado Guzzanti: sembra la caricatura di se stesso) che si lamenta rispetto alle domande tendenziose di una "testa di cazzo" denota l'insofferenza della politica ad essere sottoposta a controlli.

Gli inglesi li chiamano "Watcher (of) the dog", in Italia il mestiere dell'operatore dell'informazione si sta tramutando in un estensore di comunicati.

In un paese normale, i ministri rispondono alle domande dei giornalisti. Rifiutarsi di farlo è ammissione di colpa, e menare il can per l'aia è tipicamente italiano, oltre che disdicevole. E così è se vi pare.




16 luglio 2009

L'inarrestabile emorragia



I grandi viaggiatori non sono andati di là dai confini del proprio mondo; e hanno percorso i sentieri della propria anima e quelli del bene e del male, della moralità e della redenzione. Cristo è sceso nell'inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell'eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli. (Carlo Levi)

Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. E, lo scorso anno, le regioni meridionali hanno perso oltre 122mila residenti a favore di quelle del Centro-Nord, a fronte di un rientro di circa 60mila persone. E, oltre l'87% delle partenze, ha origine in tre regioni: Campania, Puglia, Sicilia. L'emorragia più forte è in Campania (-25mila), seguita dalla Puglia (-12,2mila) e dalla Sicilia (-11,6 mila). Non fa più notizia nello sviluppo insostenibile di questo paese. Se ci sono due poli, quello con capacità di attrazione riesce a fagocitare risorse e capitale umano, quindi lo spostamento verso il Settentrione.

La tragedia è il drenaggio di risorse che avrebbero potuto dare un contributo al tessuto connettivo economico-sociale del Meridione. E questo accresce le aspettative pessimistiche rispetto al riscatto sociale delle plaghe dei paralleli. Una storia millenaria, che si perptuerà.

15 luglio 2009

Milano-Calabria. Via Valtellina "espropriata" diventa via Rocco Gatto


Un'azione di esproprio toponomastico finalizzata a promuovere la Lunga Marcia della Memoria delle vittime di mafia, e a ricordare i caduti di una guerra inammissibile in un paese civile, intitolando loro piazze, strade, vie.

E così via Valtellina a Milano è diventata via Rocco Gatto, mugnaio, vittima della violenza della 'ndrangheta.

Il 12 marzo 1977 muore Rocco Gatto a Gioiosa Ionica. È un mugnaio iscritto al Pci, un uomo onesto, che non vuole pagare la mazzetta e non ha paura. Lo uccidono a colpi di lupara, poco dopo una sua testimonianza per fatti che non lo riguardavano direttamente. Dall’apertura del mulino di via Gramsci, Rocco subisce richieste estorsive e minacce da parte di Luigi Ursini e Mario Simonetta, il capoclan e il gregario, imputati per la vicenda del mugnaio e condannati in via definitiva nell’88 per estorsione aggravata. Rocco Gatto non è solo a lottare contro la ‘ndrangheta. A Gioiosa s’incrociano storie uniche. Gioiosa è il paese dello sciopero cittadino contro la mafia, nel ‘75, il primo in Italia. È anche il primo Comune a costituirsi parte civile in un processo contro le cosche. Protagonista di questi primati dell’antimafia è Francesco Modafferi, in quegli anni battagliero sindaco del Pci. A Gioiosa c’è anche don Natale Bianchi, un prete del dissenso, in rotta con il clero ufficiale dopo lo scontro con il prete in odore di mafia, don Giovanni Stilo. Dalla Locride passa anche un carabiniere di ferro, il capitano Gennaro Niglio. Che usa i vecchi metodi, spesso fa a pistolettate coi latitanti, ma la ‘ndrangheta la combatte davvero. A scatenare la furia degli Ursini e l’uccisione del reggente della cosca Vincenzo, il 6 novembre del ‘76, in uno scontro a fuoco coi carabinieri. Il giorno successivo, il clan decide di bloccare il frequentatissimo mercato domenicale e chiude tutte le strade di accesso al paese, poi impongono il coprifuoco ai commercianti. Tutto chiuso. Rocco vede e decide di fare i nomi al capitano Niglio, e di confermarli davanti al giudice. Passano poche settimane. Rocco guida il suo furgone Fiat, è ancora mattino presto. Porta i sacchi della farina da consegnare. Due colpi o tre, in successione. Fucili con pallettoni caricati a lupara. Il camion prosegue la sua marcia per qualche metro. Qualcuno soccorre Rocco, lo aiutano a scende, lo distendono, poi più nulla. Quella che segue è una storia di battaglie civili e umane, delle grandi manifestazioni di piazza, dell’ostinazione del padre di Rocco, Pasquale Gatto, e della medaglia d’oro consegnata. È la storia del murales dipinto nella piazza del mercato da Giovanni Rubino e Corrado Armocida. È il Quarto Stato dell’anti-’ndrangheta, che sarà restaurato trent’anni dopo.

14 luglio 2009

Giornalisti dalla schiena dritta

Il giornalismo è un mestiere che amo, quindi anche i sacrifici mi sembrano tollerabili. (Milena Gabanelli)


13 luglio 2009

L'Opa ostile del Grillo (s)parlante al Pd


















Grillo non fa altro che aizzare la piazza su temi che fanno o facevano parte del programma dell'Unione.
(Marco Travaglio)

In un partito libero e realmente a vocazione maggioritaria, le obiezioni tecniche a Grillo (le sue critiche irriverenti e reiterate al Pd, la mancata iscrizione, il non possesso della tessera, la sua ostentazione dell' antipolitica) possono essere un elemento dialettico, non già un ostacolo insormontabile.

La fragilità di un gruppo dirigente, dove le tessere si moltiplicano esponenzialmente in vista dell'assemblea congressuale e non più di qualche giorno prima D'Alema aveva usato argomentazioni feroci per bollare il reggente Su-Dario Franceschini con il segretario che si era scagliato contro il vecchiume che si autoricicla, si misura nella reazione compatta contro Grillo. In altre parole è il sentore di una lobby che teme la scalata del parvenu.

Un conto è l'antiberlusconismo, altro è esautorare l'intero gruppo dirigente. E' un pericolo che va disinnescato. La scelta deve avvenire dentro le segrete stanze, seguendo gli stanchi rituali della politica-politicienne tradizionale.

Deve essere questo istinto autoconservativo dei vertici del Partito Democratico a ispirare i ragionamenti seguenti all'annuncio choc di Beppe Grillo.

Il Pd si è riscoperto partito-apparato, altro che forza politica liquida e riformista. E' bastata la minaccia-ciclone del comico genovese a mettere la nomencaltura post-democomunuista in allarme. "Il 25 ottobre ci saranno le primarie del PDmenoelle. Voterà ogni potenziale elettore. Chi otterrà più voti potrà diventare il successore di gente del calibro di Franceschini, Fassino e Veltroni. Io mi candiderò. Niente paura. Grillo non passerà.

"Il partito non è un taxi", "Non ammetteremo chi ha sempre criticato il partito". Queste le parole dei dirigenti. E avanti con il vuoto pneumatico e con la pantomima congressuale.






12 luglio 2009

La tregua, il Caimano e il ritorno del Commissario Davanzoni


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Su Repubblica di oggi il principe della giudiziaria Giuseppe D'Avanzo rivela altri retroscena piccanti sulle "torte" (i festini orgiastici del sultanato) di Palazzo Grazioli, cui avrebbero partecipato almeno una ventina di escort, oltre alla celebrerrima Patrizia D'Addario, come da richiesta dell'utilizzatore finale Silvio Berlusconi per allietare la satiriasi addiction dei suoi dopo cena.

Il corsivo si conclude con queste constatazioni: "Berlusconi ha una volta di più, in questa storia, ingannato il Paese: non ignora che le "ragazze" che affollano il "lettone di Putin" siano prostitute e prostitute chiede, per le sue "torte", ai prosseneti che siedono al suo tavolo (non esita a "smanacciarle" subito sotto gli occhi della sua scorta). Il comportamento privato del capo del governo è in fragorosa contraddizione con i valori (Dio, famiglia) che proclama in pubblico e con le leggi che propone al Parlamento (severe punizioni per chi favorisce la prostituzione e per chi fa sesso con le prostitute). E' questo lo stato delle cose che Berlusconi dovrebbe finalmente affrontare in pubblico, quali che siano gli esiti per la sua reputazione e per il suo destino politico".

In realtà la questione non va affrontata con facili moralismi, tacciando di morbosità i giornali che sollevano interrogativi di ordine politico. Il berlusconismo ha condizionato il nostro modo di interpretare gli eventi. Poco tempo addietro giustamente Nanni Moretti, interpellato dal giornale di largo Fochetti che "la soglia del nostro stupore e della nostra reazione nei confronti di una catastrofe etica, istituzionale, umana, "culturale", si è abbassata sempre di più, sempre di più... fino a scomparire sottoterra. Fino a considerare normale un orrendo spettacolo, che in un paese democratico tutto è tranne che normale....questo schifo, di cui fa parte anche il conformismo e il servilismo di tanti giornalisti, è successo davvero. Da 15 anni 60 milioni di italiani sono ostaggio degli interessi di una sola persona. Un'umiliazione impensabile fino a poco tempo fa. Da parte della sinistra c'è stata un'incapacità totale di reagire e affermare la propria identità. Si è fatta aggredire e sbeffeggiare. È arretrata in continuazione, ha adottato luoghi comuni come quello che non bisogna demonizzare Berlusconi per non spaventare i moderati. Su certe spaventose posizioni e leggi volute dalla Lega da sempre hanno avuto parole più nette alcuni settori della Chiesa. Il pragmatismo della sinistra la porta addirittura a corteggiare e a ipotizzare alleanze con la Lega. E invece no, sono portatori di disvalori, punto e basta. In questi anni la sinistra ha avuto paura di tutto. È stata prigioniera di personalismi senza personalità. Senza dimenticare lo slogan penoso della destra e di molti giornalisti secondo il quale il conflitto di interessi non interessa agli italiani, dato che la maggioranza ha votato Berlusconi. C'è un piccolo dettaglio: interessa alla democrazia. Spero solo che, dopo gli ultimi avvenimenti, almeno un risultato sia ormai acquisito: il tramonto dell'ipotesi che un tipo che si considera al di sopra della legge possa aspirare al Quirinale. Certo, avrei preferito che altre dieci, venti, trenta domande fossero state poste sui suoi rapporti con la mafia e con Dell'Utri, su Previti che ha corrotto la magistratura per conto di Berlusconi, sull'avvocato Mills, sull'incerta provenienza dei soldi negli anni 70. Molti anni fa si è preso tre reti televisive. Poi è stata fatta una legge apposta per lui. Da quel momento avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. E così è stato". Bentornato girotondino Nanni, Piazza Navona sembra ieri.

10 luglio 2009

Il lavoro (virtuale) ai tempi del web 2.0

Oh San Precario, Protettore di noi, precari della terra. Dacci oggi la maternità pagata Proteggi i dipendenti delle catene commerciali, gli angeli dei call center, le partite Iva e i collaboratori appesi ad un filo. Dona a loro ferie e contributi pensionistici, reddito e servizi gratuiti e salvali dai lugubri licenziamenti San Precario, che ci proteggi dal basso nella rete, prega per noi interinali e cognitari Porgi presso Pietro, Giacomo, Paolo e i Santi Tutti la nostra umile supplica Ricordati delle anime in scadenza di contratto torturati dalle divinità pagane, libero mercato e flessibilità Che si aggirano incerte senza futuro nè casa Senza pensioni nè dignità. Illumina di speranza i lavoratori in nero. Dona loro gioia e gloria Per tutti I secoli dei secoli
MAYDAY

Volevo solo lavorare”. Ricorda così la sua dipartita dalla “terra maligna”. Giorgio ha 32 anni, un futuro da inventare, figlio di un presente precario. Fuggito dall’estremo lembo del Sud Italia in cerca di occupazione, dopo aver conseguito una laurea in Economia e Amministrazione delle Imprese, coabita con il pensiero di essere un fallito. Di aver sbagliato tutto. Da qualche giorno sempre più pressante e invasivo, non più saltuario. Pensieri atipici. L’idea si insinua con maggiore pervasività quando il suo cellulare non squilla.

Quando la depressione si fa breccia, la sua mente vive prigioniera di ubbie. Non è facile gestire il suo tempo vuoto e le sue giornate senza lavoro. I suoi ritmi giornalieri da tre mesi sono sempre uguali, di routine. Sfrutta la connessione wireless, concessa per benevolenza dai condomini del suo stabile sito in Milano Nord. Sveglia mattutina per non sentirsi addosso un senso di inettitudine autoindotto ma costante. Invio di curriculum attraverso i siti di job recruitng, le mirabolanti agenzie di lavoro interinali, gli immancabili centri per l’impiego. Senza considerare il tam tam, le segnalazioni degli amici, le inserzioni raccolte per i giornali. Avrà inviato 1300 curriculum da marzo a luglio e fatto una trentina di colloqui. Imbellettato, giacca e cravatta, senza un filo di barba, dissimulando perfino un accento nordico.

“Le faremo sapere”, "La contatteremo presto, a prescindere dell'esito", "..sarà nostra premura recuperarla". Le risposte che riceve si assomigliano nella loro cinica alternanza. “Il suo profilo è sovradimensionato rispetto alle nostre reali esigenze”. “Presenta skills non conformi alla richieste per la ricerca di un profilo”.

Oramai Giorgio sarebbe pronto a fare di tutto. Ma ritiene di essere felice della vita che conduce. Quattro lavori nel giro di un anno e un master in Placement and executive & Bank management di un anno e mezzo. Sportellista in un ufficio postale, contabile, data entry in uno studio per commercialista, addetto all’elaborazione della busta paga per conto di accenture. Sempre part-time o a tempo determinato. Abbastanza per essere inserito nelle graduatorie censuali dell’Istat. Molto per non essere più in grado di stupirsi. Quindi il silenzio.

A fine mese l’affittuario chiede la retta mensile. Puntuale. E i risparmi sono quasi finiti. Meno male che nella chat c’è una ragazza che vive a Salerno con la quale condividere momenti intimi. La camera di compensazione nella Repubblica fondata sul lavoro che non c'è. Alla sera però Giorgio va a dormire felice. "Ho fatto il mio dovere". Del diman che passa in fretta non v'è certezza.

09 luglio 2009

La versione ufficiale e la realtà parallela

Elio Letizia, padre della papi-girl Noemi, chi era costui? Da lì si muove l'inchiesta de La Voce delle Voci, parzialmente seguita da Enrico Fierro de l'Unità. Ecco cosa viene riportato nel sito: "alla Voce risulta invece che sono in corso indagini top secret alla Procura di Napoli proprio per accertare il possibile collegamento fra i Letizia di Secondigliano (Benedetto detto Elio, ma anche altri suoi stretti congiunti) e il clan Letizia affiliato ai Casalesi".

E allora, ecco le conclusioni sconvolgenti, sembra un romanzo scritto da Giancarlo De Cataldo, a cui arriva lo stesso giornale in un editoriale firmato da Rita Pennarola che si riporta integralmente: "Quando abbiamo mandato in stampa l'inchiesta di luglio "Ore Contate" (ormai quasi dieci giorni fa), praticamente non esistevano segnali concreti di quell'addio forzato alla scena politica che per Silvio Berlusconi ora e' gia' chiaramente nell'aria. E non lo dicono solo i commentatori politici, ma tutta una serie di indicatori che la Voce aveva portato agli occhi dell'opinione pubblica fin dal numero di giugno, con l'ormai famosa inchiesta Papi, Letizia e i Clan. Perche', per chi conosce i segnali lasciati lungo il suo cammino dalla camorra, quegli scenari che suonano come un pizzino in mondovisione, la discesa di un premier in un ruspante saloncino per feste dentro Casoria non puo' che essere il primo atto di una resa finale. Un tentativo di trattare con chi non conosce altre ragioni se non quelle della minaccia e del sangue. Ora, disbrigate le faccende del G8 e forse un paio di Consigli dei ministri, re Silvio approfitterà della pausa estiva per far calare il sipario su questa sua vicenda personale che ha rischiato (e forse ancora rischia) di compromettere i destini della democrazia e del Paese. Quello che ci sara' da chiedersi, a breve se, come ci auguriamo, tutto si concluderà con la sola uscita di scena del premier - sarà soprattutto quale sarà la contropartita per una malavita organizzata che era arrivata ad alzare il tiro fino al punto da mettere sotto scacco il capo di un governo. Del resto, come hanno ricordato in queste settimane ma sempre dopo l'inchiesta della Voce altri giornali, non e' la prima volta che l'uomo piu' potente d'Italia finisce sotto ricatto mafioso. Ci aveva gia' provato la mafia ai tempi della Standa, quando Berlusconi fu costretto a trasferire la famiglia in Svizzera e ad Arcore approdo' uno stalliere di nome Vittorio Mangano. Ne' e' un mistero che oggi ci siano giornalisti e magistrati sotto tiro, obbligati a vivere sotto scorta (come documentiamo in esclusiva nell'inchiesta di questo numero sul clan La Torre). Ma la cosa che piu' sconcerta, in tutta questa vicenda, e' che, per far passare sotto silenzio la reale portata dell'attacco alla democrazia lanciato dai clan, si sia montata la bufala mediatica dei festini a base di escort e veline. Nessuna meraviglia che il falso exploit sia stato orchestrato dai Servizi, non sarebbe certo una novita'. Ben piu' strano risulta il fatto che partner della montatura siano stati i principali quotidiani italiani".

"Nel caos mediatico di questi ultimi mesi una sola ma decisiva posizione di fermezza e' arrivata dal ministro dell'Interno Roberto Maroni e dagli straordinari risultati che proprio in questo periodo di fuoco ha portato a casa con la sua intransigente azione anticamorra. Casalesi e Scissionisti hanno dovuto piegare la testa per la prima volta e i loro clan sono stati letteralmente sbriciolati. Forse solo un ministro leghista ma con la tempra di un Maroni poteva ottenere risultati di questo genere. E a riconoscerlo, soprattutto al Sud, sono anche i tanti naufraghi di quella sinistra radicale che su questo terreno ha accumulato oceani di parole e di convegni, senza mai conseguire un risultato concreto. Per questo, se si dovra' a breve andare ad una successione del leader Berlusconi, prima ancora che siano concluse le manovre sotterranee in atto, quel fuoco amico tutto interno al Pdl per designare colui che prendera' il posto di Silvio, permetteteci una riflessione. Attenzione a consegnare il Paese nelle mani di una persona che dentro il centrodestra rappresenta gli interessi di cosche e clan. Purtroppo ce ne sono tanti, e lo abbiamo visto anche in occasione delle amministrative. Noi qui sommessamente rivolgiamo una preghiera e un consiglio: vogliamo a capo del governo Roberto Maroni. Perche' la battaglia per il ripristino della legalita' in un Paese ad altissimo tasso mafioso possa continuare con forza ancora maggiore. Se ci e' concesso, infine, esprimiamo anche un'utopia: vorremmo un Maroni. Ma senza Bossi". Pure illazioni, difficile crederlo.

08 luglio 2009

La Lunga Marcia della Memoria


Partirà anche quest5854_1167433352615_1431385484_30463271_3367163_n.jpg'anno la Lunga Marcia della Memoria, la manifestazione contro le mafie e per i diritti - che lo scorso anno ci ha portato al restauro del murales anti-'ndrangheta di Gioiosa Ionica - che quest'anno sarà dedicata alle strade e piazze antimafia. Evento principale il 15 luglio alle ore 12, in contemporanea in tutt’Italia: vogliamo intitolare simbolicamente strade e piazze, luoghi pubblici e spiagge a vittime innocenti di tutte le mafie.

Basta affiggere un semplice cartello (in allegato il modello) e distribuire le schede sulla vittima alla quale si è scelto di dedicare una via, una piazza o luogo della propria città.

Decine di blitz pacifici e colorati per costruire un mosaico della memoria, riscrivere dal basso la toponomastica del nostro Paese, recuperare e ricordare le storie di chi ha combattuto contro le mafie e per i diritti. Per non dimenticare.

07 luglio 2009

Ronde sicure: la parola-mantra e la Costituzione violata

gatanosaya_.jpg"In tutti gli ultimi, in tutti gli immigrati c’è Dio che vive in clandestinità e noi non possiamo respingere Dio. Noi rischiamo di aver cacciato Dio, Dio è clandestino nel nostro Paese. Ed ecco che nell’ansia di fare ordine si rischia, così facendo, di ottenere quel supremo disordine che è la negazione dei diritti. Questo non è possibile" Don Luigi Ciotti


Sicurezza è diventata una parola-mantra, un termine-talismano per semplificare le proposte, su cui permeare i ragionamenti, spesso con un retropensiero di matrice razziale. L'ideologia scuritaria destroide si nutre di una percezione adulterata dalle immagini degli sbarchi. I crimini nel nostro paese sono diminuiti, anche se la popolazione carceraria è costituita in massima parte da extracomunitari. Con un autoritarismo senza precedenti è opinione diffusa che una politica muscolare fatta di annunci e demagogia non basti a contrastare il fenomeno. Certo la ricetta dell'opposizione è indefinibile, quindi il gioco è fatto.

Si istituzionalizzano le ronde, nonostante il parere negativo espresso dal Csm, andando verso la privatizzazione della polizia, proprio mentre vengono sottratte risorse alle forze dell'ordine. Così, malgrado la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione vieti la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. Il creatore delle Ronde Nere, il massone Gaetano Saya e la presidente dell'Msi Maria Antonietta Cannizzaro hanno presentato a Roma e Milano le divise della Guardia Nazionale. Per la sua storia personale con la sua amicizia, i paramenti massonici e i suoi legami piduisti. Custodisce gelosamente una foto con dedica di Licio Gelli datata 5 giugno 1991 ("A Gaetano Saya, la verità ha un solo volto, quello dell'onestà verso gli altri e verso se stesso. Con stima e molta simpatia. Licio Gelli") e un'altra con Giovanni Spadolini allora ministro della Difesa. Del resto Licio Gelli sostiene che Berlusconi, nell'attuazione del Piano di rinascita democratica della P2 è andato ben oltre le più rosee aspettative. Giorno dopo giorno la costituzione materiale di questo paese viene picconata, quella formale depotenziata, svuotata. Da buoni muratori. Il Capo cantiere aveva la tessera P2 1816.

06 luglio 2009

Pulsioni autoritarie e tragedie all'italiana

Su Repubblica Geoff Andrews, docente di politca presso la Open University si spinge a fare una valutazione sulla situazione italiana costellata da scandaministro_portoghese.jpgli che hanno dimezzato la credibilità del premier e la sua immagine (misto fra Casanova e Dorian Gray). Ma che sicuramente non lo spingeranno a dimettersi. Solo in Portogallo un ministro è costretto a dimettersi per aver fatto gestacci a un rappresentante dell'opposizione. In Italia invece la sua popolarità si sarebbe quantomeno quintuplicata.

"Viviamo tempi inquietanti per tutti coloro che - a prescindere dal proprio orientamento politico - hanno a cuore l'Italia. Berlusconi non rassegnerà facilmente le dimissioni: se rinunciasse al potere - volontariamente, o sulla scia di pressioni - perderebbe l'immunità parlamentare e rischierebbe di dover rispondere di nuovi capi d'accusa. All'interno del suo partito intanto non è ancora emerso un possibile successore in grado di raccogliere ampi consensi. L'opposizione continua ad essere molto debole, e non si scorge alcuna imminente possibilità di riforme - di cui il sistema costituzionale italiano ha grande bisogno - né il sorgere di alcun movimento popolare mirato al rinnovamento. Gli unici a trarre vantaggio politico dai problemi di Berlusconi sono, ad oggi, gli xenofobi della Lega Nord, che alle elezioni per il Parlamento europeo del 6-7 giugno hanno ottenuto dei buoni risultati. La Lega si dimostra ancora una volta un alleato scomodo, come accadde nel dicembre del 1994, quando cadde il primo governo Berlusconi. Ammesso che sopraggiunga, la fine del regno di Berlusconi potrebbe essere lunga e dolorosa, e annunciare per l'Italia un avvenire cupo. Una vera tragedia".

05 luglio 2009

Scurati, ovvero le paure del postmoderno

"Visto che il mondo sta prendendo una direzione delirante è il caso di assumere un punto di vista delirante". (Jean Baudrillard)

Per un voto non è riuscito a vincere il premio Stregil-bambino-che-sognava-la-fine-del-mondo.jpga. Il libro di Antonio Scurati "Il bambino che sognava la fine del mondo" merita comunque di essere letto e indaga sulla speculazione delle paure da parte dei media, violando il tema-tabù della pedofilia. Tra gli altri piani narativi, c'è anche il racconto di un'isteria di massa contagiosa che a molti ha ricordato la caccia alle “Streghe di Salem”, in chiave una chiave postmoderna. Anche Internet e i nuovi media ci fanno regredire patologicamente agli istinti primordiali, facendoci vivere emozioni superficiali. Il successo di siti come You porn anche in Italia (99 milioni di pages views al mese, 2 milioni di pagine viste al giorno), la mercificazione delle webcam girl e la reiterazione conformistica del male nel web 2.0 indicano una virtualizzazione dei rapporti ormai inevitabile. Nel villaggio globale non esistono più apocalittici o integrati. Sosteneva Jean Baudrillard che la storia della rappresentazione del mondo sembra arrivata al suo compimento e il mondo sta scomparendo, inghiottito dalla sua immagine riprodotta, come se fosse fagocitato in un buco nero. “La simulazione dello scambio dei segni ha finito per sterminare ogni referenza reale”. Ha ancora senso questa definizione? In una delle tante presentazioni del suo libro a Milano lo stesso Scurati ha riferito: “Siamo nel tempo della cronaca, il tempo del presente, e in questa dimensione il male e la violenza non hanno alcuna possibilità di riscatto e redenzione, e rimangono senza senso. Il ‘900, al contrario, pur essendo stato un secolo di grandi tragedie, proprio perché proiettato verso il futuro ha dato la possibilità al male di essere riscattato dalla storia”. Una definizione teorica condivisibile. L'immediata accessibilità domestica consente un rapporto immediato con la pornografia e il “male assoluto” della pedofilia su Internet. Nell'ibridazione cinica tra talk show e nella manipolazione dell'informazione rientrano le redenzioni mediatiche di Bruno Vespa. Uno che a Scurati non è che stia molto simpatico.



04 luglio 2009

Le donne in terra di mafia

Essere donna in terra criminale è complicatissimo. Regole complesse, riti rigorosi, vincoli inscindibili. Una sintassi inflessibile e spesso eternamente identica regolamenta il comportamento femminile in terra di mafie. (Roberto Saviano)

Le donne a sud di Gomorra assolvono spesso il ruolo di broker, trafficanti, mediatrici finanziarie, amministratici di patrimoni criminali. Intrattengono legami parentali con le famiglie, accudiscono e allevano i figli, preparandoli a un futuro da boss. In Calabria, dopo Duisburg l’episodio clou della faida di San Luca il vescovo di Locri Giancarlo Bregantini aveva tentato un’opera di persuasione perché "la faida era nel cuore delle donne". Sono loro che hanno in mano il perdono o la vendetta. Le donne hanno sempre assecondato, collaborato e comandato. Nel momento in cui dovesse verificarsi un corto circuito culturale, si produrrebbero cambiamenti difficilmente immaginabili. Questa sommossa di coscienze collettiva è lo scopo del movimento Donne di San Luca.


Di seguito l'agghiacciante storia di Valentino Galati, raccontata nel documentario "La Santa. Viaggio nella 'ndrangheta sconosciuta" di Ruben H.Oliva ed Enrico Fierro e ripresa un un articolo dello scrittore Roberto Saviano, apparso su Repubblica.

"Valentino Galati aveva diciannove anni quando è sparito il 26 dicembre 2006 a san luca.jpgFiladelfia, che non è la città fondata dai quaccheri americani, ma un paese in provincia di Vibo Valentia, fondato da massoni. Valentino era un ragazzo vicino alla ndrina egemone. Aveva sangue ndranghetista e quindi divenne ndranghetista, lavorava per il boss Rocco Anello. Quando questi finisce in galera per aver organizzato un sistema di estorsioni capillare (per una piccola tratta ferroviaria ogni impresa che vi partecipava doveva pagargli 50 mila euro a chilometro), sua moglie Angela ha sempre più bisogno di una mano da parte della ndrina per andare avanti. Spesa, pulizia della casa, accompagnare i bambini a scuola. A Valentino capita di essere uno dei prescelti. Così lentamente, quasi naturalmente, nasce una relazione con Angela Bartucca. Punirlo è indispensabile e quando non lo si vede più girare per il paese, nessuno si stupisce.

Condannato a morte perché è stato con la moglie del boss. Solo sua madre Anna non vuole crederci. Suo figlio amante della moglie di un boss? Per lei è impossibile: è divenuto da poco maggiorenne, è troppo piccolo. Ammette che Angela veniva anche in casa a prendere il caffè, e da quando suo figlio è sparito, non si è fatta più vedere. Ma per la madre di Valentino questo non dimostra nulla. "Mio figlio non c'entra niente con questa storia". Insiste a credere vi siano altri motivi, ma per la magistratura antimafia non è così. Per lungo tempo Anna ha dormito sul divano perché lì c'era il telefono ed ha aspettato una chiamata di suo figlio, terrorizzata che in camera da letto potesse non sentire il suono "dell'apparecchio", come a sud lo chiamano. Così, alla fine, la madre di Valentino si chiude nel silenzio di un dolore che rispetta il silenzio dell'omertà, continuando a negare contro ogni evidenza".









03 luglio 2009

L’esprit del Sud piagnone e irrisolto



La vita è un’impresa difficile e precaria, sospesa tra un inizio che non abbiamo scelto e una fine che non dipende da noi” (Franco Cassano)

Comunemente capita di imbattersi in ragionamenti di questo genere: “I rifiuti sono Napoli, Napoli è il Mezzogiorno, i rifiuti sono il Mezzogiorno”. Se si sostituisce il primo termine del sillogismo, cambiando al tempo stesso latitudine urbana, con vocaboli come mafia, arretratezza culturale, parassitarismo, assistenzialismo, non si fa altro che riproporre solidamente i radicati stereotipi che insistono, non solo nei salotti dello snobismo razzista, o nelle tesi di chi declina l’alterità antropologica, in chiave lombrosiana, ma negli schematismi mentali della gente di strada non riconducendola soltanto a fattori sociali o assistenziali.

Il Sud, inteso anche come luogo dell’anima, assume nell’immaginario dei proponenti, una dimensione salvifica, mitologica, fatta di relazioni umane profonde e vincoli pronunciati, di vitalismo creativo, di cui il Mediterraneo di Fernand Braudel è la rappresentazione plastica e concettuale. Perfino gli assertori del meridionalismo più convinto troveranno grande difficoltà a spiegare il deficit di due miliardi e duecento milioni di euro della sanità calabrese, voce che assorbe per l’80% del bilancio. In una regione dove si può morire di malasanità per una banale appendicite e la migrazione sanitaria dei degenti ha assunto proporzioni record e . Un altro cancro che dà la cifra della tragedia della democrazia in Calabria è la densità criminale. Si tratta del rapporto tra persone contigue ai clan e la popolazione, sarebbe pari al 27%, il che significa che ogni 4 abitanti ce n’è uno che ha qualche rapporto con la ‘ndrangheta. Il dato andrebbe vivisezionato a dovere ma rappresenta una tara dal punto di vista dell’immagine. Non si tratta di ribaltare vecchi cliché, infarciti di fatalismo determinista, bensì di recuperare una dimensione autocritica non più incline al vittimismo compiaciuto. Il Sud (entità territoriale un po' astratta dove però vive un terzo della popolazione italiana), come insegna la storia del fallimento delle amministrazioni riformiste dell’ultimo quindicennio, deve aasolutamente sfruttare meglio i fondi comunitari, recuperare autostima senza deleghe in bianco inserendo le forze più sane nei processi decisionali, senmpre più incorstati da lobby clientelari. Bisogna capire cioè che la questione deve essere affrontata in prima persona dai meridionali e passare dal determinismo fatalista e apocalittico all’autodeterminismo e all’appropriazione del proprio futuro, purché non si pensi claustrofobicamente, nella propria indolenza, di vivere nel migliore dei mondi possibili. Facile a dirsi.

02 luglio 2009

I legami d’acciaio di un operaio fuori moda.

La disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile. (Corrado Alvaro)

La vita precaria di Carlo Marrapodi* dopo la tragedia della Thyssen conosce la nostalgia di un presente ignoto e di un passato da rimuovere. “Vivo una realtà amara” - dice con rassegnazione da sopravvissuto - “lasciando la Calabria per il Nord Italia volevo mantenermi nei binari della legalità e trovare un lavoro onesto, che mi permettesse di vivere, senza fare quei guadagni illeciti, che avrei potuto ottenere aggregandomi alle ’ndrine, senza Jacuzzi, né ville al mare, con la paura però di fare un viaggio solo andata e finendo ucciso”. “Invece, conclude il paradosso, lavorando per una multinazionale ho rischiato di finire carbonizzato a Torino, guadagnando infinitamente di meno”.

È stato vano tutto ciò? Dopo il terribile rogo del 6 dicembre che costò la vita a sette persone, questo pensiero si affaccia di continuo nella mente di Carlo Marrapodi da Pazzano (provincia di Reggio Calabria), operaio ThyssenKrupp. A Torino ha condiviso le sue giornate con una piccola comunità del suo villaggio di 600 abitanti, una colonia “ben voluta da tutti”. Le implacabili leggi dei rulli, del produttivismo esasperato, del Pil come unico parametro regolante le vite delle “risorse umane” non ammettono tregue. Neanche se in una fabbrica di un colosso leader mondiale dell’acciaio, in dismissione dove si sviluppano focolai d’incendio, e le perdite d’olio nelle linee vengono tamponate con lo scotch.

La sicurezza ha dei costi alti e può intralciare i processi industriali. E i sindacati e i mestieranti della politica soggiacciono taciti a logiche torbide. “Sanno organizzare, male, il concerto del Primo Maggio. Hanno fatto passerella, insieme ai politici nel giorno delle bare”, soggiunge l’ex operaio della fabbrica dei tedeschi. Lui, Carlo “la scheggia impazzita calabrese” usa le parole come pietre: “Gli operai sono la turbina di questo paese. Ma hanno perso identità. Conosco colleghi che negano di fare parte della classe operaia. I loro ideali sono stati traditi e loro si vergognano. Non c’è quella coscienza di classe degli anni ’70”. Categorie antiquate, da ceto politico. “Poi si chiedono il perché della fuga del voto operaio. In sette anni in corso Regina Elena Carlo non ha mai visto lo straccio di un politico di sinistra, né un volantino distribuito davanti ai cancelli”, constata lucidamente Carlo. “Non sono più di moda, gli operai”. È la risposta che si sono sentiti dare dai dirigenti Rai a Pietro Balla e Monica Repetto, autori del film ThyssenKrupp Blues, che chiedevano lumi sul progetto Doc3, un reportage che non si sa se e quando sarà trasmesso. E non ci si deve meravigliare se oggi votano Pdl, perché crea appartenenza, “Big Jim” (così Carlo chiama Berlusconi) riesce a offrire il sogno delle veline, anche dinto del successo”. E gli altri?”. Siamo visti come alieni. Chi si occupa ancora degli operai I film possono avere un ruolo di denuncia? Servire a qualcosa il mio peregrinare nelle scuole. È una domanda che si pongo tutti i giorni, come altre che popolano il suo cervello, che riconosce che la classe operaia non andrà mai in Paradiso.

L'ex operaio è protagonista dei documentari
Thyssenkrupp Blues e La Fabbrica dei Tedeschi.

Anno Zero: Carlo
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